Anatole France, pseudonimo dello scrittore François-Anatole Thibault (1844-1924), fu accademico di Francia dal 1896 e ricevette il Premio Nobel per la letteratura nel 1921. Ateo, si avvicinò al socialismo e, nella sua opera letteraria, segui il filone dei ricordi d’infanzia, delle leggende cristiane e medievali e della satira sociale. Nel 1920 la Chiesa cattolica mise all’Indice tutte le sue opere.
Nella breve narrazione, raccolta nel 1892 in l’Étui de acre, una selezione di novelle, con una scrittura semplice e fluente l’autore narra del dialogo fra Ponzio Pilato e l’amico Elio Lamia. Pilato, anziano e malato, si sta recando nei Campi Flegrei a curarsi la gotta. Lamia, un romano esiliato in Oriente per aver insidiato una nobildonna di alto rango, era stato suo ospite per diciotto anni.
Il dialogo, che si svolge durante una cena, vede ambedue abbandonarsi ai ricordi della vita passata. Pilato è presentato come disgustato e amareggiato per la sua carriera troncata a causa delle resistenze e ribellioni incontrate in Giudea. Ritratto come un antisemita, egli dipinge il popolo come attaccato inspiegabilmente alle sacre tradizioni e domabile solo con la distruzione totale della sua capitale.
Pilato ricorda – con una memoria non venuta meno, dice lui – vari episodi che aizzarono la rabbia del popolo: l’introduzione delle insegne romane in Gerusalemme, la costruzione dell’acquedotto per il tempio (senza menzionare però che i soldi per i lavori li aveva prelevati dal tesoro del tempio), l’insurrezione dei samaritani al monte Garizim che lo costrinse a una repressione crudele che gli costò la carica e l’esilio. Pilato si ricorda di un popolo agitato da speranze messianiche, di un tipo che rovesciò delle tavole dei cambiavalute e dei venditore di colombe, di innumerevoli casi in cui il popolo si rivolgeva a lui per infliggere la morte a qualche nemico della loro religione. Un popolo di cui si era stancato e che disprezzava dal profondo del cuore.
Lamia ricorda anche le doti di bontà e di sana religiosità presente in quella regione, ma poi si sovviene soprattutto di un’avvenente danzatrice siriana – bellissima, sinuosa, seducente, dalla folta capigliatura rossa, dalla carne morbida fonte di caldo piacere – di cui si era innamorato e che inseguiva nelle bettole di Gerusalemme. A un certo momento era sparita dalla vista per seguire un giovane taumaturgo itinerante proveniente da Nazaret.
La passione per la donna fa sì che Lamia accenni alla figura di Gesù. «“Ponzio – gli domanda Lamia nelle ultime battute della novella –, ti ricordi di quell’uomo?”. Ponzio Pilato aggrottò le sopracciglia e si portò la mano alla fronte, come chi cerca qualcosa nella propria memoria. Poi, dopo qualche istante in silenzio, mormoro. “Gesù? Gesù il Nazareno? No, non me lo ricordo”».
Tranciante la risposta del procuratore della Giudea. In linea con linea totalmente minimalista della storiografia coeva su Gesù. Pilato aveva “incrociato” Gesù senza “incontrarlo” con la passione e il desiderio che trasforma un incrociarsi fortuito di persone con un vero “incontro”, ricorda Silvano Petrosino, docente di teorie della comunicazione e antropologia religiosa e media all’Università cattolica di Milano nella sua “Nota di lettura” dal titolo Una trama di incontri (pp. 37-54).
Lamia, invece, attraverso la passione per la donna riesce ad accennare anche a Gesù.
«Romanzo perfetto», lo definì Sciascia nella sua traduzione. Una novella che conobbe una fortunata ricezione nei lettori.
Anatole France, Il Procuratore di Giudea. Traduzione e nota di lettura di Silvano Petrosino (Lampi d’autore s.n.), EDB, Bologna 2018, pp. 56, € 7,00. 9788810567746