Se la sinodalità è «il cammino che Dio si aspetta dalla Chiesa del terzo millennio»,[1] la «Chiesa in uscita missionaria» è una delle novità che maggiormente caratterizzano il magistero di papa Francesco. Ne aveva parlato pochi giorni dopo la sua elezione a vescovo di Roma.[2]
Attorno al tema della «Chiesa in uscita missionaria» è costruito il programma pastorale consegnato all’esortazione apostolica Evangelii gaudium dove, in un tempo come il nostro che non è «solo un’epoca di cambiamento, ma un cambiamento d’epoca»,[3] «la riforma della Chiesa in uscita missionaria» per annunciare a tutti la gioia del Vangelo è indicata come la prima delle sette questioni sulle quali Francesco intende soffermarsi (EG 17),[4] essendo l’azione missionaria il paradigma di ogni opera della Chiesa (EG 15).
L’insistenza sulla necessità di una «Chiesa in uscita missionaria» o – come si usava dire in anni passati – di una «nuova evangelizzazione» non lascia forse trasparire la fatica che si sta facendo per continuare a trasmettere, soprattutto nei paesi di antica cristianità, la gioia del Vangelo?
E ancora. Nell’immaginare e nel contribuire a costruire una «Chiesa in uscita missionaria» si ha davvero coscienza che annunciare il Vangelo in un contesto di scristianizzazione e di secolarizzazione è cosa profondamente diversa rispetto al farlo quando la società poteva ritenersi «naturalmente cristiana»?
Sono due domande che – immagino – si sia posto Roberto Repole, docente di teologia sistematica presso la Facoltà teologica di Torino e autore di numerose pubblicazioni su tematiche ecclesiologiche, nell’accingersi a scrivere il poderoso[5] e illuminante volume edito di recente per i tipi dell’Editrice Querinana di Brescia con il titolo La Chiesa e il suo dono – La missione fra teo-logia ed ecclesiologia.
Obiettivo e struttura del saggio
Obiettivo del saggio è quello di offrire un nuovo paradigma in grado di ripensare la presenza della Chiesa «per sua natura missionaria» nel contesto dell’attuale cultura contrassegnata da una secolarizzazione che fragilizza la fede, dal pluralismo religioso che ha come effetto una relativizzazione della propria visione del mondo e da una globalizzazione che si nutre spesso del mito tecnocratico ed economico che provoca diseguaglianze e violazioni inaccettabili della dignità umana. Questo nuovo paradigma è individuato nel “dono”.
La tesi originale e innovativa che Repole propone è riassumibile nei termini che seguono: la Chiesa nasce dal dono di Dio, vive di esso e svolge la sua missione anzitutto partecipando, nello Spirito, della reciprocità di Cristo rispetto al Padre, la quale comporta una reciprocità dei cristiani tra di loro e una condivisione del dono divino (“ridondanza”) con l’intera umanità.
Il volume è strutturato in due grandi parti.
Nella prima parte l’autore, soffermandosi in particolare sul magistero del concilio Vaticano II, illustra l’indissociabilità dei termini Missione e Chiesa (cap. 1), ripensandoli all’interno del panorama culturale occidentale della postmodernità e della fine del regime di cristianità (cap. 2). Evidenzia, quindi, i limiti di alcuni paradigmi missionari del passato, oggi improponibili (cap. 3) e propone di adottare il paradigma del dono che, anche grazie alla riflessione fenomenologica che su di esso è stata fatta, ritiene quale preziosa opportunità per ripensare la missione connaturale alla Chiesa in modo da renderla plausibile nell’oggi e farne risplendere in modo nuovo il senso, senza svilirla né menomarla (cap. 4).
Nella seconda parte, interamente dedicata al ripensamento della missione della Chiesa secondo il paradigma del dono, dopo aver evidenziato come la Chiesa nasca dal dono divino, riassumibile nell’invio, da parte del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo all’umanità (cap. 5), considera come un tale dono sia riassumibile nell’ospitalità degli uomini e delle donne in Cristo e comporti un dinamismo di reciprocità asimmetrica con il Dio autore del dono e Dono stesso (cap. 6) e mostra, infine, come la fedeltà al dono dell’ospitalità ricevuta comporti l’annuncio evangelico come ridondanza del dono divino a beneficio di tutta l’umanità (cap. 7).
Missione e Chiesa: termini indissociabili
Che la missione evangelizzatrice non riguardi soltanto i paesi non evangelizzati, ma sia connaturale a quanto la Chiesa è e rappresenta nel mondo è un elemento acquisito in modo rinnovato con il magistero del concilio Vaticano II e con la riflessione teologica che l’ha preceduto (a volte anticipato) e seguito, investigandolo e sviscerandolo. Ne tratta diffusamente il primo capitolo del saggio (pp. 13-41).
Mentre il Proemio del Decreto conciliare sull’attività missionaria della Chiesa presenta quest’ultima in termini di «sacramento universale di salvezza» che «si sforza di portare l’annuncio del Vangelo a tutti gli esseri umani» (Ad Gentes 1), l’incipit del primo capitolo afferma che «la Chiesa durante il suo pellegrinaggio sulla terra è per sua natura missionaria, in quanto è dalla missione del Figlio e dalla missione dello Spirito Santo che essa, secondo il piano di Dio Padre, deriva la propria origine» (AG 2).
Questa fondamentale acquisizione è dovuta – secondo Repole – ad almeno tre fattori. Uno è rappresentato dal rinnovamento teologico che si è avuto intorno al tema della missione, a partire dall’inizio del secolo XX anche in collegamento con la nascita del movimento ecumenico. L’altro è rinvenibile nella presa di coscienza che l’Europa occidentale, tradizionalmente cristiana, può ormai essere definita essa stessa come «terra di missione» che obbliga la Chiesa a ripensare la sua presenza in un contesto di fine della cristianità. Il terzo è costituito dalla consapevolezza che, con il concilio Vaticano II, per la prima volta nel corso della sua storia la Chiesa ha iniziato a pensarsi in termini non più di Chiesa europea occidentale ma di «Chiesa mondiale».
Chiesa missionaria in una società secolarizzata, pluralista e globalizzata
La complessità del nostro contesto culturale viene magistralmente indagata dall’autore, in un proficuo dialogo con autorevoli filosofi, sociologi e teologi contemporanei: è il contenuto del secondo capitolo (pp. 42-79) del volume.
Tre sono gli elementi che caratterizzano profondamente la cultura attuale, coi quali ci si deve confrontare per reinterpretare la missione evangelizzatrice della Chiesa: la secolarizzazione che segna la fine del regime di cristianità, il pluralismo religioso che obbliga a confrontarsi con credenti e comunità religiose diverse dal cristianesimo, la globalizzazione che si nutre spesso del mito tecnocratico ed economico che provoca diseguaglianze e violazioni inaccettabili della dignità umana.
Secondo il docente torinese di teologia sistematica, un modello plausibile nell’oggi di missione della Chiesa dovrebbe comprendere le seguenti istanze: il Vangelo, lungi dall’imporsi come un atto di violenza, di prevaricazione o di imposizione, deve proporsi sempre nello stile del rispetto del principio della caritas nei confronti dell’altro; il dialogo autentico con altri credenti e altre comunità religiose, pur necessario, non può comportare il ridimensionamento della fede cristiana e la relativizzazione della verità; l’annuncio del Vangelo è intimamente congiunto alla promozione dell’umano, alla sollecitudine per i poveri e al contrasto di ogni forma di reificazione delle persone.
Per ricercare un nuovo paradigma in grado di ripensare la missione della Chiesa nell’oggi, Repole ritiene utile, nel terzo capitolo (pp. 80-100) del saggio, richiamare sommariamente i modelli fondamentali secondo cui la missione è stata pensata nell’arco della storia (il modello della «Chiesa antica» caratterizzato dall’intolleranza contro il paganesimo e il giudaismo), quello della «missione realizzata» per la quale era inconcepibile che esistessero civiltà e religioni diverse dal cristianesimo, quello ad gentes motivato dall’esigenza di “propagare la fede” in luoghi sconosciuti fino alla scoperta delle Americhe, senza tralasciare quello del (difficile) confronto con l’illuminismo e la modernità che sognava (e ancora sogna, in certi contesti) un impossibile ritorno al regime di cristianità medioevale.
Il paradigma del dono
Il nuovo paradigma per ripensare in modo convincente la missione evangelizzatrice della Chiesa dopo la fine del regime di cristianità e nell’attuale contesto di pluralismo religioso e di globalizzazione è individuato nel “dono”: categoria intrinsecamente connessa al cristianesimo e sulla quale già in passato Repole ci aveva regalato una bella riflessione.[6]
«Se è vero – scrive il docente torinese di teologia sistematica – che il mondo attuale è segnato dalla secolarizzazione, dal pluralismo religioso e dalla globalizzazione, non è meno vero che esso è anche caratterizzato dalla pratica del dono e da una riflessione su di esso, che ha avuto una crescente importanza in questi ultimi anni» (pp. 99-100).
Nelle oltre cinquanta pagine del quarto capitolo (pp. 101-150) l’autore dialoga con alcuni tra i pensatori contemporanei che si sono occupati del dono, tanto sul piano filosofico quanto su quello antropologico-sociale.
Dal confronto con essi è possibile far emergere quattro caratteristiche fondamentali del dono:
(1) il dono, per essere tale, deve essere gratuito, privo di interesse e non volto a ricercare alcun contraccambio;
(2) ciò non significa che tale generosa gratuità sia priva di finalità. Il dono, infatti, mira ad una reciprocità buona tanto del donatore che del donatario, all’interno di una gratuità libera e liberante che comporta anche il rischio che il dono venga rifiutato;
(3) se però il dono va a buon fine, il donatore si rende presente al donatario e al contempo lo accoglie, in modo che tra i due nasca un legame buono sintetizzabile nella loro reciproca ospitalità;
(4) il dono, infine, può essere ricevuto come tale solo se dona a sua volta se stesso, cioè se il donatario ne garantisce la “ridondanza” nei confronti di altri in modo creativo e dinamico. C’è dono, cioè, solo laddove vi sia la sua ridondanza.
Rileggere la missione della Chiesa utilizzando la prospettiva del dono è quanto Roberto Repole si propone di fare nella seconda parte del suo lavoro.
Il dono che fonda la Chiesa
Per dimostrare come all’origine e a fondamento della Chiesa ci sia Gesù Cristo e lo Spirito Santo, quale dono straordinario fatto da Dio a beneficio dell’intera umanità, nelle quasi cento pagine del capitolo quinto (pp. 157-247) l’autore allarga la sua riflessione in tre direzioni.
Con riferimento alla vicenda di Gesù di Nazaret morto e risorto, la cui prassi può essere sintetizzata all’insegna della sovrabbondanza del dono del «regno di Dio» dalle potenzialità profondamente umanizzanti, offre una preziosa sintesi di cristologia.
In relazione, poi, all’altra fondamentale dimensione del dono divino fatto all’intera umanità e che fonda la Chiesa, costituita dal dono dello Spirito, delinea i tratti essenziali di una teologia dello Spirito o pneumatologia.
Con una «operazione sempre vertiginosa, ma inevitabile per portare ad intelligenza la fede in Dio» (p. 208), cerca, infine, di penetrare la vita intima di Dio – Dono per eccellenza e Vita straripante – il cui più grande desiderio è quello di far partecipare tutta l’umanità alla sua stessa vita in quanto Dio è smisurato nel suo amore.
Cosa vuol dire per la Chiesa vivere del dono di Dio
Il dono divino che fonda la Chiesa, consistente nell’invio, da parte del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo all’umanità, è riassumibile nel trovare, da parte dell’umanità, spazio e accoglienza – che Repole riassume nella categoria dell’“ospitalità” – in Cristo, la quale instaura una libera, reciproca e gratuita risposta d’amore tra donatore e donatario, andando oltre ogni rapporto di tipo mercantile fondato sulla logica del do ut des.
Nel capitolo sesto dell’opera (pp. 248-315), l’autore offre una risposta alla seguente domanda: che cosa vuol dire, per la Chiesa, popolo di Dio, vivere della reciprocità di un dono che non impone, non violenta, non strumentalizza, ma che semplicemente “ospita”?
Almeno quattro le risposte.
In primo luogo, la missione ecclesiale non può essere intesa unicamente come una fatto intellettualistico, ma deve essere primariamente un’esperienza vissuta e resa disponibile. La Chiesa può sentirsi ed essere in uscita missionaria e il Vangelo raggiungere altri anche in un’epoca come la nostra segnata dalla fine della cristianità solo se i cristiani renderanno ragione della loro fede cristica innanzitutto attraverso la loro testimonianza di vita personale, familiare e sociale.
Inoltre, la prospettiva del dono mostra come la Chiesa debba essere pensata non come qualcosa di raggiunto, ma quale evento continuo e dinamico (“ecclesiogenesi”) che implica un «movimento dall’alto» e un corrispettivo «movimento dal basso»: è dono e compito, non cosa fatta. Scrive Repole: «La Chiesa nasce quando viene creduta la notizia che Gesù è il Signore. Ciò non di meno questa nascita non si arresta mai, se quel che avviene è di trovare spazio in Cristo» (p. 280).
In terzo luogo, vi è una dimensione fondamentale che la Chiesa deve mantenere e testimoniare: il suo esistere come spazio in questo nostro mondo in cui Dio venga riconosciuto, lodato, amato e corrisposto, con la stessa libertà, la medesima intenzione di gratuità e lo stesso disinteresse con i quali Dio ha donato se stesso nel suo Figlio e continua incessantemente, attraverso di lui, a donare il suo Spirito. Questo è già un aspetto decisivo della missione della Chiesa ed è qualcosa che rappresenta un Vangelo, oggi, rispetto alla logica utilitarista e strumentalizzante che caratterizza alcuni aspetti della nostra cultura.
Infine, una Chiesa che voglia rendere disponibile il Vangelo per gli uomini e le donne di oggi non può che coinvolgere tutto il popolo di Dio. Oggi costituisce patrimonio assodato a livello teologico che il compito missionario coinvolga tutti e ciascuno dei credenti in Cristo. Ma non è detto che i cristiani siano messi nella condizione di esercitare davvero tale diritto-dovere, anche a motivo della carenza di idonee, robuste e permanenti proposte formative ad essi indirizzate.
Un dono da condividere
«La Chiesa non potrebbe essere fedele al dono che la abita e la fa esistere se non rendendolo disponibile per altri. Non farlo, accaparrarlo, ritenerlo un possesso esclusivo sarebbe il modo con cui dissolverlo quale dono, pervertendolo in una realtà che ne snatura il tratto caratteristico della gratuità» (p. 316).
Il dono, come il bene, è diffusivum sui. C’è dono solo laddove vi sia la sua ridondanza.
Repole dedica, con puntuali, illuminanti e coinvolgenti considerazioni, a questa decisiva particolarità del dono e della missionarietà della Chiesa il contenuto dell’ultimo capitolo del suo lavoro (pp. 316-392). E lo fa evidenziando come il dono di cui la Chiesa vive e che ha la missione di rendere disponibile a tutti debba essere “ridondato” in tre direzioni: nell’annuncio, nella prassi e nella presenza pubblica.
In un orizzonte di fine cristianità e di secolarizzazione come quello delle contemporanee società occidentali l’annuncio e la trasmissione della fede devono esplicitarsi in termini di fioritura dell’umano, grazie alla testimonianza non solo di singoli cristiani ospitali ma di comunità cristiane ospitali. Scrive Repole: «Evangelizzazione e promozione umana, annuncio evangelico e prassi liberatoria, non soltanto non sono antitetici, ma rappresentano come le due facce della stessa medaglia» (p. 336).
In un tempo come il nostro nel quale l’afasia di molte istituzioni finisce con l’avallare forti diseguaglianze sociali o riduzioni dell’umano provocate dalla globalizzazione dell’indifferenza, la Chiesa rende disponibile il dono di cui vive sia attraverso la cura e la prassi ospitale in particolare verso i poveri e le vittime delle ingiustizie, sia attraverso la vigilanza critica nei confronti di tutti i meccanismi che producono «marginalizzazione o amputazione dell’umano» assieme ad «esclusione delle persone o riduzionismi antropologici».
Fa parte della missione evangelizzatrice della Chiesa anche il dialogo interreligioso. Quest’ultimo, se intrattenuto dalla Chiesa con le altre religioni gratuitamente e come effusione del dono inesauribile e mai definitivamente circoscrivibile che la fa esistere e di cui vive, «le consente – scrive Repole – di scoprire nuove profondità dello stesso Cristo in nome del quale essa si dona» (p. 378), nella consapevolezza che «tracce dello stesso Cristo vivo nello Spirito» e «raggi della verità» si possono trovare in altre tradizioni religiose.
Da ultimo, il dono di cui vive la Chiesa non è in alcun modo riducibile ad un fatto individuale. Esso coinvolge la totalità della sua vita, compresa la dimensione sociale e pubblica. L’importanza della presenza ecclesiale anche nella scena pubblica e in ordine al buon funzionamento della società è giustamente affermata nel concilio Vaticano II. Paradigmatico, al riguardo, continua ad essere quanto affermato dalla Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo. Nella giusta visione dei rapporti tra la comunità politica e la Chiesa che una società pluralista implica, la Chiesa «nella fedeltà al Vangelo e nello svolgimento della sua missione nel mondo ha come compito di promuovere ed elevare tutto ciò che di vero, buono e bello si trova nella comunità umana», rafforzando in tal modo «la pace tra gli uomini a gloria di Dio» (GS 76). La Chiesa, infatti, crede fermamente che il suo messaggio sia «in armonia con le aspirazioni più segrete del cuore umano quando essa difende la dignità della vocazione umana», non tolga «alcunché all’uomo», ma infonda invece «luce, vita e libertà per il suo progresso» (GS 21).
[1] Francesco, Discorso pronunciato il 17 ottobre 2015 in occasione della commemorazione del 50° anniversario dell’istituzione del Sinodo dei vescovi. La XVI Assemblea eenerale ordinaria del Sinodo dei vescovi, che si terrà nel mese di ottobre del 2022, avrà come tema Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione.
[2] Il 18 marzo 2013, in occasione della veglia di Pentecoste con i movimenti e le associazioni laicali, aveva detto che la Chiesa, di fronte ai problemi e alle crisi del mondo contemporaneo, non deve chiudersi nella solitudine, nello scoraggiamento e nel senso di impotenza, ma aprirsi decisamente a tutte le periferie, cercando sempre di evitare la malattia spirituale dell’autoreferenzialità.
[3] Francesco, Discorso del 10 novembre 2015 in occasione dell’incontro con i rappresentanti del V Convegno nazionale della Chiesa italiana.
[4] Nell’enciclica Laudato si’ Francesco afferma di aver scritto l’esortazione apostolica Evangelii gaudium rivolgendosi «ai membri della Chiesa per mobilitare un processo di riforma missionaria ancora da compiere» (LS 3).
[5] Le oltre 400 pagine richiedono un certo impegno per essere lette interamente. Personalmente, prima di affrontare la lettura integrale dei sette densi capitoli, mi sono fatto una prima idea leggendo l’introduzione generale, le introduzioni delle due parti, le introduzioni e le conclusioni di ogni capitolo e l’epilogo che contiene un’efficace e magistrale sintesi dell’itinerario percorso.
[6] Roberto Repole, Dono, Rosenberg & Sellier, Torino 2013.