Profeta che stai nella notte e attendi, che fede e speranza abiti e porti una parola, parola che si fa carne, che si incarna e muove tra Dio e il tuo popolo, tra il tuo popolo e Dio. Profeta, tu urli la corruzione del genere umano, la fabbricazione di idoli, il consumo di idoli, l’idolatria mille volte declinata, tu cammini accanto a tanti falsi profeti che dicono quello che la gente vuole sentirsi dire, che millantano miracoli, che dicono come uscire dalla notte prima che sia l’alba, che promettono vane guarigioni, fuori dall’attesa, che tempestano di luci senz’ombre, giorno senza notte, tu gridi il sonno di Dio. Tu canti la vigna, la vigna che tocchiamo, coltiviamo, passeggiamo ogni giorno e che dimentichiamo, che avvizzisce, la vigna come nostro mondo con le nostre parole.
Israele, Europa. Vigna guastata, smantellata, ma rimane un seme, un resto che verrà e la tua parola suggerisce quel resto, canta quel resto, passi che saranno tracce per virgulti che cresceranno dopo di te. Canta, profeta, canta ancora, l’indurimento dei cuori porta a esser sordi al tuo canto, a non riconoscerti nelle parole nude e dure, a quel non girarci troppo intorno, a non esser morbido compromesso, a indicare i fuochi fatui. Interroghi gli uomini e interroghi Dio. Dici: sveglia, Dio. Fino a quando, Dio? Ti muovi non spostandoti dal cuore della notte, perché sei sentinella in attesa, proprio nel profondo della notte, là dove si illumina la luce più forte…
Dialoghi di notte e di aurora, parole che sorgono dalla sofferenza e la gioia di un popolo, parole che il canto di Isaia ha messo su rotoli tanto tempo fa, e che oggi abbiamo la possibilità di recuperare, solo se togliamo dal foglio della Bibbia la patina di polvere della distanza, della religione/istituzione. Non è un testo installato su chissà quale altura, ma un canto che si muove tra il quotidiano della corruzione, dell’isolamento, dell’esilio, della notte infinita e che annuncia l’alba. Non ci si avvicina alle parole di Isaia armati di preconcetti religiosi, di orgogliose separazioni, di stanche e sofisticate interpretazioni.
Il canto del profeta, su cui Luigino Bruni incentra il suo saggio di rilettura, il canto di Isaia e l’incontro con esso è “tappa fondamentale nel cammino spirituale e morale della persona”. Puro, grandissimo dono che non è luce incastonata in cielo, promessa di paradisi lontani: è qui, come era ai tempi di Israele e dell’esilio, della seduzione babilonese e dei falsi profeti, là come ora, nell’Europa vecchia, delusa, e impaurita dal suo buio. Il canto del profeta è un grido che spoglia, che s’incarna, che indica cosa Dio non è, cosa può diventare se allontanato dal vivente.
Tre libri, Isaia, il Secondo Isaia e il terzo Isaia, Il primo, il maestro di tutti, il secondo, il profeta dell’esilio, e il terzo che svolge la sua missione in mezzo a un popolo deluso, al ritorno dall’esilio. Là, nel cuore profondo della notte. Saper attendere, la vocazione, la voce che è dentro – intimo – e che viene da altro, lo stare nella notte, conoscere la notte coltivando, sapendo che arriverà, l’aurora. Il profeta non sa quando arriverà, non la prevede tecnicamente, ma è certo dell’alba.
Luigino Bruni, Dialoghi della notte e dell’aurora. Un rilettura di Isaia, EDB, Bologna 2018, pp. 248, . Recensione pubblicata sul sito web Mangialibri.