Era il 1997. Frequentavo il secondo anno delle superiori e condividevo con diversi compagni di classe la passione per manga e anime (rispettivamente fumetti e cartoni animati giapponesi). Per noi appassionati quell’anno fu molto importante perché segnava l’arrivo in Italia di quello che sarebbe diventato l’anime nipponico più influente, acclamato e allo stesso tempo criticato, la serie animata che avrebbe segnato indelebilmente l’immaginario fantascientifico e religioso a lui successivo nell’industria culturale mondiale.
Parliamo di Neon Genesis Evangelion, serie televisiva animata di 26 episodi creata dallo studio Gainax, sceneggiata e diretta da Hideaki Anno e trasmessa in Giappone nel 1995. La serie fu disponibile in Italia su VHS tramite Dynamic Italia a partire dal 1997 e trasmessa da MTV tra il 2000 e il 2002.[1] Dal 21 giugno 2019 la serie e i due film di animazione conclusivi Death end rebirth e End of Evangelion sono nuovamente disponibili per gli spettatori di tutto il mondo grazie a Netflix.[2]
La storia
La storia di Evangelion inizia in Giappone nel 2015: il mondo porta ancora i segni del second-impact, catastrofe ecologica dalle cause misteriose che ha visto lo scioglimento dei ghiacci dell’Antartide e tutte le conseguenze ambientali annesse. Nel presente degli eventi narrati l’umanità deve sventare una minaccia alla quale si sta preparando dalla fine del second-impact: la venuta degli angeli.[3]
Questi ultimi, molto diversi dall’iconografia consueta, sono esseri dalle sembianze mostruose e astratte che cercano di attaccare Neo-toyo 3, città fortificata sotto la quale si estende una cavità sotterranea chiamata Geofront, sede dell’agenzia speciale NERV, fondata dalle Nazioni Unite per contrastare la minaccia degli angeli. Per affrontarli la NERV ha messo a punto gigantesche macchine da combattimento umanoidi chiamate Evangelion, anche dette unità Eva.
Gli Evangelion possono però essere pilotati soltanto da ragazzi di 14 anni appositamente scelti, poiché solo loro possiedono forme d’onda cerebrali capaci di armonizzarsi con quelle degli Eva e dirigerne così i movimenti. Tra i ragazzi scelti per pilotare una delle unità c’è Shinji Ikari, figlio di Gendo Ikari, direttore della NERV.
Aspetti innovativi
Sono molti gli elementi di pregio che hanno reso celebre l’anime di Hideaki Anno, primo fra tutti l’impressionante livello tecnico. L’animazione di alcuni combattimenti delle unità Eva, insieme a scelte di regia inedite per un cartone animato, fecero gridare al miracolo gli addetti ai lavori, ma la tecnica nell’opera di Anno non ha solo una funzione estetica.
Ciò che più colpisce di Evangelion è la volontà di prendere un’intera tradizione di narrazione visiva e riscriverne completamente il DNA. I robot giganteschi ai quali il mondo dell’animazione nipponica ci aveva da sempre abituati vengono completamente rivisti dall’opera di Anno. Gli Evangelion non sono semplici mecha[4] ma esseri di carne e sangue la cui corazza esterna, che ci li fa apparire come inquietanti robot, non è altro che un sistema di costrizione per evitare che questi ultimi possano rivelare la loro reale potenza distruttiva.
Altra caratteristica di Evangelion sono i lunghi monologhi interiori dei personaggi, accompagnati visivamente dal susseguirsi di scritte, fotografie, o schizzi preparatori, una sovversione completa di tutto un certo modo di intendere l’animazione e quella nipponica in particolare. Menzione speciale va fatta anche per l’utilizzo della musica, particolare l’impiego di quella classica per le scene di combattimento. Queste caratteristiche sono del resto presenti fin dalla sigla di apertura che chiarisce bene come dalla serie non ci si potrà aspettare qualcosa di facile e lineare.
L’altro aspetto innovativo e destabilizzante è invece quello narrativo. Colpisce infatti il massiccio utilizzo di elementi teologici tratti dalla tradizione ebraica e cristiana, nonché di diversi elementi esoterici propri dell’immaginario gnostico e cabalistico, come nel caso dei nomi angelici. Quello di Evangelion è un mondo in cui scienza e religione sono strettamente legate e sono anzi la diretta conseguenza l’una dell’altra. In questo senso la serie è un patchwork straniante e affascinante di fantascienza e religione come pochi altri nel genere.
Un incubo teologico e psicologico
La massiccia presenza di riferimenti teologici è a servizio del vero tema della serie e cioè le relazioni tra i personaggi e il loro percorso di crescita. Questo aspetto è centrale nella vicenda di Shinji, il protagonista. Orfano di madre e abbandonato dal padre all’età di quattro anni viene invitato dopo dieci anni di silenzio dallo stesso genitore a salire a bordo dell’unità Eva-01 per combattere gli angeli.
Nelle intenzioni di Gendo, il padre, non c’è di certo il ricongiungimento con il figlio: lui vede in Shinji solo uno strumento per raggiungere i suoi scopi. Shinji invece sale a bordo dell’Eva non tanto con l’idea di salvare l’umanità quanto di poter essere finalmente figlio di suo padre.
A differenza dei modelli adolescenziali che siamo soliti vedere in film e serie TV occidentali – dove il figlio desidera solitamente essere libero dal giogo dei genitori – Shinji vuole invece a tutti i costi essere figlio e riconosciuto come tale dal padre. Shinji e così gli altri piloti di Eva sono bambini chiamati a essere adulti senza essere mai stati figli.
In questo processo di conoscenza sono coinvolti anche gli angeli. Ognuno di essi viene sulla Terra per uno scopo preciso ma ogni attacco rivela la loro volontà di sondare in diverso modo aspetti differenti dell’animo umano. Forse gli angeli sono lasciati soli da Dio? D’altra parte Dio non è mai presente e pochissimo citato, mentre tutta la serie si muove unicamente sul piano delle creature e anche gli angeli, pur essendo forse più vicini alla natura divina, desiderano ricongiungersi all’umanità per dare inizio ad un rinnovamento degli spiriti e dei corpi.
Tuttavia la serie sembra volerci dire che l’unico progetto per il perfezionamento dell’umanità perseguibile è quello di scoprire la forza dei legami familiari. Essere una famiglia, crescere dei figli che possano essere veri adulti grazie ad adulti che hanno raggiunto la maturità necessaria per essere genitori.
Neon Genesis Evangelion è a tutti gli effetti un incubo teologico e psicologico dalle tinte pop che a distanza di venticinque anni dalla sua uscita continua a essere nuovo, a turbare, a porre domande. Caotica, graficamente ineccepibile, profonda e allo stesso tempo superficiale, la serie di Hideiki Anno rimane e rimarrà un tassello fondamentale dell’immaginario del XX e XXI secolo.
[1] Nel 2007 Anno ha lanciato invece Rebuild of Evangelion, nuova versione cinematografica dell’anime composto di quattro film di cui l’ultimo in uscita nel 2020. I nuovi film d’animazione sono una narrazione alternativa della serie TV che sfocerà in un finale completamente diverso.
[2] Nel momento in cui pubblichiamo questo articolo Netflix ha comunicato il momentaneo ritiro del doppiaggio italiano dalla piattaforma fino a data da destinarsi (la serie è visibile sottotitolata). Subito dopo la pubblicazione il 21 giugno, infatti, la serie ha fatto molto discutere in Italia per il nuovo doppiaggio voluto da Netflix ma giudicato da fan e addetti ai lavori come un tradimento dei contenuti della serie. Il problema è stato dovuto principalmente all’utilizzo di alcuni termini in aperto contrasto con il precedente adattamento, che rendono di difficile comprensione gran parte dei dialoghi.
[3] Nella serie gli angeli portano nomi angelici tratti dal Talmud, tuttavia il termine giapponese shito, coi quali vengono indicati, significa letteralmente apostoli.
[4] Termine con il quale vengono identificati i robot giganti dei celebri anime come Voltron, Mazinga Z, Daitarn 3 ecc.