Sperare significa essere ottimisti? Che cosa significa sperare? Come si spera? Alla vigilia dell’Anno Santo 2025, che ha come motto Pellegrini di speranza, questi interrogativi si pongono come estremamente attuali, anche alla luce dei tragici sconvolgimenti che si stanno vivendo a livello ecologico e di guerre che, di fatto, sono una guerra mondiale “a pezzi”.
Andrea Albertin è dottore in Scienze Bibliche al Biblico di Roma e docente di sacra Scrittura all’ISSR di Padova, di cui è attualmente direttore. La sua proposta non può che incentrarsi sulla divina rivelazione, portata a compimento da Gesù e attestata nella sacra Scrittura. L’autore si concentra sull’apporto che, al tema della speranza, fornisce il grande apostolo Paolo, annunciatore della buona notizia fino a Roma, capitale dell’impero che raggiungeva i confini della terra.
Dopo l’introduzione generale, Albertin presenta, in prima battuta, alcune concezioni di speranza presenti al tempo di Paolo. Si concentra sulle radici ebraiche dell’annuncio paolino della speranza, per passare poi a riflettere sulla speranza come connotato naturale dell’uomo così come sostenuto da Filone Alessandrino. Imposta, quindi, il confronto tra la Spes Augusta che vige nel mondo romano e l’annuncio della speranza cristologica. Il panorama è completato dall’analisi della presenza del tema nella tradizione apocalittica.
La speranza secondo il pensiero di Paolo
A fondamento della speranza, Paolo pone la Pasqua di Gesù, che ha vinto la morte, è risorto e attende di riunirsi con tutti gli uomini al termine della loro vicenda umana. L’autore prende in esame quattro testi paolini (e della tradizione paolina).
In 1Ts 4,13-18 è scritto chiaramente che la ragione della speranza è il Risorto. Gesù è l’unico uomo che ha vinto la morte, l’enigma impenetrabile e invincibile per l’uomo lasciato alle sue sole forze. Nel testo, la speranza è vista come la prospettiva di una comunione che non si spezza e coincide non con un’ideologia o con un’ipotesi filosofica, ma come l’incontro con una persona viva. Per il discepolo di Gesù, per la fede cristiana la speranza è una persona!
Dopo il primo testo del Nuovo Testamento qual è la Prima Lettera ai Tessalonicesi, scritta a neppure una ventina d’anni dopo la morte e risurrezione di Gesù, Albertin passa a esaminare un brano del capolavoro paolino costituito dalla Lettera ai Romani, scritta nell’inverno tra il 56 e il 57 d.C.
Dopo aver riportato il testo di Rm 5,1-11, l’autore riflette sul mistero salvifico dello Spirito Santo riversato nei cuori e la conseguente attualità della speranza. L’essere stati resi giusti per fede, come dimostrato nei cc. 3-4 della Lettera, genera speranza.
Il dato non è solo cristologico ma connotato fortemente in senso pneumatologico. La speranza è infatti alimentata dallo Spirito Santo, riversato nel cuore di ogni credente. Questo dà la piena fiducia di poter avere accesso alla comunione con Dio. La speranza è generata dalla morte generosa e redentrice di Cristo, avvenuta mentre gli uomini non erano amabili ma deboli, empi, peccatori e nemici di Dio.
La speranza è «dinamica», afferma l’autore. Vale la pena riportare un passaggio efficace della sua sintesi, che fa notare la differenza tra la speranza cristiana e un ottimismo puramente ritagliato su una dimensione umana.
«La speranza […], investe le dinamiche della vita presente, in tutta la sua complessità, poiché è possibile attraversarle con la dynamis/potenza vivificante della risurrezione: ogni situazione, che sia favorevole o sfavorevole secondo i parametri di giudizio della sapienza umana, può far risplendere la gloria divina della logica pasquale, in un perenne processo di conformazione a Cristo morto e risorto. La speranza, quindi, va oltre il mero ottimismo che anela a un’esistenza il più possibile esente da momenti avversi. Piuttosto, la speranza nasce dalla certezza che qualsiasi situazione è momento opportuno perché la potenza/dynamis pasquale, incarnata nella carità e nelle sue opere di fruttificazione, consente al credente di assimilarsi sempre più alla vicenda di Gesù, la cui sorte è la gloria pasquale» (p. 67).
Il compimento definitivo
Albertin prosegue la sua riflessione concentrandosi sulla splendida pagina di Rm 8,18-30 che spalanca di fronte agli occhi il compimento definito della speranza, che tocca sia l’umanità che il creato intero.
Dopo aver riportato il testo paolino, l’autore si domanda se fra speranza e tribolazioni ci sia necessariamente un rapporto conflittuale.
Le tribolazioni sono forse una smentita di quanto affermato in 8,1-17? Lo studioso risponde proponendo una traduzione fondata su un lavoro di tesi di dottorato, diversa da quella della CEI 2008.
«Il v. 18 contrappone il presente, segnato da sofferenze, e il futuro in cui risplenderà la gloria. Questa forte contrapposizione – scrive Albertin – è resa meglio se la frase è tradotta nel modo seguente: “Ritengo, infatti, che le sofferenze del tempo presente non minacciano la gloria futura che sarà rivelata per noi”. La linea di pensiero elaborata da Paolo mantiene così la sua coerenza da Rm 5,3 fino al presente brano: le tribolazioni non rappresentano una smentita del futuro glorioso» (pp. 72-73).
Il testo paolino mette in confronto tribolazione e gloria, e non tribolazione e salute/felicità. Nel NT normalmente «doxa/gloria» sono riferite a Dio.
«Riferito ai credenti, il termine “gloria” rinvia allo splendore, alla dignità, all’onore, alla piena riuscita di sé. La prospettiva paolina, pertanto, considera l’essere umano nella sua connotazione escatologica, inaugurata dall’evento pasquale di Cristo: in virtù della fede, anche il corpo si configura progressivamente al Risorto. Quindi, la gloria è futura poiché, per quanto concerne il versante umano, tende al compimento definitivo che si realizzerà con la risurrezione corporale. A tale riguardo, le sofferenze e le tribolazioni della vita presente non costituiscono affatto una smentita di questa speranza» (pp. 73-74).
Il caso della creazione pone dinnanzi agli occhi anche il tema della speranza oltre il merito.
La creazione nutre la speranza della «liberazione dalla schiavitù della corruzione (v. 21), ossia “la liberazione dalla schiavitù, cioè dalla corruzione”. Il creato spera, pertanto, di assaporare tutta la dignità che le ha conferito il Creatore, orientata verso la libertà dei figli di Dio» (p. 78).
Il tema della speranza oltre il merito vale pure per il caso dei credenti abitati dallo Spirito Santo.
Albertin si chiede, infine, se la speranza metta in questione Dio.
Dio «saprà intervenire a favore di ciò che lui stesso ha creato? Oppure il Dio salvatore estromette il Dio creatore? La storia della salvezza rivela l’ininterrotta fedeltà e coerenza dell’agire divino, che sa integrare anche la sofferenza innocente nel suo disegno imperscrutabile e sapiente di salvezza (Rm 11,33-36), come mostra la condizione stessa del creato, dei credenti e perfino dello Spirito Santo.
Questa speranza infonde la fiducia che un giorno i credenti entreranno nella gloria futura (Col 1,5), ma che questa può essere anticipata nella vita presente, riconoscendo la fedele realizzazione divina del suo disegno di salvezza. Come dice la lettera a Tt 2,13, si tratta “della beata speranza e della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e Signore Gesù Cristo”» (pp. 80-81).
La speranza e la manifestazione della grazia di Dio
Nell’ultima parte del suo lavoro, Albertin riflette sul rapporto tra la speranza e la manifestazione della grazia di Dio. Il testo di riferimento è quello di Tt 2,11-14.
Dopo un rapido sguardo letterario al testo, egli annota come la grazia si faccia conoscere e ne esamina gli effetti. La speranza coincide, in conclusione, con Cristo stesso che si manifesta. Scrive lo studioso:
«[…] è dall’esperienza storica che gli apostoli hanno fatto di Gesù, riconosciuto come rivelatore incarnato dell’amore favorevole e grazioso di Dio, che scaturisce la professione della fede in lui, speranza escatologica. Il v. 14 precisa i contenuti dell’evento di Cristo – prosegue l’esegeta –, che è la manifestazione della grazia divina e la speranza escatologica. Egli ha dato sé stesso con la stessa gratuità incondizionata che qualifica il dono divino della grazia salvante. La sua offerta oblativa è in vista del riscatto (apolytrōsis) dal peccato: è suggerita, così, la valenza salvifica della morte di Gesù. Il credente è liberato, per grazia, dalla schiavitù del peccato (il riscatto-apolytrōsis indica, appunto, un affrancamento dalla condizione servile). Questa liberazione assume i contorni della purificazione (katharizō), idea già espressa dal profeta Ezechiele (36,25-28) e sviluppatasi nel Nuovo Testamento in associazione con il sangue versato da Gesù sulla croce (Eb 9,14-22; 10,19-22; Ef 5,26-27) e che rinvia in modo evidente alla dimensione battesimale» (pp. 90-91).
Il linguaggio impiegato nel testo dimostra una speranza inculturata.
«Uno degli aspetti fondamentali del brano è la sua opera di inculturazione. Assume il linguaggio dell’impero (in particolare i termini epiphaneia e sōtēr, “epifania” e “salvatore”) e lo utilizza per annunciare il mistero centrale della fede cristiana, il kerygma di Cristo morto e risorto per la salvezza di tutti gli uomini. Anche il termine grazia/charis assume una nuova connotazione, per indicare il favore assolutamente gratuito e incondizionato di Dio testimoniato da una vita credente buona e pia mediante le opere. Nuovamente – sottolinea l’autore – la disposizione letteraria del testo trasmette l’idea che la vita etica del credente è solo risposta a un dono che precede. È il dono della grazia divina che anticipa ogni risposta della creatura umana. Le opere buone, allora, indicano e manifestano la risposta amante del credente al dono preveniente» (p. 93).
Speranza fra passato, presente e futuro
Nelle sue conclusioni, Albertin annota come la speranza secondo Paolo abbracci il passato, il presente e il futuro.
Il passato consiste nell’opera di salvezza di Dio verso l’umanità, in vista della sua liberazione da ogni forma di schiavizzazione per introdurla nell’alleanza attraverso la redenzione operata da Gesù Cristo nel mistero pasquale.
Nel presente lo Spirito effuso nei cuori dei credenti attualizza questa memoria, operando la progressiva conformazione del credente a Cristo e infondendo anche la varietà dei suoi doni. In tal modo, mantiene viva la speranza del pieno compimento delle promesse divine.
La speranza, infine, abbraccia il futuro: essa è attesa di partecipare in modo totale e completo alla condizione attuale di Gesù, che è risorto ed è nella gloria, avendo attraversato pure le tribolazioni della sofferenza innocente e della morte ingiusta.
La speranza oltre i tranelli delle incertezze
«La speranza della gloria futura – scrive Albertin, di cui riportiamo le note finali – non è sottoposta ai tranelli delle incertezze: essendo Gesù la primizia, egli non è un caso isolato o un’eccezione. È la promessa realizzata, che chiama in causa Dio stesso e la sua fedeltà. I credenti vi partecipano nella misura in cui accolgono e scelgono di percorrere fino in fondo il medesimo itinerario della primizia, promessa sicura di una fruttificazione buona e abbondante.
L’incertezza che, a vari livelli, l’umanità di questo tempo sta attraversando può trovare un appoggio solido su un paradosso: la certezza della speranza. La speranza, infatti, è cammino, è un passo dopo l’altro dentro i sentieri complessi, imprevedibili e rischiosi della storia. La speranza evita di fornire risposte sicure e ricette prestabilite […].
La speranza si coniuga con le situazioni di incertezza, proprio perché in esse cerca di decifrare e indicare la fedeltà, che non è ripetizione di quanto fatto in precedenza. Piuttosto è la fedeltà di uno stile: far vivere lì dove tutto o molto sembra spingere dentro la morte e la fine.
Sperare, quindi, si declina con il verbo configurare: ogni evento è occasione per lasciarsi dare la forma di Cristo, morto e risorto. La speranza innesca un processo di trascendenza, così salutare in un tempo in cui, almeno nella parte occidentale del mondo, ci si è sbilanciati sull’immanenza. È la capacità di trascendere sé stessi per accogliere e fare spazio all’altro e all’Altro, così da non perdere mai i due costitutivi inalienabili del DNA della speranza e che papa Francesco […], identifica come la dimensione spirituale e la dimensione del vivere sociale.
Con questa certezza, dentro i nostri tempi incerti, è possibile sperare contro ogni speranza!» (pp. 96-99).
Il volume si conclude con la bibliografia (pp. 101-108). Un testo sintetico che offre con chiarezza e accessibilità la prospettiva paolina sul tema centrale del Giubileo 2025.
Andrea Albertin, Speranza per tempi incerti. Il futuro alla prova della fede (Smart books 1), Editrice Messaggero, Padova 2024, pp. 112, € 12,00, ISBN 978-88-250-5835-2.