Lo Spirito Santo e noi

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Lo Spirito Santo e noi. Meditazioni sugli Atti degli Apostoli

Su gentile insistenza di alcuni vescovi, tra cui Francesco Cacucci, arcivescovo metropolita di Bari-Bitonto e Presidente della Conferenza episcopale pugliese, il monaco di Bose, Sabino Chialà, pubblica i testi degli esercizi spirituali dettati loro nella prima settimana di ottobre del 2017. Dopo la Prefazione di mons. Cacucci (pp. 5-10) e la Presentazione di Chialà (pp. 11-14), l’autore illustra le linee teologiche generali del secondo libro dell’evangelista Luca (pp. 15-26).

Le altre otto meditazioni del monaco di Bose sono dedicate ai vari blocchi letterari individuati nel testo che illustra la corsa della Parola da Gerusalemme a Roma. Ogni meditazione è titolata con una parola chiave che riassume “teologicamente” il contenuto del testo biblico.

At 1 è all’insegna della sottrazione, dapprima della presenza fisica di Gesù e poi anche di un fratello.

At 2 è riassunto nella parola compaginazione, dal momento che la discesa dello Spirito Santo e il discorso di Pietro concorrono all’unificazione dei credenti, la cui compagine è connotata da Luca con le quattro perseveranze: l’insegnamento degli apostoli, la comunione, la frazione del pane e le preghiere. Sono quattro strumenti della compaginazione comunitaria che esplicano la portata della magna charta ecclesiale che è alla base dell’atto di fondazione della comunità cristiana valido anche oggi, su cui misurare il vissuto ecclesiale di tutti i tempi.

At 3–5 si snodano sotto il segno della crescita, con l’azione di Pietro e Giovanni, crescita striata anche da dissonanze (Anania e Saffira) e dalla presenza di persecuzioni.

At 6–9 è caratterizzato dall’uscita. Stefano esce verso la complessità interna, in quanto rilegge il ruolo del Tempio e della Legge in prospettiva universalistica. Filippo va in Samaria e Paolo si reca a Damasco con intenti persecutori. Dissento dall’autore quando, a p. 81, afferma recisamente che «Stefano è il primo martire della tradizione cristiana, della cui morte è responsabile principale un personaggio, Saulo (7,58 e 8,1)».

At 10–12 sono segnati dal sigillo dell’obbedienza. Pietro si reca da Cornelio, nella prima apertura ai pagani decisa dopo un discernimento personale sull’impulso ricevuto dallo Spirito Santo. La sua apertura dovrà essere rielaborata ecclesialmente a livello teologico-pastorale di fronte ai fratelli, per non diventare una fuga in avanti, esito di un’avventura intrapresa a livello individualistico. La Chiesa di Antiochia si presenta come la prima comunità composita, mentre quella di Gerusalemme è articolata dalla presenza autorevole di Pietro e Giacomo, che non ricalcano le medesime piste teologico-pastorali, pur in comunione fra loro.

At 13–15 sono dedicati esplicitamente alla elaborazione. Dopo il primo viaggio missionario, la Chiesa si trova a dover elaborare nel sinodo di Gerusalemme il vissuto che presenta novità che non devono lacerare il tessuto ecclesiale composto di giudeo-cristiani e di etnico-cristiani. Norme pastorali previste per permettere la convivenza e la possibilità di condividere i pasti fra le due componenti ecclesiali avranno il loro forte impatto solo fino a quando il troncone giudeo-cristiano scomparirà di fatto dalla compagine ecclesiale.

Il confronto connota At 16–18. Nel corso del secondo viaggio missionario Paolo e Sila si incamminano verso l’Europa e Paolo si dovrà confrontare esplicitamente con il mondo culturale e religioso greco. Il discorso all’Areopago di Atene segna il confronto ma anche la difficoltà del rapporto con l’ellenismo cittadino (cosa che si ripeterà col giudaismo cittadino di Roma).

Del viaggio che abbraccia sinteticamente At 19–28, Chialà esamina solo due passi decisivi. Egli illustra dapprima l’addio di Paolo agli anziani di Efeso nel suo discorso a Mileto. È il suo testamento pastorale (Dupont) che Chialà denomina il “discorso delle lacrime” (benché queste scorrano dopo il discorso, al v. 37, nel momento dell’addio segnato dalla preghiera in ginocchio e dall’abbraccio corale trapuntato di baci affettuosi e addolorati). Paolo fa un bilancio della sua vita e della sua opera apostolica, con uno sguardo al passato, al presente e al futuro, suo e della Chiesa efesina.

Dopo il viaggio da Gerusalemme a Roma e durante la sua prigionia contrassegnata dall’arresto ai domiciliari con custodia militaris allentata, Paolo soggiorna a Roma come un fittavolo in una casa privata, accogliendo tutti quelli che andavano da lui e annunciando il regno di Dio e le cose riguardanti il Signore Gesù Cristo. Lo fa con la consueta franchezza e senza alcun impedimento. Questo è ciò che è decisivo per Luca, non tanto raccontare l’esito del destino dell’Apostolo. Finale geniale, non monca e deludente come appare a qualcuno.

L’ultima scena di Atti presenta l’immagine della Chiesa non impiantata comodamente nel mondo, ma che, agile e leggera, vive da pellegrina annunciando il suo Signore a tutti gli uomini, nella speranza continua che anche il popolo di Israele possa arrivare alla pienezza della sua fede, accettando il messia Gesù, gloria del suo popolo Israele.

Le notazioni di Chialà sono sintetiche e ben centrate, con sottolineature teologico-pastorali che mettono in luce l’attualità impressionante del libro degli Atti anche per il cammino odierno della Chiesa. L’autore ha consultato studi e commentari, ma il suo testo non riporta alcuna nota a piè di pagina.

Un testo di meditazione biblica per un cammino ecclesiale nel terzo millennio caratterizzato dalla sobrietà, dal coraggio e dall’apertura ai mondi nuovi che attendono l’annuncio del vangelo nella loro cultura. Una testimonianza portata con la parola, ma soprattutto con la vita.

Sabino Chialà, Lo Spirito Santo e noi. Meditazioni sugli Atti degli Apostoli, Prefazione di mons. Francesco Cacucci (Bibbia e catechesi s.n.), EDB, Bologna 2019, pp. 168, € 16,50, ISBN 978-88-10-20231-9.

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