Un saggio stimolante e di godibilissima scrittura. Dai numerosi spunti che intercettano domande oggi particolarmente diffuse nei contesti ecclesiali occidentali. Con un titolo decisamente intrigante: Pomeriggio del cristianesimo. Il coraggio di cambiare (Vita e Pensiero, Milano 2022). SettimanaNews già ne ha pubblicato, il 14 marzo 2023, una bella recensione di Gabriele Ferrari.
Autore è Tomáš Halík. Un filosofo, teologo, sociologo e psicologo della Repubblica Ceca con il quale prima o poi, come afferma José Tolentino de Mendonça, deve confrontarsi «chiunque oggi s’interessi dell’attualità del cristianesimo» (cf. quarta di copertina di Tomáš Halík, Pazienza con Dio, Vita e Pensiero, Milano 2020). Un intellettuale che diffida dei possessori della verità che non lasciano «nessuno spazio al dubbio, alle domande critiche e a ulteriori ricerche» (p. 206).
Un credente non dogmatico (p. 223) che ama confrontarsi con gli atei non dogmatici perché è convinto che, «quando la fede di un credente attraversa le fiamme del purgatorio della critica atea, può accedere a uno spazio libero come fede più profonda, più pura, più matura» (p. 226). Un teologo consapevole che Dio «a noi non giunge solamente come risposta, ma anche come interrogativo, giunge nel desiderio di comprendere, travalica qualsiasi risposta parziale, apre interrogativi sempre nuovi, stimola nuove ricerche e imprime alla nostra esistenza un carattere errante» (p. 46).
Cristianesimo nel pomeriggio della sua storia
Il titolo del volume, Pomeriggio del cristianesimo, riprende un’immagine di Carl Gustav Jung, il fondatore della psicologia del profondo, che, nella sua opera L’Âme et la Vie, paragona gli stadi della vita umana ai momenti di una giornata.
Il mattino è tempo della vitalità, dell’azione, dell’infanzia, della giovinezza e della prima età adulta: è il periodo in cui si sviluppano i dati fondamentali della personalità. Il mattino coincide con la storia del cristianesimo dal suo inizio fino all’età moderna: «un lungo periodo in cui la Chiesa ha edificato in primo luogo le sue strutture istituzionali e dottrinarie» (p. 54).
All’età del mattino segue la crisi del mezzogiorno: momento di pausa, di possibile stanchezza, di perdita di entusiasmo. Come in ogni crisi, si può vivere quella del mezzogiorno come opportunità: non per tornare indietro, ma per andare oltre, dando spazio a componenti dell’esistenza trascurate o sconosciute. A livello ecclesiale, la crisi del mezzogiorno arriva – con epicentro nell’Europa centrale e occidentale – dal tardo Medioevo fino all’illuminismo, «l’epoca della critica delle religioni e della diffusione dell’ateismo, e sino alla fase seguente che ha portato a un lento superamento dell’ateismo in favore dell’apateismo, dell’indifferenza religiosa» (p. 54).
Il pomeriggio della maturità e della vecchiaia è momento della vita interiore, della saggezza e delle scelte ponderate. Per pomeriggio del cristianesimo Halík intende l’irripetibile epoca storica che stiamo vivendo, nella quale, se sta inesorabilmente morendo un certo modo di essere cristiani e cattolici, sta prendendo forma un nuovo cristianesimo: la secolarizzazione, infatti, non ha causato, come si era ipotizzato da parte dei teorici del secolarismo, la fine del cristianesimo, ma la sua trasformazione (p. 57), facendo compiere alla fede cristiana un passo verso un’ulteriore autenticità (p. 60). Il pomeriggio del cristianesimo è «il tempo delle decisioni, il momento che non si deve lasciar passare e vanificare»; è l’ora critica dei cambiamenti «dei paradigmi sociali e culturali» (p. 35).
Alcune domande alle quali «Pomeriggio del cristianesimo» intende rispondere
Il libro è un invito a transitare «dalle macerie del cristianesimo di mezzogiorno, alla sua forma pomeridiana più matura» (p. 217), in grado di offrire risposte accettabili ad una lunga serie di domande particolarmente stringenti e di fondamentale importanza. Mi limito ad esplicitarne solo quattro che personalmente avverto essere di grande rilievo.
- Quali sono le forme di espressione della fede e del cristianesimo che emergono dalla crisi attuale che deve stimolarci non alla rassegnazione ma a trovare nuove strade e nuove opportunità per risvegliare negli uomini e nelle donne di oggi la forza terapeutica e umanizzante della fede?
- Come passare dalla religione alla spiritualità, intesa come stile di vita interiore della fede e come prassi esteriore che si esprime, a livello individuale e collettivo, nelle azioni dei credenti?
- Quale forma di Chiesa può rispondere ai bisogni della fede nell’attenzione agli odierni segni dei tempi?
- Come portare a compimento lo sforzo avviato dal Concilio Vaticano II di passare dal «cattolicesimo» alla cattolicità, promuovendo e consolidando un ecumenismo che non si limiti alle relazioni tra le Chiese cristiane, ma che si apra al dialogo interreligioso e si unisca allo sforzo di riunire l’intera famiglia umana nella fraternità e nella responsabilità comune verso l’intera creazione?
La fede è un viaggio e i cristiani sono uomini e donne della via
La fede, come la intende Tomáš Halík, «è qualcosa di assai più sostanziale del consenso prestato ad una articolo di fede stabilito dall’autorità ecclesiastica» (p. 28). Quello di Halik «è un libro sulla fede come via alla ricerca di Dio», come «atteggiamento esistenziale», come «orientamento» e «modo in cui stiamo al mondo e lo interpretiamo», piuttosto che come l’insieme di opinioni, convinzioni e credenze (p. 16).
Siamo cristiani e cristiane non perché crediamo nell’esistenza di Dio, ma perché conosciamo e crediamo l’amore che Dio ha per noi (1Gv 4,16): solo chi ama, infatti, «può comprendere che cosa significhi la parola Dio» (1Gv 4,8). «La fede è inseparabile dall’amore e noi abbiamo entrambi, fede e amore, solo in forma di speranza e desiderio, mai di possesso» (p. 182). Se vogliamo verificare l’autenticità della fede, «non cerchiamola in ciò che una persona professa a parole, ma nella misura in cui la fede è penetrata e ha cambiato la sua esistenza, il suo cuore» (p. 31).
«La fede è un viaggio, e per questo possiamo dire di essere sul cammino della fede anche quando ci affligge la sensazione della sua debolezza e insufficienza» (p. 175). «I discepoli di Gesù, prima di ricevere ad Antiochia il nome di cristiani, venivano chiamati la Via. Oggi, sulla soglia del pomeriggio del cristianesimo, la Chiesa deve tornare a essere la società della Via», sviluppando il carattere peregrinante della fede (p. 240).
Viviamo in un tempo e in uno spazio in cui la fede è chiamata ad uscire dalla casa delle certezze in cui abitava e a mettersi di nuovo in viaggio per cercare. Quello della fede è un dono immensamente prezioso della grazia di Dio: ma non meno preziosa è l’inquietudine del cuore umano «che non permette di adagiarsi in una forma di fede accolta o raggiunta, ma spinge sempre alla ricerca e al desiderio di andare oltre. Anche gli interrogativi critici, i dubbi e le crisi di fede possono divenire stimoli produttivi su questo cammino» (p. 187).
La fede che non si pone domande critiche può cadere nell’abisso non solo del bigottismo, ma anche dello scetticismo, del cinismo o della disperazione (p. 209), Una fede meditata e matura è terapeutica: «protegge da malattie infettive quali l’intolleranza, il fondamentalismo e il fanatismo» (p. 234).
«Per una fede che non smetta mai di essere ricerca di Dio, è importante la preghiera; non come mezzo degli umani per spingere Dio a esaudire i loro desideri, ma come creazione di un silenzio interiore in cui le persone provano a percepire la presenza del Dio nascosto e a capire la sua volontà» (p. 181).
La nostra fede e la nostra speranza non spogliano «il nostro amore della fedeltà alla terra, all’oggi e al presente, non tolgono al mondo la sua bellezza e alla vita nel mondo le sue serietà e responsabilità. Quando l’Assoluto, con un umile forse soffia la speranza nella nostra vita, piuttosto che indebolirla la rafforza. Quando un raggio di santità illumina la nostra quotidianità, le dona bellezza, gioia, libertà e profondità». Il Dio in cui i cristiani credono è un Dio che danza (pp. 224-225).
Peraltro, per quanto riguarda la parola Dio, Tomáš Halík si affianca a Karl Rahner «nel riconoscere come questa sia talmente carica di nozioni problematiche che forse sarebbe utile distanziarsene almeno in parte», nella convinzione profonda, tuttavia, che «se ignorassimo o rifiutassimo apertamente questa dimensione trascendentale, il nostro rapporto con la vita terrena non ne gioverebbe affatto in vitalità, pienezza e autenticità, piuttosto il contrario» (p. 220).
Dalla religione alla spiritualità
Una delle tesi fondamentali del libro di Tomáš Halík è che il futuro delle Chiese cristiane dipende sostanzialmente dal modo, dal tempo e dalla misura in cui sapranno comprendere l’importanza del cambiamento di rotta che deve compiere il cristianesimo: dalla religione alla spiritualità (p. 191). Spiritualità intesa come «stile di vita della fede» e come linfa che nutre l’esperienza sia interiore che esteriore della fede che si si esprime nelle azioni dei credenti nella società, nelle celebrazioni collettive e nella cultura (pp. 27-28). Anzi, il cambiamento di rotta dalla religione alla spiritualità è «la sfida principale per il cristianesimo ecclesiale di oggi» (p. 191).
Essere uomini e donne spirituali significa essere uomini e donne che non vivono solamente sulla superfice della vita, ma attingono dal profondo (p. 251). «La spiritualità aggiunge alla fede la passione, la vitalità, l’attrattiva, l’ardore; per questo non bisogna dimenticare, nel trasmettere la fede, la fiamma della spiritualità; non bisogna spegnerla, ma prendersene cura, se non vogliamo che della fede resti solo un’arida, impietrita religione» (pp. 202-203).
La spiritualità è la linfa e la passione della fede, è ciò che le dà vita e continuamente la ravviva, è l’apertura stessa per la quale la grazia, la vita stessa di Dio, può scorrere nella fede personale (p. 223).
La passione, il desiderio, l’esperienza interiore, la spiritualità costituiscono, per Halik, l’ortopatia (il giusto sentimento). Questa, preceduta dall’ortodossia (le giuste idee) e dall’ortoprassi (la giusta azione), è la terza, più profonda dimensione del vivere nella verità cristiana, «libro che nessuno di noi ha ancora letto sino alla fine» dal momento che «non siamo padroni della verità, ma amanti della verità e amanti di Gesù che solo può dire: Io sono la verità» (Tomáš Halík, Una via per il cristianesimo europeo, La Rivista del Clero Italiano, 2/2023, pp. 99-100).
Tomáš Halík è convinto che i punti focali del cristianesimo nel pomeriggio della sua storia saranno non le parrocchie territoriali, ma i centri spirituali (p. 238) quali «luoghi di adorazione e contemplazione, ma anche di incontro e di dialogo, dove sia possibile condividere l’esperienza della fede» (p. 237), con l’obiettivo di aiutare i cristiani non a barricarsi nelle loro cittadelle chiuse, ma ad essere lievito e sale nella contemporaneità (p. 240).
La religione è una forza che può essere usata in modo terapeutico o distruttivo: in determinate circostanze può trasformare i conflitti politici internazionali in un rovinoso scontro di civiltà. Va pertanto ricercato il modo in cui l’influenza morale della religione si unisce al «riparare il mondo»: può contribuire a questo la spiritualità. «Se le religioni del mondo sapranno sviluppare la propria dimensione spirituale, questa potrà contribuire in modo significativo al dialogo interreligioso, che è tra i compiti più urgenti della nostra epoca» (p. 125).
Per passare dalla religione alla spiritualità è fondamentale il ruolo della teologia. «Il linguaggio della teologia deve sorgere da una coscienza in ascolto di Dio e personalmente coinvolta». «Se Dio non è per noi un Tu personale, ma solamente un lui oppure quello – una cosa di cui possiamo parlare con distacco in modo impersonale, senza coinvolgimento, oggettivamente – allora non stiamo parlando di Dio ma di un idolo» (p. 205).
«La teologia aggiustata nella forma di un sistema chiuso e inconfutabile di sillogismi, in cui non c’è traccia del dramma della ricerca personale di Dio e della lotta tra fede e scetticismo» è sempre apparsa al nostro Autore «fredda e immobile come un corpo morto senza anima» (p. 206). Tra i compiti della teologia anche quello di elaborare le spinte riformatrici volute da papa Francesco (p. 118). La riforma della Chiesa, infatti, deve andare più in là della sola modifica delle strutture istituzionali: deve sgorgare da fonti teologiche più profonde e dal rinnovamento spirituale (p. 119).
Quattro forme di Chiesa
Quattro sono – per Tomáš Halík – le forme di Chiesa che possono rispondere agli attuali bisogni della fede: Chiesa come popolo di Dio in pellegrinaggio nella storia, Chiesa come scuola di sapienza cristiana, Chiesa come ospedale da campo, Chiesa come luogo di incontro e di dialogo per il servizio di accompagnamento spirituale e di riconciliazione (p. 229).
(a) La definizione di Chiesa come popolo di Dio in pellegrinaggio nella storia e, quindi, alle prese con incessanti cambiamenti «è un elemento cardine del Concilio Vaticano II» (p. 229).
«Questa immagine delinea una Chiesa in movimento e alle prese con incessanti cambiamenti» che, per nessun suo momento storico, può dire con il Faust di Goethe: sei bello, fermati! (p. 231). Come papa Francesco afferma al n. 160 dell’enciclica Fratelli tutti, «un popolo vivo, dinamico e con un futuro quello che rimane costantemente aperto a nuove sintesi assumendo in sé ciò che è diverso, Non lo fa negando sé stesso, ma piuttosto con la disposizione a essere messo in movimento e in discussione, a essere allargato, arricchito da altri, e in tal modo può evolversi» (p. 231).
(b) La Chiesa come scuola di sapienza cristiana richiede che si dia vita a «comunità di una nuova ermeneutica, di una nuova lettura, di una nuova e più profonda interpretazione tanto delle due forme della rivelazione divina – la Scrittura e la Tradizione – quanto della parola di Dio nei segni dei tempi» (pag. 80), intendendosi per tradizione il «movimento creativo di ricontestualizzazione dei contenuti religiosi e loro adattamento a nuovi contesti» (p. 107).
Le comunità cristiane devono essere «comunità di vita, preghiera e insegnamento» nelle quali vige la regola del contemplata aliis tradere, cioè del «trasmettere agli altri solo ciò su cui abbiamo precedentemente meditato noi stessi, che abbiamo assimilato e gustato interiormente» (p. 233).
«In molti Paesi le Chiese (…) stanno sempre più perdendo credibilità: non sono soltanto i non credenti ma anche una buona parte dei fedeli a ritenerle incapaci di offrire risposte competenti, convincenti e comprensibili alle domande fondamentali. Quando ascolto una predica o leggo lettere pastorali e un certo tipo di stampa religiosa, mi viene in mente che, oltre che sul perché le persone si allontanano, dovremmo indagare anche su dove trovano la forza e la pazienza quelli che rimangono» (pp. 130-131).
(c) La Chiesa come ospedale da campo deve «prendersi cura anche della salute dell’intera società» (p. 242).
Essa deve essere in grado di offrire «diagnosi» competenti con la lettura dei segni dei tempi, «prevenzioni» vigorose nei confronti di ideologie devastanti (come il populismo, il fondamentalismo e il nazionalismo,) «terapie» appropriate per guarire le persone ferite fisicamente, socialmente, psicologicamente e spiritualmente e «riabilitazioni» efficaci soprattutto là dove da lungo periodo perdurano traumi, colpe non pacificate, relazioni danneggiate (pp. 234-237). Si tratta di resistere alla tentazione di fare della Chiesa «un ghetto, un bunker fortificato e inaccessibile, un mausoleo per le certezze di ieri o un giardino privato per consumatori di sostanze calmanti e anestetiche» (p. 48).
(d) Dalla Chiesa, come luogo di incontro e di dialogo con tutti (pp. 237-240), ci si deve attendere un servizio di accompagnamento spirituale che si muova «al confine tra sfera religiosa e sfera secolare» e che abbia «una capacità molto sviluppata di empatia e di rispetto dei valori» (p. 249) professati dagli interlocutori.
L’accompagnatore spirituale non è necessariamente un servitore ordinato della Chiesa: può svolgere questo prezioso servizio chi pratica la contemplazione. È tale non chi vive sulla superficie della vita, ma chi attinge dal profondo (p. 251). «Scendere nel profondo non significa voltare le spalle alla nostra quotidianità e alle nostre relazioni con gli altri. Se spostiamo il baricentro della nostra vita su quel centro interiore, incontreremo in modo nuovo e più pieno Dio, ma anche le altre persone e l’intera orchestra della Creazione. Dio come profondità del reale è Dio in tutte le cose» (p. 252).
Passi concreti per far crescere l’ecumenismo
Altro compito del cristianesimo nella fase pomeridiana della sua storia è quello di compiere passi concreti per far crescere una nuova oikoumene, un nuovo ecumenismo (p. 145) che contribuisca a costruire ciò che papa Francesco nell’enciclica Fratelli tutti, ritenuta da Halík il documento più importante della nostra epoca, paragonabile alla Dichiarazione universale dei diritti umani (p. 258), chiama fratellanza umana (p.144) per riunificare tutta la famiglia umana nello sforzo teso ad assumere la responsabilità nei confronti del mondo che insieme condividiamo.
L’ecumenismo non può rimanere chiuso entro i limiti delle relazioni e dell’avvicinamento tra le Chiese cristiane (primo ecumenismo). Non può neppure rimanere circoscritto al dialogo interreligioso (secondo ecumenismo). C’è un terzo ecumenismo da praticare e consolidare: è quello che si pone in atteggiamento di dialogo con l’umanesimo secolare (p. 76), costruendo una reciprocità tra credenti e chi, pur non condividendo una fede religiosa (p. 144), non è chiuso al mistero che noi designiamo con il nome di Dio.
L’idea di un Cristo ben più grande delle idee che abbiamo di lui (p. 260), di un Cristo «decisamente molto più grande di quello descritto nelle varie predicazioni di carattere sentimental-moralistico o scolasticamente insipido degli ultimi secoli» (p. 164), di un Cristo «presente in tutte le creature» (p. 165), di un Cristo universale «presente nell’evoluzione del cosmo» (p. 259), di un Cristo «misterioso obiettivo escatologico della storia e anche di ogni vita umana» (p. 165), di un Cristo nascosto nel povero, nell’affamato, nel nudo, nell’indifeso, nel perseguitato (p. 169), offre al secondo e al terzo ecumenismo nuove opportunità di sviluppo e di consolidamento, consentendo di «avvicinarsi alle altre religioni e alle persone non religiose, ma spirituali» (p. 165), a chi ha «una sorta di fede cristiana anche in assenza di riferimenti espliciti al cristianesimo» (p. 132).