Il dialogo fra mons. Vincenzo Paglia e Luigi Manconi, affidato al libro Il senso della vita (Einaudi, 2021) ha un sottotitolo non del tutto corretto «Conversazioni tra un religioso e un pococredente». In realtà, nel testo, il dialogo è fra un «piccolocredente e un pococredente».
L’operazione editoriale non è certo nuova, ma costituisce sempre una sfida. Credo che il riferimento sia l’intuizione del card. Martini della «cattedra dei non credenti», una sorta di doppio magistero che traina il credente su un linguaggio e temi di particolare urgenza e dà al non credente (o pococredente) l’opportunità di fare i conti con l’intelligenza della fede ecclesiale. Scorrendo le pagine si ha la percezione di un dialogo che ha alle sue spalle molte mani e molte suggestioni. La decina di ringraziamenti finali ne sono un segnale. Vi sono passaggi in cui i “suggeritori” sembrano limare e alimentare lo sviluppo dialogico.
Futuro e speranza
Molti i riferimenti alla riflessione recente, sia giornalistica che saggistica: da Magris a Mazzarella, da Zichitella a Zagrebelsky, da Sabbadini a Ferrajoli. Senza dimenticare i classici: Bloch, Jaspers, Weil, Jonas ecc. Il riferimento più insistito è per papa Francesco e le sue ultimi encicliche Laudato si’ e Fratelli tutti. Un posto a parte, soprattutto nelle parole di Manconi, è per Alex Langher. Si respira l’aria di un nuovo umanesimo. Anche in una risposta non priva di dialettica di Manconi al richiamo fatto da Paglia al dramma dell’umanesimo ateo di Henri de Lubac: «Nemmeno per scommessa possiamo andare al fondo della questione grandiosa dell’ateismo, che per altro non è la mia concezione. Tuttavia, spezzando una lancia doverosa in sua difesa contesto il senso di quella affermazione di De Lubac; l’umanesimo non ha fallito perché ateo, bensì ha fallito perché non ha realizzato il suo fondamento costitutivo. Ovvero il rispetto incondizionato dell’umano».
Ma l’impressione più intrigante è il rovesciamento della prospettiva che nel recente passato contrapponeva l’ideologia del progresso (condivisa da laici e sinistra atea) al culto della tradizione, delle «virtù centriste» e un po’ a-storiche della sensibilità cattolica. Nel nostro caso il credente condivide una capacità di visione, un’attesa di futuro, una sensibilità collettiva che il pococredente sembra smentire in ragione di un realismo fattuale, dei condizionamenti oggettivi, di una spinta non più progressiva. Insomma, di una speranza corta, forse melanconica.
Manconi: «Avverto nelle tue parole una tonalità, un sentimento, che fatico a fare mio. È il sentimento della speranza, della speranza cristiana […]. In altre parole la mia è una speranza corta, oltre che pragmatica e concretissima». Paglia: «E una prima stella polare da seguire è il superamento delle innumerevoli spinte divisive, immaginando il domani come un “noi” che includa tutti senza lasciare indietro nessuno». «In realtà, riflettendoci, il vero benessere è quello che scaturisce dal volersi bene reciprocamente, dall’essere bene-amati, cioè amati e capaci di amare, misericordiati (come ama dire papa Francesco) e misericordiosi». «È urgente e indispensabile che in tutti cresca la coscienza di far parte di un’unica famiglia umana. Solo così potremo affrontare il domani in maniera efficace. Una sola famiglia umana nell’unica casa in comune». Una diversa sensibilità che attraversa tutte le questioni affrontate nei sette capitoli del volume: il senso della vita al tempo del Covid, fraternità e libertà, la casa comune, generare-fare all’amore-invecchiare, accompagnamento e dolore, cittadinanza universale, la vita oltre la vita.
Senza sconti
Il livello argomentato e pensoso del dialogo fa talora i conti con sentieri interrotti e risposte mozze. Se mons. Paglia ha il coraggio di contraddire la decisione di mons. Fisichella e del card. Ruini del 2006 circa la proibizione della messa di esequie per Piergiorgio Welby («Io sarei stato sull’altare per celebrare i funerali di Welby, come avevano chiesto i familiari. Sempre li celebro. Sono convinto che il suicidio è sempre una domanda di amore inevasa»), è in difficoltà a rispondere sulla proibizione della benedizione alle coppie omosessuali della nota della Congregazione della dottrina della fede (15 marzo 2021) («È invece un testo che ribadisce la posizione tradizionale: ma su questi temi è necessario continuare a riflettere»).
Da parte di Manconi suona poco convincente la possibile critica agli scritti di papa Francesco «di una sorta di politicismo globalista, mentre abbiamo bisogno di parole e di concetti che trascendono tutto ciò». Posizione che si ripete coi preti di strada, seppur in un contesto di cordialità e amicizia («appaiono più sociologi e militanti che ministri di Dio»). Un po’ scontata anche l’affermazione sulle «gerarchie ecclesiastiche e la loro irriducibile vocazione conservatrice».
Un dialogo non sempre facile e aggiustato come questo passaggio: «Paglia. È chiara e ineccepibile l’affermazione “la vita è un dono”. Aggiungerei che deve essere completata dall’altra, ossia che è “anche un compito”, affidato alla responsabilità di ciascuno. La vita l’abbiamo ricevuta in dono, ma non … Manconi … per farne ciò che vogliamo. E io invece penso che sia esattamente così: per farne ciò che vogliamo. Paglia E qui a mio avviso sta l’errore o comunque la distanza fra noi. Mentre sul fatto che la disponibilità e in capo all’individuo, io sono d’accordo. Manconi. Come si vedrà questa differenza di interpretazione su una frase proverbiale come “la vita è un dono” condiziona in maniera molto significativa alcune nostre valutazioni su quel tema cruciale rappresentato dal fine vita».
La trascendenza è di tutti
Il dialogo attraversa molti temi di immediata attualità che saranno ripresi nel dibattito pubblico. Come: ecologia e centralità dell’umano; pacifismo e ingerenza umanitaria; aborto, brevettabilità del vivente, maternità surrogata; amore e generazione, crisi demografica; pandemia e scelte etiche del medico; droga e riduzione del danno; immigrati come risorsa; chiudere il carcere ecc. Mi limito ad accennare ai riferimenti alla trascendenza, al piacere, agli anziani e alla risurrezione.
L’apertura alla trascendenza non può essere confinata alla coscienza personale e irriflessa. Paglia: la deriva di sostituirsi a Dio «va contrastata proponendo un nuovo umanesimo che non sia chiuso alla trascendenza. Mi domando, anzi ti chiedo: l’intelligenza che oggi fa tendenza, è disposta ad assumersi davvero la responsabilità di consegnare i figli che vengono al mondo al nulla della sua origine e della sua destinazione? Molti intellettuali, compresi quelli non credenti, in realtà, si mostrano capaci dell’autocritica necessaria nei confronti di una decostruzione della trascendenza del mistero di Dio; che ha svuotato il cielo della nostra speranza, rendendo meno abitabile la terra del nostro scontento».
Piuttosto esteso il confronto sul tema del piacere e del desiderio. Manconi al suo interlocutore: parli di amore, ma non nomini il piacere. «Il piacere non solo indipendente dal fine della generazione, ma anche da qualunque progettualità e da qualunque prospettiva teleologica; quale mera espressione dei sensi, espansione delle facoltà vitali, manifestazione di creatività erotica. Insomma quell’esperienza umana che si riflette nelle forme della pura vitalità, della conoscenza attraverso il contatto e il tatto, dell’incontro tra i corpi. E dell’euforia del desiderio e della psiche. Direi il piacere fine a se stesso». «Vale una regola: se è vero che non ogni desiderio, di per sé, dev’essere riconosciuto come diritto, è altrettanto vero che esso – qualora non sia lesivo di altri diritti – non può essere immotivatamente negato e, di conseguenza, vietato». Paglia: «Tra Chiesa e piacere oggi c’è un rapporto più sereno … (Ma) è riduttivo e pericoloso ridimensionare la sessualità al piacere senza aggiunta … la dimensione del piacere chiede essa stessa di essere legata dalla ricca e complessa dimensione dell’amore che comporta anche stabilità». «A me pare che il difetto di questo amore/passione è che ciascuno ama l’amore più che l’altro. Non è il desiderio a creare il problema, bensì un desiderio ripiegato su se stesso che perde così la bellezza della relazione anche con il dramma che comporta».
Domande e riti sul congedo
Sugli anziani si ripropone una vistosa distanza degli interlocutori.
Per Paglia siamo davanti a una decisa rimodulazione delle età della vita, con una popolazione anziana attiva, che non ha un ruolo sociale, e con una vecchiaia che non ha accompagnamento. Manconi esprime il timore che «affidarsi come sembra tu faccia a una diversa qualità ed organizzazione della vita familiare, che comprenda e includa anziani e vecchi, sia letteralmente impossibile». «Penso allo sviluppo di una medicina geriatrica, a contatto con i suoi destinatari e, dunque, diffusa nel territorio, e penso alla necessità, inevitabile, di moltiplicare posto nelle RSA» (Residenze sanitarie assistite). Paglia ricorda che la scoperta dell’infanzia nell’Ottocento ha richiesto un nuovo pensiero e una nuova organizzazione, ha inventato gli orfanatrofi e li ha superati. «Tu sostieni che vanno moltiplicati i posti nelle RSA. Mi trovi totalmente contrario. L’istituzionalizzazione degli anziani oggi sarebbe frutto di pigrizia culturale […]. Tu certamente ricordi la vittoria, alla fine degli anni ‘70 del secolo scorso, rappresentata dalla chiusura dei manicomi per iniziativa di Franco Basaglia. Per parte mia la stessa cosa deve accadere per gli anziani».
Sulle «cose ultime», sul morire e su quello che avviene dopo Manconi ammette: «Noi – tutta la ciurma degli atei, agnostici, increduli, scettici, perplessi, miscredenti, bestemmiatori, fino ai pococredenti – viviamo oscuramente tutto ciò come un deficit. C’è poco da dire: quella nuova e ulteriore vita ci manca». E ci mancano i suoi riti. Per Paglia la risurrezione è il compimento da tutti sperato. Il credente l’attende in ragione della risurrezione di Gesù. La «carne» e la sua destinazione sono centrali per il cristianesimo. «Se tutti noi – credenti e laici – potessimo concentrarci di più e seriamente sul legame che ci accomuna – dalla bellezza del nostro venire alla luce e per ogni età della vita sino alla fatica del nostro congedo finale – nella sfida del senso della vita e del controsenso della morte, penso che l’intera nostra civiltà sarebbe diversa».