In Italia come in Europa troppi sembrano essere affetti da una “sindrome da invasione”, tanto che 1 europeo su 2 teme l’immigrazione e la considera il problema più grave che deve affrontare l’Unione Europea, peggio dello stesso terrorismo. Qualcuno arriva addirittura a vedere nei migranti e profughi i responsabili della crisi economica in atto.
La memoria storica, spesso assai carente, dovrebbe ricordare che nel passato l’Europa è stata ininterrottamente una terra soggetta a grandi migrazioni: quello che oggi sconcerta è un flusso come non si era mai visto negli “ultimi” 70 anni, complice anche un forte livello di immigrazione illegale (ma nel passato, quando i libri di storia parlano di «migrazioni dei popoli», nessuno chiedeva documenti …).
I Paesi dell’area del Mediterraneo sono quelli maggiormente coinvolti da arrivi e accoglienza, ma di là dal Mediterraneo c’è il continente africano con ben 32 guerre in corso da anni (dove chi combatte spesso ha acquistato armi proprio da quei Paesi), cui vanno ad aggiungersi una miriade di problemi legati a miseria endemica per siccità, desertificazione, malnutrizione, fino alle persecuzioni per motivi etnici e religiosi. È un triste, e sempre troppo drammatico, bilancio tra “sommersi e salvati”, quello che si consuma quasi quotidianamente in un mare che è diventato “il cimitero dei disperati in fuga”, secondo l’espressione usata da papa Francesco nel discorso agli ex-alunni delle scuole dei gesuiti (17 settembre 2016), dove ricordava i 65 milioni di persone che a livello mondiale si trovano costrette oggi ad abbandonare i loro luoghi di residenza. Un numero superiore a quello dell’intera popolazione italiana, aggiungeva Bergoglio, come se tutti gli italiani fossero costretti a sparpagliarsi in giro per il pianeta alla ricerca di un luogo migliore dove vivere.
E dire che i Paesi dell’Unione Europea non sembrano oggi essere in grado di accogliere 1 milione di profughi, mentre il piccolo Libano, con enormi sacrifici, ne accoglie altrettanti a fronte di solo 4 milioni di abitanti.
Un dato che rende, se possibile, ancora più allarmante la situazione è quello riferito al numero di minori non accompagnati che costituiscono il 16% dei migranti entrati nel nostro Paese: nel 2016 sono stati 16.860 contro i 12.630 dell’anno precedente (a loro è stato dedicato il Messaggio di papa Francesco per l’ultima Giornata mondiale del migrante celebrata il 15 gennaio scorso).
A livello mondiale si calcola che più della metà dei migranti abbia meno di 18 anni, mentre almeno 50 milioni di bambini stanno vivendo la tragedia della migrazione e 25 milioni sono costretti a fuggire a causa di conflitti in corso.
Giancarlo Pani, gesuita di Civiltà Cattolica, raccogliendo in un libro per i tipi dell’editrice Ancora, in collaborazione con il Centro Astalli, alcuni contributi sul tema pubblicati sulla Rivista, affronta il problema da diverse angolazioni suggerendo altresì alcune proposte nell’ottica di un’affermazione dell’economista John Kenneth Galbraith nel 2012: «Le migrazioni sono la più antica azione di contrasto alla povertà, selezionano coloro i quali desiderano maggiormente riscattarsi, sono utili al Paese che li riceve, aiutano a rompere l’equilibrio di povertà nei luoghi d’origine. Quale perversione dell’animo umano ci impedisce di riconoscere un beneficio tanto ovvio?».
Alla tavola rotonda che si è tenuta lo scorso 21 gennaio a Roma, in occasione della presentazione del libro, padre Michael Czerny sj, sotto segretario della sezione migranti e rifugiati del Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale, citava quanto affermato da papa Francesco di ritorno dal viaggio a Lund in Svezia: «Cosa penso dei Paesi che chiudono le frontiere. Credo che in teoria non si può chiudere il cuore a un rifugiato, ma ci vuole anche la prudenza dei governanti: devono essere molto aperti a riceverli, ma anche fare il calcolo di come poterli sistemare, perché un rifugiato non lo si deve solo ricevere, ma lo si deve integrare. E se un Paese ha una capacità di venti, diciamo così, di integrazione, faccia fino a questo. Un altro di più, faccia di più. Ma sempre il cuore aperto: non è umano chiudere le porte, non è umano chiudere il cuore, e alla lunga questo si paga».
Osservando i dati sulle migrazioni, padre Pani si rivolge in particolare alla situazione italiana, Paese colpito dal gelo demografico: i costi per l’accoglienza, è vero, superano gli 8 miliardi di euro. Ma, considerando soltanto i contributi Inps versati dagli immigrati, si calcola un utile netto di 2,2 miliardi di euro.
Un dato non nuovo, ma che è quanto mai utile ribadire perché rappresenta una conferma di ciò che era emerso anche lo scorso autunno dal Rapporto annuale della Fondazione Moressa di Mestre e da uno studio pubblicato da due docenti, rispettivamente sociologo e demografo, dell’Università di Padova, Allievi e Dalla Zuanna: l’impatto economico del lavoro degli immigrati è una boccata d’ossigeno per il nostro sistema previdenziale a rischio per l’ingresso ridotto di giovani nel mercato del lavoro. E questa tesi è pure l’oggetto dell’ultimo documento della Caritas Europa pubblicato la settimana scorsa dal titolo Welcome-Bienvenue-Willkommen (Benvenuti). E, per chi ancora fatica a capire (perché presta fede alle troppe menzogne che circolano), «I migranti rendono l’Europa più forte».
Il testo contiene contributi anche di Francesco Occhetta, Luciano Larivera, Giovanni Sale, GianPaolo Salvini, Camillo Ripamonti e Adolfo Nicolás.
Giancarlo Pani (a cura di), Sulle onde delle migrazioni. Dalla paura all’incontro, Ancora, Milano 2017, pp. 144, € 14,00.