Dottore in scienze bibliche al PIB dal 2010, il giovane esegeta milanese ha approntato un commentario maggiore di taglio scientifico a un testo profetico non molto conosciuto e neppur tanto usato nella liturgia. Dopo una sezione introduttiva (pp. 17-40), la parte seconda (pp. 41-206) è dedicata alla traduzione e al commento, mentre la terza (pp. 207-238) si sofferma a delineare il messaggio teologico del libro. Una bibliografia, ragionata e generale (pp. 239-260) precede una serie di indici (pp. 239-278): degli autori, delle citazioni bibliche ed extrabibliche, filologico, degli excursus (due: a pp. 87-88 sul «resto» di Israele e a pp. 136-139 sul Signore, «pastore» del suo popolo).
Michea (“Chi [è] come Dio?”, cf. 7,18), nato a Moreshet-Gat, nella zona collinare della Shephela a 35 km a sud-ovest di Gerusalemme, è attivo sotto tre re secondo l’iscrizione di 1,1, ma realisticamente si deve ridurre il tempo della sua attività profetica al tempo del governo di Ezechia sul regno di Giuda (715-686 a.C.).
Michea, denominato da uno studioso «l’Amos del Sud», assieme ai libri di Osea, Amos e Sofonia forma «Il libro dei quattro profeti», probabile nucleo originario della raccolta dei Dodici Profeti «minori», considerati un unico volume nella traduzione greca dei LXX (Dodekapropheton).
L’origine contadina di Michea, appartenente però probabilmente al consiglio di rappresentanti del villaggio, condiziona con la sua sapienza popolare il suo dettato profetico, intriso di immagini concrete e incisive.
La stagione storica in cui vive il profeta è caratterizzata da una grave corruzione morale della leadership civile e religiosa, una grave crisi socioeconomica originata dai gravami da pagare alle superpotenze di turno e al dilagare del latifondismo e, infine dalla politica aggressiva dell’Assiria che, con Sennacherib, arriva ad assediare (invano) Gerusalemme nel 701 a.C.
Il libro di Michea – così come risulta dalla edizione definitiva a cura dei discepoli che ne hanno custodita la memoria e il messaggio – è strutturato su un’alternanza perfetta di oracoli di sventura e oracoli di salvezza. Al profeta storico vanno probabilmente attribuiti solo i cc. 1–3, mentre il resto è un’attualizzazione più «calma ed equilibrata» del dire appassionato di Michea. Il suo dettato è appassionato, ricco di immagini, mai compassato e «distaccato», totalmente compreso invece nella sorte del popolo («mio popolo»), che il profeta vede incamminarsi verso la rovina a causa della devastazione morale e religiosa dei propri responsabili.
I generi letterari a lui più congeniali sono:
1) l’oracolo di giudizio (accusa concreta e dettagliata della colpa – annuncio del castigo consequenziale e inevitabile);
2) l’hoy profetico: non più un lamento funebre per un morto, ma una lamentazione funebre profetica per la sorte del popolo e dei suoi capi ridotti a una condizione tale da poter far risuonare loro l’elegia funebre anticipata;
3) il genere del rîb o disputa giudiziaria bilaterale, nella quale, mediante un’accusa ben precisa e dettagliata delle colpe della parte avversa, la parte lesa cerca in tutti i modi un recupero del partner a un rapporto rinnovato di alleanza e di fedeltà.
Al centro del libro, in 3,9-12, viene annunciata la sorte disastrosa che attende Gerusalemme, che sarà ridotta a una boscaglia e a un ammasso di rovine. Michea, assieme a Sofonia, sembra trasferire al regno di Giuda e a Gerusalemme le invettive e le minacce rivolte da Amos e Osea al regno del nord e a Samaria.
Nei libri profetici, d’altra parte, la minaccia non ha mai l’ultima parola. Essa è teologicamente fondata sulla giusta reazione di Dio all’idolatria e all’eversione morale e religiosa del suo popolo ma con la denuncia del male non è detta l’ultima parola. Dio è signore della storia e continua a parlare, e questo è un segno di salvezza e di speranza certa, che non deve però indurre il popolo a una facile deresponsabilizzazione morale e religiosa.
Il messaggio di Michea contro la bramosia della ricchezza da parte dei governanti, della loro ricerca di interesse privato in atti pubblici, si unisce dalla denuncia dell’oppressione sul popolo da parte dei governanti, amanti del male. I profeti di corte sono bersagliati per la loro profezia falsata dall’avidità di denaro e di consenso.
La visione positiva di una purificazione dell’Israele futuro, di una «rinascita dall’alto» che solo Dio può attuare, è raccolta nella seconda metà del libro di Michea. Essa comprende un aspetto di natura «davidico-regale», con l’attesa del messia, e uno più collettivo, di una riabilitazione di Gerusalemme. Essa diventerà centro di attrazione per il pellegrinaggio escatologico dei popoli. Accusa e speranza si alternano nel libro di Michea, ma ciò che regna nella sua profezia è il messaggio positivo lasciato in 7,8-20, riassunto da Scandroglio nel titolo: «La grazia del Signore è per sempre!».
Commentario tecnico, con vasto apparato critico ma dal dettato del testo chiaro e accessibile, il volume fa onore all’esegesi italiana e a un libro profetico un po’ dimenticato, a dispetto della sua stringente attualità.
Michea. Nuova versione, introduzione e commento di Massimiliano Scandroglio, Paoline, Milano 2017, pp. 288, € 38,00.