«Un contributo perfino provocatorio che inviti a un uso nuovamente coraggioso e libero della parola». Scrivono così, i 18 vescovi toscani, in una lettera che prende spunto dal mezzo secolo dalla morte di don Lorenzo Milani, e dalla visita a Barbiana compiuta da papa Francesco un anno fa, per impegnare comunità ecclesiale (ma – ritengo – anche comunità civile) in riflessioni serie su comunicazione e formazione.
La lettera sta uscendo con le Edizioni Dehoniane di Bologna. Ho avuto il privilegio di poterne vedere il testo, giorni fa, salendo a Barbiana con altri giornalisti toscani UCSI. Ce ne ha parlato don Alessandro Andreini, nostro assistente ecclesiastico: un comunicatore di bella ed efficace penna, certo non estraneo né al motivo per cui i vescovi hanno deciso di fare questo passo né ai contenuti del testo.
Un testo che si apre con tre «dediche»: un Luca evangelista, che ricorda il rapporto fra insegnamento di Cristo e sua autorità (e dunque credibilità); un Lorenzo Milani, sintetizzato in quattro sue parole fondamentali («La lingua fa eguali»); un Mario Luzi, con la bellezza di una sua lirica («Vola alta, parola») che unisce Assoluto e umanità.
Otto i capitoli di un documento che si fa leggere bene, ma che impegna. E in un contesto nel quale impegno e lettura sono considerate oscenità è tristemente facile ipotizzare che fine rischia di fare.
Molte e in genere emozionanti le citazioni. Evidente, per chi abbia ancora voglia di non arrendersi, la sua utilità pratica: il «ridare la parola ai poveri», che poi oggi siamo in tanti, potrebbe essere messaggio ri-fondante, ad esempio, anche per una politica troppo spesso ingannatrice; ma anche per un sistema mediatico, ancella di poteri sempre più misteriosi, che sta perdendo ogni rispetto per sé stesso e per il servizio chiamato a svolgere verso i cittadini.
Un documento che alza il velo su questioni di enorme impatto. Non so se riesce, in tutto, a «saldare il debito di riconoscenza» accumulato, dalle Chiese toscane e non solo, nei confronti di don Lorenzo Milani (forse sarebbe stato bello pronunciare, senza timore, una delle tre parole – la terza – che Francesco indica come il segreto nella relazione di coppia: «permesso, grazie, scusa»). Ma non può sfuggire l’importanza che tutti i vescovi toscani si ritrovino in un documento come questo.
Adesso la parola, in un testo che si intitola La forza della parola, spetta non solo ai vescovi ma all’intera Chiesa: spetta certo al clero (provocante ciò che don Lorenzo scriveva all’amico don Ezio Palombo sull’obbligo, per i preti, di «rendersi antipatici noiosi odiosi insopportabili a tutti quelli che non vogliono aprire gli occhi sulla luce»). Ma spetta a ciascuno di noi: sia a chi opera nei complicati mondi della informazione e della formazione, sia a un pubblico (concetto non casuale) ormai vittima di «strategie della distrazione» in cui tutti ci crogioliamo felici.
Intriganti i ripetuti inviti, dai vescovi, a «cercare parole nuove», a farlo con «coraggio» e «fantasia», a non farsi ingannare dalla «parola che distrae», a «non spegnere ogni scintilla che sprizzi», a «chiamare le cose con il loro nome», a «dominare le parole per capire il mondo», a «osare senza paura nuove forme espressive e nuove sintesi», a «non restare indifferenti al muro che l’ignoranza civile pone», ad «assumere lo spirito libero dei grandi esploratori non spaventati dal mare aperto e dalle tempeste».
Belli gli inviti sulla «parola che incanta, accarezza, guarisce» e sulla parola che «annuncia». Stimolante, specie per noi sempre connessi in un ambiente di odio e false verità, il difficile invito alla «pratica del silenzio», alla «purificazione del linguaggio», all’imparare a «pronunciare solo parole che nascono dal cuore, leggere e profonde, gentili e assorte, fragili e sincere, parole che fanno bene». Già: che farne, adesso, di questa lettera sulla forza della parola (e della Parola)?
Conferenza episcopale della Toscana, La forza della parola. Lettera su comunicazione e formazione a 50 anni dalla morte di don Lorenzo Milani, EDB, Bologna 2018, pp. 88. Il testo che qui riprendiamo è stato pubblicato sul blog La Trebisonda il 10 luglio 2018.