Ci siamo. È giunto il momento di rompere gli indugi e andare oltre gli oratori e i patronati nelle forme pastorali che ci sono familiari. È arrivato il tempo di vincere le nostalgie, salutare “la terra dei padri” e procedere con coraggio in una terra pastorale nuova, in gran parte ancora da esplorare e abitare.
Il compito e la sfida che interpella la Chiesa di elaborare nuove forme e modelli pastorali, stili e prassi di annuncio in discontinuità con quelli attuali riguarda infatti anche e forse più ed ancor prima di altri ambiti ecclesiali la pastorale giovanile e il mondo degli oratori.
Superare lo stallo
Il sistema oratorio si trova in una situazione di stallo: da un lato aumenta la consapevolezza di dover procedere secondo drastiche logiche riformatrici, dall’altro sembra prevalere ancora la convinzione che il cambiamento possa limitarsi all’ennesimo sforzo adattativo, restando nel solco della tradizione.
“L’oratorio è nudo!”: come nella nota fiaba di Andersen, questa immagine provocatoria descrive la sua situazione attuale. Un’immagine forte che evidenzia il venir meno dei pilastri su cui si fondava il “mito” dell’oratorio: la figura carismatica del sacerdote, il protagonismo giovanile, il radicamento territoriale e l’identità cristiana condivisa.
A partire da questa consapevolezza nasce Campo Base. L’oratorio che verra?, un testo che invita a procedere con coraggio ad una diversa forma pastorale oratoriana giovanile, un nuovo “sogno”, come fu a suo tempo il sogno generativo di San Giovanni Bosco.
Attraverso un’analisi lucida e appassionata, il testo ripercorre la storia dell’oratorio, prendendo anzitutto in esame i due modelli che hanno caratterizzato la vicenda oratoriana moderna dalle sue origini: il modello “oratorio cittadella”, ovvero il tentativo di proporre un’alternativa educativa attraente alla modernità; l’“oratorio carovana”, ovvero l’investimento sulla progettualità e la sinergia rinnovata tra le componenti interne all’oratorio e parrocchiali per favorire un’esperienza integrale di educazione alla fede.
Un viaggio che mette in luce non solo i successi di un’istituzione che ha segnato la vita di tante persone, ma anche le sue crescenti difficoltà nell’adattarsi ai tempi che cambiano
Oratorio nuovo in forme nuove
Entrambi i modelli si sono esauriti con l’ingresso nel nuovo millennio, venendo meno sia il mito fondativo su cui si è retto oratorio moderno fin dalle sue origini, sia la capacità dell’oratorio di ben sintonizzarsi e intercettare i cambiamenti della condizione giovanile.
Il libro, tuttavia, non vuole solo raccontare una storia, ma soprattutto scuotere le coscienze sollecitando una riflessione sul destino di un’istituzione cara a molti, l’oratorio, e sul suo ruolo nel panorama socio-religioso contemporaneo, segnato da un profondo cambio d’epoca.
Il punto non è “ripartire meglio”, ma immaginare forme originali di presenza e di azione pastorale, capaci di intercettare le sfide della “modernità liquida” e di accompagnare le giovani generazioni nel loro cammino di crescita e di ricerca di senso.
Si tratta andare oltre interventi correttivi o aggiornamenti – strade già percorse più volte in passato – e riconsiderare quei presupposti e comportamenti “dati per scontati” – e dunque per molti versi “invisibili” – che condizionano le scelte e l’agire pastorale di oratori e patronati.
Un compito senza dubbio assai arduo, che richiede un cambio di paradigma radicale, ed assumere una forma nuova, ispirata al concetto di “antifragilità”.
Nuove tessiture di senso
Ma non si tratta di arrendersi. Anzi, proprio dalla consapevolezza della crisi nasce la spinta verso un modello pastorale nuovo, in grado di rigenerare l’oratorio e di renderlo nuovamente un luogo significativo per i giovani.
Ed è qui che entra in scena l’immagine del “Campo Base”: non più una realtà autocentrata e sicura ma un punto di riferimento aperto e flessibile, realtà leggera, mobile, aperta, luogo di partenza per nuove ascensioni e di ritorno per rielaborare le esperienze vissute e favorire nuove tessiture di senso, in una ritrovata unità di corpo, vita, spirito.
Una nuova forma pastorale che privilegia la valenza trasformativa dell’esperienza, il primato dei processi rispetto ai progetti, l’uscita verso nuove aperture e l’utilizzo di metafore e situazioni di tipo iniziatico.
Il libro – disponibile sia in formato cartaceo che ebook – si rivolge a responsabili ed operatori pastorali, educatori, genitori e a tutti coloro che hanno a cuore il futuro dell’oratorio: una sollecitazione a prendere posizione in questo processo di cambiamento: invita a non restare passivi, a mettersi in gioco, ad avere un ruolo, a diventare protagonisti di una nuova stagione per l’oratorio.
Campo Base offre una “mappa”, una cornice di riferimento da completare e dettagliare attraverso un lavoro di ascolto e di discernimento, in un percorso corale che coinvolga tutta la comunità ecclesiale.
Perché è tempo di coltivare germogli e lasciare che si sprigioni la creatività della comunità giovanile, di immaginare il nuovo, lasciarlo emergere. È tempo di “gettare le reti dall’altra parte”, di osare, di sognare, di costruire insieme un futuro nuovo per l’oratorio e per la pastorale giovanile.
Non ho letto il libro ma la recensione fa presagire “Un mare di chiacchiere senza senso. ”
C’è una parola che tutti capiscono al volo “oratorio” più ancora che parrocchia chissà perché?
Ma all’autore piace stare con i ragazzi? e vivere con i rompiballe degli adolescenti?
Concordo perfettamente con l’intervento di cui sopra. Una pastorale centrata sugli oratori è destinata ad mantenere perennemente la Comunità in un eterno stadio adolescenziale/giovanile. La crisi degli oratori è strettamente legata all’evanescenza della Comunità cristiana; evanescenza prorogata dal corto circuito, che ha sovrapposto la Comunità educante alla Comunità cristiana. Il tutto per non prendere drammaticamente coscienza del caratere etero della Comunità cristiana. Quel che è peggio è che di questo vuoto quasi non se ne parla. Anche il nostro grande Papa ha qualche spunto sulla Comunità cristiana nell’Evangelii Gaudium e poco più.
Non ho letto il libro e quindi l’intervento è affidato ad una visione di insieme. Senza trascurare un discorso di fede che ci viene anche dalle letture domenicali recenti: andare all’altra sponda – andare altrove – la fiducia in Gesù, se non lo lasciamo dormire – il buttare la rete sulla Sua parola…ecc: (le immagini bibliche non mancano), mi sembra di unirmi al dialogo così.
Indubbiamente c’è un calo demografico, ma il futuro parte dal presente senza farsi sorprendere; tuttavia puntare solo sugli oratori o pastorale giovanile è come pensare a sostituire il campanello senza prendersi cura della casa… Insomma, si inizi pure dai giovani, per una azione di re-impianto, se questi possono essere la componente ecclesiale più stimolante all’obiettivo, ma evitando parzialità di settore col rischio di cattedrali nel deserto o isole felici.
Mi sembra che ormai da alcuni anni, pur con forti nostalgie, la E.G. stia spingendo in questa direzione; ognuno per la sua parte. Anche il Figlio di Dio ha perseguito il progetto del Padre, ma nel rispetto dei tempi: “Quando i tempi furono maturi” ( =cioè lavorando per la maturazione e non facendo la fine di tante rivoluzioni, partite con buone intenzioni e finite nel sangue. ). Con tanta simpatia ed incoraggiamento. Un sacerdote di Verona, con ormai qualche anno di esperienza pastorale -Raffaele
Un mare di chiacchiere senza senso. Educare con semplicità attraverso la testimonianza cristiana no?
Dal mio modesto punto di vista, in Italia, dato il calo demografico – basti pensare che nel 2023 sono nati solo 300.000 bimbi che tra 13/14 anni saranno adolescenti – occorre pensare non solo l’oratorio (che tra 15 anni esisterà ancora?), ma la pastorale incentrata troppo sui giovani, anche perché questi saranno davvero pochi.