Teologa, filosofa, scienziata, psicologa, promotrice di una medicina alternativa, musicista, riformatrice dei costumi, profetessa – Ildegarda di Bingen (1098-1179) è stata una delle figure piú “intense e straordinarie” della storia della Chiesa. Nella sua multiforme produzione si palesa «la versatilità di interessi e la vivacità culturale dei monasteri femminili del medioevo» – come ha scritto Benedetto XVI in occasione di una delle due catechesi dedicate a Ildegarda, prima che lo stesso papa la proclamasse dottore della chiesa universale il 10 maggio 2012.
La monografia di Giordano Frosini offre una lettura attualizzante della personalità e dell’opera della “profetessa teutonica”, «nella convinzione che la riflessione teologica, che perdura piú o meno da venti secoli, costituisca un continuum che si distende progressivamente nel tempo, fino alla sua conclusione, che non è di questa terra» (p. 7). Un metodo che lo stesso Frosini non esita a definire sui generis e «che parte dall’analisi dei pensieri piú originali e fondamentali dell’autrice e del secolo di appartenenza e li confronta con gli sviluppi che si sono susseguiti in particolare nei nostri tempi in qualche modo proseguendoli e riportandoli fino ai nostri giorni» (p. 11s).
Già badessa all’età di 38 anni, Ildegarda entra come oblata nel monastero benedettino di Disibodenberg quando aveva otto anni. Nel 1150 fonda il monastero indipendente di Bingen, e nello stesso torno di tempo compone le liriche musicate raccolte nel Symphonia harmoniae caelestium revelationum. La notorietà della “sibilla renana” si diffonde rapidamente in tutta Europa, grazie alle numerose corrispondenze che ella intrattiene con papi, imperatori e influenti personaggi dell’epoca, tra i quali Bernardo di Chiaravalle, e ai viaggi missionari intrapresi, malgrado la sua cagionevole salute, per richiamare con zelo fustigatore gli uomini di chiesa alle loro responsabilità pastorali e per predicare l’ortodossia contro la pericolosa eresia dei catari tedeschi – di cui chiedeva la condanna all’esilio ma non l’uccisione.
Al culmine della sua fama, la badessa compone il Liber vitae meritorum (1158-1163) e inizia la stesura del suo capolavoro, il Liber divinorum operum, che porterà a termine nel 1174. «Pur non avendo frequentato i corsi del trivio e del quadrivio», rileva Frosini, Ildegarda esibisce una solida cultura, basata sulla conoscenza «della classicità latina, di Boezio, e di diversi padri della Chiesa come Ambrogio, Agostino, Girolamo, Gregorio Magno e Leone Magno» (p. 21). Ildegarda è stata a tutti gli effetti «una figlia del XII secolo» (p. 26), «inscindibilmente connessa con il suo tempo» (p. 29). Soprattutto, l’opera ildegardiana si colloca sullo sfondo filosofico di un platonismo ancora culturalmente egemone, che trova la propria sede d’elezione nella scuola della cattedrale di Chartres e che incentra la propria riflessione sulla cosmologia del Timeo, elaborando la controversa dottrina dell’anima mundi – respinta da Bernardo per i suoi presunti esiti panteistici.
Dopo alcuni cenni alla produzione scientifica di Ildegarda, fondata su una concezione «unitaria dell’universo e dell’uomo» (p. 51), di cui l’autore sottolinea la consonanza con l’enciclica Laudato si’ di papa Francesco – e al repertorio musicale ildegardiano – caratterizzato da «composizioni di tipo monodico, sulla linea del canto gregoriano» (p. 71), tra le quali l’Ordo virtutum, il primo dramma sacro della storia –, Frosini prende in esame le tre opere fondamentali della produzione teologica di Ildegarda, frutto delle rivelazioni divine che la badessa renana sperimentò fin dal quinto anno di vita, sempre accompagnate da un monito perentorio: «Divulga ciò che vedi e senti» (p. 76).
Le trentasei visioni dello Scivias (1141-1150), suddivise in tre parti, trattano degli «eventi della storia della salvezza dalla creazione del mondo alla fine dei tempi» (p. 54), presentandosi come una sorta di «catechismo per l’uomo comune» (Ibid.). La seconda opera maggiore di Ildegarda è il Libro dei meriti di vita, «un originale trattato di teologia morale», in sei capitoli contenenti trentacinque antitesi di vizi e virtú, che per l’intensità delle immagini utilizzate reggono il paragone con le grottesche raffigurazioni pittoriche di Hyeronimus Bosch (p. 59). Infine, il Libro delle opere divine, considerato il suo capolavoro teologico, in cui compare l’immagine della ruota con al centro l’uomo, prefigurazione del celebre Homo vitruvianus di Leonardo Da Vinci, simbolo di una concezione antropocentrica in cui l’essere umano è l’opus dei per eccellenza, il microcosmo «che riassume in sé e ricapitola l’intera perfezione del macrocosmo, trascendendola infinitamente per la presenza dello Spirito e delle facoltà dell’intelletto e della volontà» (p. 173).
Il problema di Dio nel pensiero di Ildegarda occupa una posizione di assoluta centralità nel saggio di Frosini: «Se Dio è amore, tutto è amore. […] È tutto qui il pensiero di Ildegarda di Bingen» (p. 108). «L’amore – scrive la profetessa – abbonda in ogni cosa,/ dal fondo dell’abisso/ fino all’altezza delle stelle» (Ibid.). Dio crea il mondo “ex amore” e non per propria gloria. È questo il “nuovo volto di Dio” che il concilio Vaticano II ha annunciato nella Gaudium et spes. «Dio è fuoco, da cui tutte le creature ricevono energia, vigore, viriditas» – categoria quest’ultima ricorrente nel discorso ildegardiano – che l’A. propone di tradurre con: «freschezza, attualità, forza di rinnovamento e fonte di giovinezza» (p. 12).
Alla base della teologia ildegardiana appare riconoscibile, sebbene in forma implicita, la dottrina platonica dell’anima mundi, il che indurrebbe Frosini a considerare la profetessa renana un’anticipatrice del panenteismo – termine introdotto nel discorso teologico in epoca successiva da un discepolo di Schelling, Christian Krause (1781-1812) – secondo cui «possiamo dire che Dio non è dentro il mondo, ma piuttosto che il mondo è dentro di lui» (p. 151). Questo dato giustificherebbe la prossimità tra la prospettiva di Ildegarda e quella di Meister Eckhart, prospettiva che trova, secondo Frosini, il proprio compimento nella teologia immanentista di Teilhard de Chardin, a cui è dedicato un intero paragrafo.
In questo orizzonte concettuale, la riflessione ecclesiologica di Ildegarda guarda alla chiesa come all’icona stessa del mistero trinitario: «come nelle tre persone divine c’è un solo Dio, cosí anche nei tre stati considerati [ministri ordinati, religiosi e laici] c’è un’unica chiesa» (p. 223). L’ecclesiologia di Ildegarda, insistendo sul primato della chiesa-mistero di contro alla chiesa istituzione – la chiesa ‘bellarminiana’ come ama definirla Frosini – precorre anche in questo campo le conclusioni del concilio Vaticano II.
Il saggio si chiude con la presentazione dell’escatologia di Ildegarda, dominata dal senso drammatico della lotta incessante tra il bene e il male, in cui l’uomo è chiamato a collaborare con Dio, perché, afferma Frosini – citando A. Torres Queiruga –, «è dall’intelligenza dell’uomo che dovrebbero nascere i miracoli della liberazione dal male» (p. 168). Se il panenteismo si rivela in questo modo capace di suggerire nuove soluzioni all’annoso problema della Teodicea, sulla profezia ildegardiana della fine del mondo – scandita da cinque epoche di decadenza che ricalcano il modello dell’Esameron biblico – sembra invece pesare il retaggio di «un’epoca che non ha saputo leggere fino in fondo il messaggio evangelico, che è lieta notizia per la vita e per la morte, per il presente e per il futuro, per il tempo e l’eternità» (p. 242). L’opera di Ildegarda, tuttavia, trascende ampiamente i limiti della propria epoca – come il saggio di Frosini ha il pregio di documentare – anticipando, con profetica lungimiranza, sviluppi ed esiti della riflessione teologica attuale.
Giordano Frosini, Ildegarda di Bingen. Una biografia teologica, EDB, Bologna 2017, pp. 270, € 28,00. La recensione di Igor Tavilla è stata pubblicata su Studia Patavina 65(2018)1, 154-156.