Secondo la Banca Mondiale nel 2050 vi saranno 140 milioni di migranti per motivi legati al cambiamento climatico: la desertificazione, il depauperamento delle aree fertili, la mancanza d’acqua, l’aumento del livello del mare e così via. Sarà un esodo drammatico, in cui è probabile che moltissimi moriranno senza lasciare traccia di sé, come la maggior parte dei 1.000 migranti affondati con il “Barcone” che nell’aprile del 2015 si rovesciò al largo della Libia. Ma non tutti sono rimasti senza nome, grazie allo straordinario lavoro svolto da Cristina Cattaneo e la sua équipe e documentato nel bellissimo libro Naufraghi senza volto (Raffaello Cortina editore, 2018).
Secondo alcuni quanto successo negli ultimi anni è solo un fenomeno temporaneo destinato a esaurirsi e usato ad arte dalla politica per motivi elettorali. Niente di più sbagliato. Le proiezioni relative al cambiamento climatico non potrebbero essere più chiare e non si vede una soluzione nel breve o nel medio termine. Certamente non la cattura dell’anidride carbonica, ma neppure lo sviluppo delle energie rinnovabili, considerata la lentezza con cui il mercato e la politica rispondono a un’esigenza divenuta immediata. La minaccia del cambiamento climatico, con la sua sequela di impatti umani e ambientali, richiede grande lungimiranza e incisività. Putroppo la Strategia Energetica Nazionale – per cui il governo Gentiloni aveva stanziato 175 miliardi fino al 2030 – è divenuta lettera morta, e l’attuale governo non sembra avere un piano energetico né una strategia di mitigazione del cambiamento climatico, problema ritenuto evidentemente di second’ordine.
Questa lunga premessa serve a dire che l’estrema miopia dei sovranisti, che si illudono di risolvere i problemi chiudendo i confini e respingendo i barconi, non fa altro che prepararci a una catastrofe, quando lo scontro tra una crescente xenofobia (tutta ideologica) e la realtà delle migrazioni di massa assumerà proporzioni ben maggiori rispetto a quelle attuali. Inutile ricordare che i “sacri confini della patria” che sono sottesi all’ideologia sovranista sono del tutto fittizi:
I confini non sono fenomeni naturali; esistono nel mondo solo nella misura in cui gli uomini li considerano come significativi (A.C. Diener, J. Hagen: Borders. Oxford University Press, 2012)
Il libro di Cattaneo è esemplare per impegno civile, chiarezza e sobrietà. Cattaneo è medico legale all’Università di Milano, a capo di un’équipe specializzata nel “dare il nome” a persone che ne sono prive. Questa attività richiede di ricorrere a tecniche molto complesse e sofisticate, ed è esclusivamente mossa dalla pietas per le vittime e le loro famiglie. Ma dai reperti dell’équipe della Cattaneo emerge molto più della pietas. Per esempio, i profili che si ricavano dalla ricostruzione post-mortem delle biografie delle vittime sono quasi ortogonali al comune pregiudizio salviniano di immigrati delinquenti e terroristi. Le vittime sono perlopiù studenti in viaggio verso università migliori di quelle in patria, ragazzi normali in cerca di opportunità all’estero (come molti di noi hanno fatto).
È un’umanità aperta al mondo, consapevole delle interconnessioni create dalla globalizzazione, ma che si scontra con la chiusura di una classe media occidentale timorosa di perdere i propri privilegi. Una testimonaniza di Cattaneo:
Non riuscivo a immagine questi ragazzi durante quel percorso infernale (Etiopia, Sudan e Libia, nota mia), gli stessi che festeggiavano le lauree, i matrimoni, che si fotografavano a casa mentre ballavano e che avevano Facebook. La nipote, che avevamo conosciuto attraverso i racconti dello zio, nelle immagini più recenti indossava una maglietta lilla e una collanina con strass simili a Swarovski, identici a quelli della mia figlioccia – ancora una volta, dettagli sovrapponibili alla mia, alla nostra vita quotidiana.
Viene da chiedersi che cosa è successo in Italia in questi ultimi quattro anni. Nel 2015 vi fu una straordinaria mobilitazione intorno al progetto lanciato da Cristina Cattaneo, che divenne rapidamente una “bandiera” di cui andare fieri (così come dovremmo andare fieri di quell’altro grande italiano, Pietro Bartolo, il medico di Lampedusa). Per usare le parole dell’autrice,
Ancora oggi mi sembra incredibile e commovente pensare a come le più grandi agenzie italiane come la Marina Militare, l’Università, i Vigili del Fuoco insieme a molti altri si siano spesi – in un periodo storico in cui, a parlare di supporto ai migranti, si viene spesso trattati con sufficienza o biasimo – non solo per recuperare un barcone pieno di vittime dalla pelle scura, ma anche per trattarli come tratteremmo mille europei “bianchi” morti in un ipotetico incidente aereo…
Per associare qualche numero al racconto, nel 2017 sono arrivati in Italia circa 117.000 migranti vivi, mentre 2.800 sono morti, un numero enorme. Negli ultimi anni si è registrata una drastica diminuzione delle domande di asilo nell’UE, passate da 1.261.000 nel 2016 a 705.000 nel 2017 ma, all’opposto, una crescente domanda politica di “difesa” delle frontiere dell’ Europa, come espressa, per esempio, dal ministro Salvini:
Il problema non è respingere i migranti all’interno dell’UE ma difendere le frontiere europee (Ansa. Salvini meeting Conte for migrant talks. Ansa, 20.06.2018)
Ma a fronte della riduzione del numero di migranti, il rischio di mortalità per traversata marina è andato aumentando, raggiungendo il 5% nel 2018 (5 su 100!). Qualunque sia la spiegazione, la mortalità in aumento indica che evidentemente l’insieme dei dispositivi di salvataggio in mare è del tutto inadeguato. L’impreparazione del governo (dei governi) ad affrontare (non “fronteggiare”) il problema delle migrazioni nei prossimi decenni è irresponsabile. Una politica efficace (ma non sta a me dirlo) dovrebbe coniugare obiettivi umanitari a breve termine con obiettivi strategici. Il trasferimento di migranti clandestini è un affare colossale gestito da grandi organizzazioni mafiose. Questo è il problema, non respingere qualche decina di poveracci per guadagnare voti.
In quanto alla sfida umanitaria, l’impegno di Cristina Cattaneo è esemplare, perché antepone la pietas al suo livello più basilare (“dare un nome”) alle ragioni di Stato o alle ragioni di comodo (la mancanza di fondi), dimostrando che “si può fare”. Non solo si può fare ma si può fare bene, cioè con tecniche all’avanguardia che comportano l’esame dei liquidi bologici e degli organi (per esempio per identificare infarti pregressi nel cuore), e prelievi di ossa o muscoli per analizzare il DNA. Le pagine sul recupero dei resti umani dal Barcone sono particolarmente agghiaccianti ma anche lineari e sobrie. Ricordano alcune pagine di Primo Levi sui lager.
Non c’era modo di evitare ad alcuno di loro [i volontari coinvolti] il trauma del primo contatto, della vista, dell’odore di ciò che avrebbero dovuto toccare, abbracciare, sollevare. (…) Alla fine, la comprensibile repulsione potreva essere superata soltanto dalla consapevolezza non solo dell’importanza tecnica del loro operato ma anche dell’estrema pietas del gesto che si apprestavano a compiere. E questo fu esattamente ciò che accadde.
Vi sono momenti storici in cui il “tono” generale della società può cambiare repentinamente e, con il contributo di una massa di manovra ingenua e spesso ignorante, passare da quell’impegno civico esemplare dimostrato da una scienziata umanista come Cristina Cattaneo al pregiudizio xenofobo del blocco di Visegrad. Che peccato, e che vergogna.
Cristina Cattaneo, Naufraghi senza volto. Dare un nome alle vittime del Mediterraneo, Raffaello Cortina, Milano 2018. La recensione è apparsa sul sito Scienza in rete il 3 maggio 2019.