Confesso che aspettavo da tempo un libro come questo. Il biblista, docente a Udine, Padova e Milano, è uno dei più apprezzati e competenti paolinisti italiani, nonché uno dei più quotati allievi e successori dell’indimenticabile neotestamentarista mons. Rinaldo Fabris. Il suo dettato è limpido, conciso, documentato e aggiornato.
Come lui stesso ricorda nell’introduzione (pp. 5-8), il suo testo vorrebbe tendere a una certa qual completezza, senza limitarsi a essere o una biografia di Paolo, o una pura introduzione alle sue lettere o uno studio della sua sola teologia. Egli vuole integrare tutte e tre le dimensioni del grande Apostolo: biografia storica, introduzione letteraria e contenutistica alle lettere, sintesi della sua teologia.
È importante sempre tener presente che Paolo non scrisse trattati, ma lettere, cioè strumenti comunicativi contingenti. Per capire il pensiero paolino è necessario quindi conoscere le circostanze storiche in cui le missive sono state concepite, le cause che le hanno originate, gli scopi che Paolo si prefiggeva, le strategie argomentative di cui si serviva per conseguirli e, infine, il contenuto che intendeva trasmettere.
Del volume di Romanello menzioneremo solo alcune linee risolutive circa alcuni punti discussi fra gli studiosi, senza soffermarci sul contenuto delle lettere e della teologia paolina, in genere già ben studiate ed esposte.
Nei primi tre capitoli (pp. 9-90), l’autore fornisce le principali coordinate storiche, religiose e sociali necessarie per inquadrare la figura di Paolo. Le due fonti principali sono le lettere paoline e gli Atti degli Apostoli.
Paolo nacque nella prima decina d’anni dell’era cristiana; è più o meno contemporaneo di Gesù.
Circa la questione spinosa della cronologia paolina, lo schema riassuntivo proposto è il seguente: 32-33 ca. Esperienza di Damasco; 35-36 ca. Incontro con Cefa a Gerusalemme; 49-50 ca. Assemblea di Gerusalemme; 50-52 Missione a Corinto; 55 Prigionia a Efeso; 57-59 Arresto a Gerusalemme e detenzione a Cesarea; 60-62 Detenzione e martirio a Roma.
Paolo nacque a Tarso in Cilicia da famiglia forse originaria di Giscala in Galilea («notizia che […] è da considerare con estrema riserva» (p. 41), lavora manualmente, ha vari parenti, è un fariseo originario della diaspora, con tirocinio formativo a Gerusalemme, persecutore del movimento cristiano perché egli riteneva incompatibile con il credo ebraico la predicazione di un messia crocifisso – e quindi maledetto da Dio sulla base della Legge (cf. Dt 21,23) –, «poiché l’annuncio strabiliante della risurrezione di una persona crocifissa comporta una smentita di alcune convinzioni della Legge cui Israele era indissolubilmente legato» (p. 40).
«Chiedersi da quale generazione la sua famiglia risiedesse a Tarso e come abbia potuto godere della cittadinanza romana sono questioni cui probabilmente non potremmo mai dare risposte» (p. 40).
Come Flavio Giuseppe, Paolo poté forse sposarsi tardi (Flavio Giuseppe lo fece a trent’anni, cosa non usuale), ma è «probabile ritenere che il fariseo Paolo, al pari di Flavio Giuseppe, non si fosse sposato da giovane, e che, a seguito dell’esperienza di Cristo risorto, sia rimasto in tale condizione, ritenendola dono di Dio conveniente alla sua missione apostolica» (p. 46).
Paolo «non ha inteso l’evento di Damasco come conversione-cambio di fede, e non ha rinnegato con questo il proprio credo ebraico» (p. 56). Egli non usò mai il termine “conversione” in riferimento a quell’evento.
Per Romanello, comunque, esso fu una «svolta enorme avvenuta nella sua fede ebraica: continuando a professare la propria fede nell’unico Dio di Israele, Paolo non può fare a meno di professare anche la fede nel Figlio, riconosciuto a pari titolo come Signore» (ivi). Si confronti 1Cor 8,6. In ogni caso, «non si potrebbe immaginare un cambiamento più radicale di un persecutore che diventa apostolo» (ivi).
Paolo diventa apostolo delle genti, i primi destinatari della sua fatica apostolica e, alla fine dei suoi viaggi missionari, è condotto prigioniero a Roma. «Se però il particolare dell’esecuzione di Paolo mediante decapitazione ha una base storica, si dovrebbe concludere che egli è stato condannato a morte come cittadino romano in seguito a un regolare processo, e non nelle esecuzioni sommarie dei cristiani ordinate da Nerone per stornare i sospetti popolari circa l’incendio di Roma del luglio del 64 d.C., di cui parla lo storico romano Tacito (Annali 15,44,2-5)» (p. 86).
Romanello esclude un’eventuale liberazione e un successivo viaggio in Spagna (fra l’altro, Paolo dà l’addio definitivo ai territori d’Oriente a Mileto: cf. At 20,25.38). Tutte questo porta «i più a ritenere che l’apostolo Paolo abbia concluso al sua vicenda terrena dopo i due anni di custodia romana» (p. 87).
Se Paolo fosse stato liberato, Luca lo avrebbe detto perché conferiva ulteriore favore alla sua tesi della crescita del movimento cristiano in modo compatibile con le strutture dell’impero romano. Non menziona la morte di Paolo perché la corsa della Parola è giunta a Roma, capitale dell’impero che arriva ai confini della terra, e perché ormai la sua vicenda è finita.
Luca lo propone come modello al lettore sotto il profilo testimoniale (predica a Roma, con parrēsia, e senza impedimento).
Con la finale reticente Luca interpella il lettore e gli fa capire che «l’annuncio è ormai non opera dei primi testimoni storici, ma affidato alla successiva generazione dei credenti, e così può non terminare con la sua fine» (p. 87).
Nel c. IV (pp. 91-110), molto importante e innovativo forse per qualche lettore, Romanello illustra il genere epistolare nell’antichità e il suo rapporto con le lettere di Paolo. Descrive la composizione di queste ultime a livello di indirizzo iniziale e di poscritto finale e spiega il rapporto che le lettere possono intrattenere con i tre generi letterari della retorica classica per quanto riguarda i discorsi (pp. 102ss).
Nell’esegesi di Paolo si è ormai imposta a livello universale l’importanza decisiva dell’analisi retorico-letteraria per poter comprendere correttamente il contenuto teologico delle sue lettere. È quindi indispensabile conoscere la distinzione dei tre generi letterari dei discorsi secondo la retorica classica per quanto riguarda il loro fine, il tempo di riferimento e il metodo seguito.
Il genere deliberativo ha come fine l’utile, il tempo è riferito al futuro e il metodo è quello del consigliare o sconsigliare. Si tratta di persuadere a prendere alcune decisioni su prassi da compiere. Subordinate all’utile possono essere comprese altre dimensioni, quali il giusto e il bello.
Il genere giudiziario ha come fine il giusto, il tempo è riferito al passato, il metodo è quello dell’accusare o del difendere. Si tratta di valutare se azioni compiute da soggetti siano state compiute rettamente o siano passibili di accusa.
Il genere epidittico ha come fine il bello, il tempo è riferito al futuro e il metodo è quello di lodare o biasimare. Si tratta di argomentare circa il bello in senso aristotelico, cioè affine al buono. Le lettere di Paolo non sono discorsi di tipo forense e quindi le regole della retorica classica vanno applicate ad esse cum grano salis. Le possono seguire alcune volte e in modo parziale (cf. l’utile schema riportato a p. 102).
È innegabile, però, che non si può capire l’argomentazione di Paolo se non si conosce ciò a cui si riferisce, l’uditorio che ha davanti, ciò che egli vuole comunicare. Questo è comprensibile solo se si è attenti a come Paolo argomenta il suo dire, cioè le sue strategie argomentative. Occorre, in sostanza, fare attenzione all’inventio, cioè alla capacità di trovare argomentazioni persuasive, alla dispositio, cioè all’ordinamento degli argomenti e alla strutturazione del discorso, e all’elocutio, cioè all’uso di parole e frasi opportune con cui esprimere i propri argomenti. Paolo usa varie figure di parola (chiasmi, parallelismo, inclusione, anafora, enumerazione, litote, antanaclasi ecc.).
Di capitale importanza per comprendere l’andamento argomentativo delle varie lettere paoline è, prima di tutto, individuare la tesi fondamentale o propositio principalis che Paolo intende dimostrare ed enucleare le diverse probationes (di vario tipo) che egli appronta per raggiungere il suo scopo. Sono importanti anche la refutatio o confutatio della tesi avversaria, la peroratio conclusiva e riassuntiva (non a carattere esortativo come si può pensare…). Non infrequenti anche la digressio, la concessio e altri accorgimenti retorici.
Vorrei rinviare, solo ad esempio, alle affermazione positive circa la Legge presenti in Rm 7,12. Sono esposte come concessio, e non come espressione positiva del pensiero globale di Paolo circa il tema!
Non conoscere il preciso tenore retorico del contesto può essere esiziale per la comprensione esegetica e teologica delle autentiche posizioni teologiche dell’Apostolo…
Nel c. V (pp. 111-198) Romanello delinea un’introduzione alle sette lettere «indisputate» (chiamate perciò da altri studiosi homologoumena): 1Ts, 1Cor, 2Cor, Fil, Fm, Gal, Rm). Di ciascuna di esse l’autore illustra la datazione e l’occasione (che non combacia con lo scopo!), la composizione retorico-letteraria e lo sviluppo argomentativo.
Le sei lettere della tradizione paolina son presentate invece nel c. VI (pp. 199-268), adottando lo stesso metodo impiegato per l’analisi delle precedenti: datazione e occasione, composizione retorico-letteraria, sviluppo argomentativo. Sono le lettere «discusse» (chiamate perciò da altri studiosi antilegomena): 2Ts, Col, Ef (che l’esegeta Pitta classifica come appartenenti alla prima tradizione paolina; molti invece le denominano come deuteropaoline); le Lettere Pastorali (1Tm, 2Tm, Tt; classificate da Pitta come appartenenti alla seconda tradizione paolina e chiamate da altri tritopaoline).
Posteriori a Paolo, le lettere della tradizione paolina (meglio evitare il termine “scuola”), custodiscono e aggiornano il pensiero dell’Apostolo in un contesto ormai mutato a venti o trent’anni dalla sua morte. Esaltano l’autorevolezza del loro pensiero attribuendolo a quello del loro maestro Paolo mediante il fenomeno della pseudepigrafia. Conosciuta e praticata nell’antichità, che non conosce il diritto d’autore, essa non costituisce un fenomeno di plagio o di manipolazione dei testi, ma è intesa come opera positiva di preservazione e attualizzazione del pensiero del proprio maestro.
Nella terza parte del suo lavoro (c. VII, pp. 269-344), Romanello espone il pensiero teologico paolino. Ne traccia dapprima il profilo storico e canonico, per poi passare all’esposizione della cristologia (cristologia a due stadi – morte e risurrezione – e alla sua evoluzione con la preesistenza), e dell’unicità di Dio e la sua opera salvifica. Affronta quindi l’antropologia e la soteriologia, nella quale lo studioso vede presenti cinque modelli: interpersonale, commerciale, cultuale, giuridico, partecipazionista. Segue l’esame della storia della salvezza e dell’escatologia, dell’esistenza cristiana (triade teologale ed etica), dell’ecclesiologia (i cristiani come ekklēsía, il «corpo di Cristo», carismi e ministeri), della Scrittura e della Legge nel pensiero di Paolo.
La bibliografia è riportata alla fine di ciascun capitolo e un ulteriore apporto, distinto secondo le varie lettere di riferimento, alla fine del volume, quale aiuto per l’approfondimento (pp. 345-352).
Nato dalla scuola e destinato primariamente agli studenti di teologia del corso istituzionale, il volume si raccomanda per l’esposizione seria, didattica e aggiornata di un’introduzione alle lettere di Paolo. Esse hanno bisogno di essere spiegate e comprese sempre meglio, sia per evitare penosi casi di incomprensione – con relativi giudizi tanto ingenerosi quanto frutto di ignoranza –, sia per gustare a pieno la profondità e la passione del discorso teologico di Paolo, a tutt’oggi uno degli esponenti di spicco dell’autocomprensione cristiana della fede.
Stefano Romanello, Paolo. La vita – Le lettere – Il pensiero teologico, (Guida alla Bibbia s.n.), San Paolo, Cinisello B. (MI) 2018, pp. 360, € 35,00, ISBN 978-88-922-1638-9.