L’appassionato di ebraico moderno, o ebraico israeliano, trova di che gioire di questo volumetto approntato da due professoresse che hanno voluto collaborare e unire i loro sforzi nel far apprezzare la lingua «nuova», nata dalle profondità della storia, ma ibrida per le contaminazioni con lo yiddish e altri prestiti da lingue europee, e sistematizzata alla fine dell’Ottocento da Eliezer ben Yehudah.
La prima autrice, Sarah Kaminski, insegna letteratura e lingua ebraica moderna a Torino; la seconda, Maria Teresa Milano, ebraico biblico allo Studio teologico interdiocesano di Fossano (CN).
Dopo un capitolo di taglio storico circa la formazione della lingua ebraica moderna, il volo intrapreso dalle due autrici fa sorvolare con ebbrezza sei luoghi esemplificativi della terra e dello spirito dell’Israele odierno.
Da Gerusalemme il volo spicca verso sud, verso il mondo affascinante del deserto e nella città di Beer Sheva, posta sul limitare delle rocce sabbiose del Negev settentrionale.
I monti punteggiano da Nord a Sud Eretz Israel: Gherizim, Sion, Tabor, Carmel, Hermon e Moriah, Gilboa e il Nebo della Giordania.
Sopra Safed, la città mistica e artistica della Galilea settentrionale, città della kabbalah, non volteggiano più le colombe bianche che venivano a sentire la voce incantevole di Rabbi Israel Moshe Najara. Se ne sono andate dopo averlo accompagnato alla «Casa Eterna».
Nella Safed del XVI secolo lo studioso cabbalista rav Slomo Halevi Alkabetz compose Lecha Dodi, la poesia per l’anima che lungo i secoli accompagnerà l’accoglienza della «sposa Shabbat». E sul sabato plana, infine, il volo delle due autrici e del lettore.
Le due studiose hanno illustrato ognuno dei luoghi menzionati con versetti biblici, poesie e canti di autori antichi, medievali e moderni. La struggente Yerushalayim shel zahab («La Gerusalemme d’oro») – che si può ascoltare su You Tube cantata dalla splendida voce di Naomi Shemer – è il secondo inno nazionale di Israele. La poesia sull’albero di ulivo di Nathan Alterman introduce le pagine che fanno assaporare il gusto del deserto del «Negev da ripopolare». Le parole di Ben Gurion si accompagnano alla poesia di Erez Biton su Dire il deserto e la canzone per il deserto Lek lek lammidbar di Haim Hefer.
Ogni albero di Eretz Israel ha la sua poesia o la sua canzone: l’ulivo e il mandorlo, l’acacia e il melo, il tamarisco e il sicomoro di Tel Aviv.
Bella l’idea di far narrare alle voci stesse dei rabbi una specie di Spoon River ambientata a Safed, la città santa al pari di Gerusalemme. Tormentata da epidemie e da terremoti (devastante quello del 1837), la cittadina posta sui monti della Galilea rinasce sempre di nuovo intorno ai suoi mistici e cabbalisti. Essa è il luogo dove nel 1563 Eliezer ben Ytzhak Ashkenazi apre la prima casa editrice e tipografia di tutto il Medio Oriente. Qui parla ancora Bar Yochai, a cui si attribuisce la composizione dello Zohar. Qui si sono rifugiati i marrani perseguitati ed espulsi dalla Spagna (1492) e dal Portogallo (1498).
In questo luogo dove «un mondo intero è racchiuso in un pezzo di terra», risuonano ancora le voce di Rav Moshe di Trani, quella di Rav Yaakob Berav, maestro di almeno quattro illustri discepoli, fra cui Yosef Caro (1522-1570). Egli fu autore di Bet Yosef, riassunto poi nello Shulchan Aruch («Tavola pronta»), raccolta di disposizioni giuridiche valide tutt’oggi. Insieme a Moshe ben Yaakob Cordovero, conosciuto nei circoli religiosi con l’acronimo Ramak e autore di Pardes Rimmonim («Giardino dei melograni»), divenne capo del sinedrio di Safed.
In questa città risuona anche l’insegnamento di Rav Yitzach Luria (1534-1572), meglio conosciuto con il titolo di Ha’ari Hakkodesh («Il santo leone»), maestro della mistica cabbalistica. A Safed c’è una casa di studio intitolata a Yitzach Luria conosciuta come Hakel Tappuhim («il campo delle mele»). Tutti gli anni si compie un pellegrinaggio al vicino monte Merom, dove c’è un santuario dedicato alla memoria di Rabbi Shimon Bar Yochai. Nel cammino si canta un canto popolare che menziona «il campo di mele», che lo Zohar considera come titolo al giardino di Eden (di qui il detto di Ha’ari: «Per dare il benvenuto al sabato andate al campo delle mele sante»). Dice il canto: «Bar Yochai, campo di mele / sei asceso per cogliere lì delizie, / il segreto della Torah nei boccioli e nei fiori, / “facciamo l’uomo è stato detto per te”».
Tel Aviv, la città vecchia-nuova, nasce nel 1909 sulla distesa di sabbia lambita dal «Mare Occidentale», la città dei colori. Il fotografo Avraham Soskin riprese in uno scatto memorabile la scena della «lotteria delle conchiglie», durante la quale a ognuna delle 60 famiglie presenti fu assegnato in sorte un appezzamento di terra. Solo sabbia e niente intorno. «Qui non c’è acqua! – gridò uno dei presenti –, voi siete tutti matti». Ma la città crebbe, con caratteristiche strutturale, architettoniche e «spirituali» del tutto opposte a quelle della santa e religiosa Gerusalemme dei monti.
Nella vicina Giaffa – dal 1950 unita a Tel Aviv in un’unica città Tel Aviv-Yafo, sbarcò proveniente dall’Ucraina il più grande poeta classico di Israele, Chaim Nachman Bialik, che si costruirà una villetta a Tel Aviv. Fu l’ennesimo ebreo sbarcato nei secoli nel posto accogliente di Yafo. Anche lui sarà inebriato come tutti dal gusto delle arance degli agrumeti che circondavano la “città bianca”.
Un libro gustosissimo, appetitoso per gli studenti di ebraico, con molti testi in originale ebraico (biblico, medievale, moderno) vocalizzato, con traduzione al seguito (nell’ultimo capitolo inspiegabilmente, viene riportato solo il testo in italiano). Assieme alla correzione di alcune sviste autoriali e redazionali, auspico che il libro potrà essere arricchito in futuro con delle cartine geografico-storiche e un utile glossario, che lo renderanno ancora più ricco e intrigante.
Sarah Kaminski – Maria Teresa Milano, Ebraico (Fondamenta s.n.), EDB, Bologna 2018, pp. 230, € 22,50, ISBN 978-8-10-43216-7