La quarta stagione di Skam Italia, il teen drama creato da Ludovico Bessegato per TIMvision, e prodotta da Cross Productions, è arrivata su Netflix lo scorso 15 maggio. Basata sull’omonima serie norvegese del 2015, Skam ha ottenuto grande successo di pubblico e di critica in Italia e in tutto il mondo, ponendosi come uno dei prodotti audiovisivi più innovativi e capaci di comunicare temi importanti ai più giovani, con un linguaggio a loro familiare, così come aveva fatto nel 2006 la brillante serie TV tedesca Kebab for Breakfast, incentrata sulla convivenza burrascosa, data dalle marcate differenze religiose e culturali, tra i figli adolescenti di una famiglia turca e una tedesca.
Narrazione polifonica
Strutturata come una narrazione polifonica, Skam affida il racconto di ogni stagione al punto di vista di uno dei protagonisti, Eva, Martino, Eleonora e Sana, quattro sedicenni che frequentano il liceo a Roma, e che si trovano ad affrontare tutte le questioni connesse al passaggio dall’adolescenza all’età adulta, dalla ricerca della propria identità alla ricerca del loro posto nel mondo.
Sana (Beatrice Bruschi) è la voce narrante della quarta stagione, una giovane musulmana di seconda generazione, che cerca un equilibrio tra la sua cultura d’origine e quella dei suoi compagni di scuola, tra il desiderio di vivere una vita sociale e sentimentale stimolante e le regole dettate dalla sua fede. Sentendosi estranea sia alla comunità d’origine che a quella scolastica, Sana si colloca come una outsider a tutti gli effetti, pronta ad affermare la sua identità di musulmana praticante e la sua libera scelta di indossare il velo, sebbene sia sempre disposta a mettersi in discussione, accogliendo tutti gli stimoli e gli spunti di riflessione che le arrivano dalle vecchie amicizie e dai nuovi incontri.
Una rappresentazione accurata nella sua leggerezza sulla realtà vissuta dai musulmani di seconda generazione in Italia, che il creatore Ludovico Bessegato ha tracciato grazie alla preziosa consulenza della sociologa Sumaya Abdel Qader, consigliera comunale a Milano e autrice di Quello che abbiamo in testa (Mondadori, 2019), in cui si rivendica la scelta di indossare il velo come gesto femminista e di Porto il velo, adoro i Queen (Sonzogno, 2008).
Equilibrio difficile
Punto di vista d’eccezione condiviso dall’artista italo-tunisina Takoua Ben Mohamed, che nella sua striscia a fumetti, Sotto il velo (Becco Giallo, 2016), racconta con ironia la sua quotidianità di ragazza che ha liberamente scelto di portare il velo in Italia, e nel più recente La rivoluzione dei gelsomini (Becco Giallo, 2018), ripercorre al contrario quel viaggio, che l’ha portata dalle porte del deserto del Sahara alla periferia di Roma a soli otto anni.
Stessa scena sulla quale si muove Phaim Bhuiyan, protagonista del film autobiografico Bangla, per cui è stato premiato come miglior regista esordiente ai David di Donatello 2020. Di origine bengalese ma nato e cresciuto in Italia, nel quartiere romano di Torpignattara, Phaim, proprio come Sana in Skam è costantemente combattuto tra le pulsioni suscitate dal primo amore e il percorso di vita che la famiglia e la fede gli suggeriscono.
Un dilemma che non trova una risposta giusta o una sbagliata in nessun caso, ma che è solo il primo tassello della ricerca della propria identità, che al background dato dalla cultura d’origine, dall’educazione della famiglia, e ai principi della religione, aggiunge quello imprescindibile dell’incontro con le persone, che aprono a punti di vista diversi sulla realtà e, mettendo in discussione le proprie certezze, aiutano a plasmare una visione sempre nuova del mondo.
- Dalla newsletter settimanale WE della rivista Confronti, 24 maggio 2020.