«Una città che la gente desideri visitare. Un cielo nel quale la gente voglia volare. Un rifugio segreto che noi stessi vorremmo. E un mondo edificante, senza problemi e agitazioni. Una volta la terra era un bel posto. Facciamo un film così».
Nella sua corsa per colmare tutti gli spazi dell’intrattenimento audiovisivo, Netflix ha recentemente compiuto un’operazione importante per gli amanti del cinema e di quello di animazione in particolare, permettendo così anche alle generazioni più giovani di godere di alcuni capolavori del genere, peraltro non facilmente reperibili nel circuito dell’home-video. Da febbraio ad aprile, infatti, la piattaforma streaming sta rendendo disponibili diversi film dello studio Ghibli e alcuni tra i più importanti film del maestro indiscusso dell’animazione giapponese, il premio oscar Hayao Miyazaki.
I film di Miyazaki e in generale dello studio Ghibli – studio cinematografico di film d’animazione giapponese fondato dallo stesso Miyazaki e altri due suoi collaboratori nel 1985 – rappresentano l’anima più profonda e vitale dell’animazione nipponica, troppo spesso ricondotta nel nostro immaginario a opere intrise di esagerazione e violenza. Miyazaki ha sempre portato avanti nei suoi lavori idee molto chiare e avere la possibilità di riscoprire oggi alcune tra i suoi più importanti capolavori non può che fare bene al pubblico occidentale, nutrito per la maggior parte dell’immaginario americano. Tra le tematiche ricorrenti nell’opera del regista giapponese troviamo l’antimilitarismo, l’ecologia, il rapporto tra infanzia e memoria, amore e amicizia, natura e tecnologia, sogno e realtà, temi centrali nella poetica del maestro giapponese e portati avanti con sempre più chiarezza durante tutto l’arco della sua carriera.
Il ruolo centrale dell’infanzia
Il primo fra questi che salta immediatamente all’occhio è certamente il ruolo centrale che nei suoi film svolge il tema dell’infanzia. La maggior parte dei protagonisti delle pellicole di Miyazaki sono infatti bambini. Tuttavia questi bambini sono tutt’altro che sprovveduti: sono forse ingenui, ma messi continuamente alla prova dimostrano risorse che gli adulti non possiedono. Tra le prove che i piccoli protagonisti di Miyazaki si trovano ad affrontare c’è quella del lavoro.
Spesso nelle pellicole del maestro i bambini devono lavorare per potersi riscattare o riscattare altri personaggi caduti in disgrazia. Il lavoro è al centro delle vicende di film come Kiki consegne a domicilio (1989) e La città incantata (2001). In queste pellicole il lavoro è una prova che permette al bambino di crescere e acquisire spazi di riconoscimento e decisione nel mondo degli adulti. L’interesse che Miyazaki mostra per questo tema è certamente conseguenza delle esperienze fatte dallo stesso regista nel corso della sua infanzia, e più ingenerale è il riflesso di una generazione che ha vissuto la propria adolescenza nel dopoguerra, in un Giappone da ricostruire dal punto di vista economico e culturale.
Il tema del lavoro nelle pellicole di Miyazaki suggerisce poi l’idea più profonda di ristabilire un ordine perduto, altro tema centrale della sua opera.
Guerra e pace, natura e cultura
Questo aspetto si trova espresso con grande forza in film come Laputa il castello nel cielo (1986)[1] film nel quale confluiscono i grandi temi dell’ecologia e dell’antimilitarismo. Prima pellicola prodotta dallo studio Ghibli, Laputa dà voce al profondo disgusto che Miyazaki nutre verso le guerra: male da scongiurare a ogni costo e al tempo stesso tentazione che sempre bussa alle porte dell’esperienza umana.
La presenza della guerra torna ripetutamente nei lavori del maestro e dove non è esplicitamente rappresentata risulta essere un entità ancora più inquietante nei retroscena delle storie narrate – si pensi a film come Il castello errante di Howl (2004) e il bellissimo Si alza il vento (2013). Inoltre Laputa esalta uno degli elementi portanti dell’opera di Miyazaki: il desiderio dell’uomo di volare e il rapporto che si instaura tra questo sogno/desiderio e la sua realizzazione effettiva da parte dell’uomo, che non può avvenire se non attraverso la tecnica. In questo senso sempre Laputa offre una riflessione profonda sul rapporto che nella storia umana si viene a creare tra natura e cultura e sulla difficoltà dell’uomo a mantenere in armonia ed equilibrio un tale rapporto.
La natura certamente è una dei grandi protagonisti del cinema di Miyazaki, basti pensare a Il mio vicino Totoro (1988) e La principessa Mononoke (1997); tuttavia anche la tecnica gode di grande considerazione. Se verso la natura noi possiamo nutrire totale ammirazione e meraviglia, lo stesso atteggiamento non possiamo permetterci di fronte alla tecnica, sembra suggerire Miyazaki: essa, infatti, va certamente ammirata ma l’uomo deve sempre difendersi dalla sua stessa potenza. Il cinema di Miyazaki non demonizza affatto la tecnica in favore della natura ma invita l’uomo a preservare il sapere tecnologico da un uso improprio e soprattutto dalla sua più pericolosa deriva, cioè l’impiego bellico. Questa questione, già tutta presente in Laputa, diventerà totalmente lucida e disincantata nell’ultima opera cinematografica del maestro, Si alza il vento.
Il sogno, la macchina l’ordigno
Quest’ultimo è la trasposizione cinematografica del fumetto omonimo dello stesso Miyazaki, un’opera a tratti autobiografica che rielabora in maniera fittizia episodi della vita di Jirō Horikoshi (1903-1982), progettista e inventore del Mitsubishi A5M e del modello successivo Mitsubishi A6M Zero, gli aerei da caccia usati dalla Marina imperiale giapponese durante la seconda guerra mondiale. Si alza il vento è l’opera più ambiziosa di Miyazaki e anche la più riuscita, una pellicola che ha il sapore delle grandi opere cinematografiche e che mette a frutto l’intera visione del regista sintetizzando e portando a compimento, sia dal punto di vista estetico che teorico, tutti i macro temi diversamente presenti nella sua opera in un equilibrio che difficilmente può lasciare indifferenti. Miyazaki riesce a sintetizzare qui i luoghi fondamentali della sua arte, come la realtà e il sogno. In particolare nelle vicende narrate dal film l’attenzione è rivolta al sogno del protagonista Jiro, quello di volare, alla tensione che si crea con la sua realizzazione, che non può avvenire se non attraverso la costruzione della macchina, l’aeroplano in questo caso.
Tuttavia nel contesto storico delle vicende narrate nel film l’aeroplano di Jiro, che cerca di riprodurre il più fedelmente possibile la bellezza del suo sogno, viene a trasformarsi da macchina in ordigno e cioè congegno portatore di distruzione. Questo è il triste epilogo dell’invenzione di Jiro, poiché quando la macchina diventa arma, il sogno che l’ha generata perde la sua qualità sostanziale, la bellezza.
Attraverso la sua ultima pellicola Miyazaki sembra volerci dire che il volo, aspetto centrale della sua opera, può diventare portatore di morte e non più occasione di libertà e che in ultima istanza i sogni, per quanto nobili, non sono mai immuni dalla possibilità di essere corrotti e traditi dalla realtà. Tuttavia il sogno di volare, per quanto possa essere compromesso dalla contingenza storica nella quale si cerca di realizzarlo, può essere sempre custodito intatto e inattaccabile nella sua purezza nel cuore stesso dell’uomo. In questo senso, nonostante la drammaticità della storia narrata, vanno lette le sublimi scene oniriche che scandiscono il film e che sigillano il superbo finale. Il titolo di questa opera di Miyazaki riprende un verso di Paul Valéry che esprime in fondo tutto il suo cinema: «Si alza il vento, dobbiamo cercare di vivere». In questi giorni di reclusione forzata vale la pena forse dedicarci alla visione di alcune opere di questo artista: il vento si è indubbiamente alzato anche per noi, e mai come oggi abbiamo bisogno di volare.
[1]Il film prende ispirazione dall’isola volante descritta nel romanzo I viaggi di Gulliver di Jonathan Swift.