La frase di Gv 4,10 è citata dall’autore, membro della Comunità delle Beatitudini, nella penultima delle 14 meditazioni e riflessioni – alcune già pubblicate in riviste di spiritualità –, dedicata a santa Teresa d’Avila e al suo Castello interiore. Dio abita nell’anima, un castello con molte stanze, da scoprire con gioia. Il sottotitolo del libro fa capire come l’autore ci tenga a far notare che nella vita spirituale è necessaria la recettività, oltre che il dono generoso di sé.
La recettività spirituale è al centro del primo capitolo (pp. 7-26), e si basa sulla perseveranza nella preghiera, sulla fiducia e l’umiltà, sull’obbedienza e sulla pratica della pace interiore, unite al distacco e alla gratitudine.
«Del mio Dio lo sguardo e il sorriso che rapisce, ecco il mio cielo» (santa Teresa di Gesù Bambino, Lettera 127 a Celina, 426). La frase folgorante di Teresa è al centro dello splendido secondo capitolo del libro, «Sotto lo sguardo di Dio con Teresa di Lisieux» (pp. 27-46). Lo sguardo di Dio dona la vita, distingue per eleggere, riveste di bellezza, imprime la somiglianza con Gesù. È uno sguardo che segue, accompagna, dona vita e fecondità; uno sguardo che purifica, perché ringiovanisce donando la santità con uno sguardo di speranza. Gesù guarda la nostra bellezza profonda, il figlio di Dio che è in noi, la gloria e lo splendore che sono già nostri. «Dio ci vede già nella gloria e gioisce della nostra futura bellezza, che per lui è presente. Come può il buon Dio, che ci ama così tanto, sopportare di vederci soffrire qui in terra? si chiedeva un giorno Teresa. E rispondeva: perché “ci vede già nella gloria”» (p. 36). Per l’anima è necessario vivere sotto lo sguardo di Gesù, anche quando velato dalla sua sofferenza.
Il terzo capitolo (pp. 47-64) è dedicato al paradosso paolino della forza presente nella debolezza. Non ci si deve spaventare della propria debolezza, perché lo Spirito Santo vuole una Chiesa dei poveri e nella fede posso aprire la mia debolezza alla potenza di Dio. La debolezza non è un ostacolo, ma una via.
Col quarto capitolo (pp. 65-86) Philippe si confronta a lungo col tema della libertà, “smontando” le concezioni attuali di libertà come onnipotenza, completa autodeterminazione, indipendenza, facoltà di scegliere e spontaneità. La libertà può solo essere collegata all’amore, e basarsi sulla fede e sulla speranza. La felicità dell’anima sta nella sua libertà di amare.
Altri capitoli, più brevi, si soffermano sulla pace interiore, sulla ricerca della propria identità e sull’eucaristia. Questa meditazione è strutturata in tre parti, riflettendo sul rapporto tra eucaristia e fede, speranza e carità.
Affascinante il capitoletto sul toccare Dio nella preghiera. Il tatto, il primo dei sensi a formarsi, ha il vantaggio assente negli altri: la reciprocità. Si tocca venendo toccati. Nella preghiera segnata dalla fede possiamo «toccare» Dio. È ciò che hanno sperimentato santa Teresa d’Avila e Hetty Hillesum, vivendo nella pace e nell’abbandono, nell’accoglienza piena della realtà e nell’«aiutare Dio» quando lui sembra non si faccia sentire. Portare amore ovunque ci si trovi, vincendo il male con il bene. Con una tale spiritualità, maturata negli anni, si può arrivare perfino ad amare anche i nazisti che ti sterminano insieme a tutta la tua famiglia.
Volume che rasserena e apre i polmoni ad una spiritualità serena, equilibrata, fondata sull’amore intriso dalle virtù teologali, sull’esempio di grandi santi della spiritualità carmelitana. Il linguaggio semplice e le frasi concise e profonde rendono l’opera piacevole da leggere e da assimilare.
Jacques Philippe, Se tu conoscessi il dono di Dio. Imparare a ricevere, collana «Itinerari», EDB, Bologna 2017, pp. 176, € 13,50. 9788810513590