Il cinema può essere considerato fin da suoi inizi come espressione del nuovo mondo, quintessenza della modernità industriale e occhio privilegiato del Novecento.
In America la settima arte è stata da sempre una formidabile macchina per l’intrattenimento ma anche una “efficacissima camera di compensazione, capace di riflettere i comportamenti e gli orientamenti della società, ma anche di intervenire attivamente nei processi sociali, rafforzando o rompendo credenze, fornendo modelli, portando a galla aspirazioni latenti”.[1] Non è un caso quindi che proprio in America vengano assegnati ogni anno gli Academy Award, meglio conosciuti come premi Oscar, il premio cinematografico più prestigioso e antico al mondo.
Nella notte tra domenica e lunedì, al Dolby Theatre di Los Angeles, sono stati assegnati i premi Oscar della 91ª edizione. Nella categoria più importante, quella per il miglior film, erano stati nominati A Star is Born, BlacKkKlansman, Black Panther, Bohemian Rhapsody, La favorita, Green Book, Roma e Vice. A portarsi a casa il premio per il miglior film è stato Green Book diretto da Peter Farrelly e interpretato da Viggo Mortensen e Mahershala Ali, premio oscar come migliore attore per Moonlight (2016). Il favorito Alfonso Cuarón si è aggiudicato invece l’Oscar alla regia e alla fotografia per Roma, vincitore quest’ultimo anche del premio come miglior film straniero in gara. Il film dei Marvel Studios Black Panther ha invece vinto i premi per costumi, scenografia e colonna sonora originale, i primi Oscar mai vinti da un film dei Marvel Studios. Prendiamo in esame queste tre pellicole perché, seppur molto diverse, hanno però in comune alcuni elementi che vale la pena evidenziare.
Green Book racconta l’amicizia tra il burbero buttafuori italoamericano Tony Vallelonga e il raffinato pianista jazz afroamericano Don Shirley in tour nel sud degli Stati Uniti. Accolto con grande clamore durante i concerti, Don sarà però vittima di violenze e vessazioni causate dall’odio razziale ben radicato in quelle zone – il green book del titolo si riferisce alla guida stradale in cui sono indicati bar, alberghi e ristoranti in cui sono accettati i neri. Alle indicazioni del green book dovranno affidarsi Tony e Don per proseguire il loro viaggio.
In Roma seguiamo invece le vicende di una famiglia messicana a Città del Messico tra il 1970 e il 1971; il titolo si riferisce al quartiere della città, Colonia Roma. Alfonso Cuarón è il secondo messicano a ricevere un Oscar come miglior regista ed è interessante notare come il suo predecessore sia il suo grande amico Gulliermo del Toro, che nel 2018 ha ricevuto due Oscar nelle categorie miglior regista e miglior film per La forma dell’acqua (2017), oltre a una candidatura per la migliore sceneggiatura originale per lo stesso film. Il film di del Toro narrava la storia d’amore di una donna muta e di una misteriosa creatura acquatica umanoide.
Black Panther è invece il diciottesimo film del Marvel Cinematic Universe, basato sull’omonimo personaggio dei fumetti. Il film narra le vicende di T’Challa (pantera nera) e del suo ritorno, dopo la morte del padre, nel regno di Wakanda: una nazione situata nel cuore dell’Africa che la caduta di un meteorite dalle straordinarie proprietà, nell’antichità, ha reso la nazione più progredita al mondo. Tuttavia, per timore che altri uomini utilizzassero erroneamente le conoscenze dei wakandiani, questi ultimi hanno deciso di nascondersi agli occhi mondo.
Tre film molto diversi dicevamo, che hanno tuttavia molte cose in comune, prima fra tutti l’elemento etnico.[2] In Green Book la denuncia di una ancora non completa accettazione dei neri in America acquista un significato ancora più evidente se consideriamo che proprio Mahershala Ali, il protagonista del film, ricopre un ruolo non diverso nella serie tv True detective di cui è protagonista e che si è conclusa proprio domenica sera negli Stati Uniti su HBO.
Il film di Cuarón non tratta direttamente la questione dei rapporti tra il Messico e l’attuale amministrazione americana; è però interessante notare che uno fra i più importanti cineasti messicani, insieme al già citato amico e connazionale del Toro, ha conquistato l’ambita statuetta d’oro facendoci riflettere su mondi a noi molto vicini, eppure percepiti spesso come incomprensibili ed enormemente distanti.
L’utopia di Black Panther infine, pur riprendendo tematiche ben note all’immaginario della letteratura fantastica americana degli anni Sessanta e Settanta, è la prima pellicola a mostrarci come l’Africa, uno dei luoghi più sfruttati della terra, nasconda in realtà la civiltà più evoluta che su quest’ultima sia mai apparsa, facendo così delle altre nazioni, presunte portatrici di ricchezza e cultura, araldi di violenze e barbarie.
Stabilire quale sia il futuro prossimo del cinema non è cosa facile, considerando le velocissime trasformazioni tecniche e distributive che coinvolgono l’industria dei prodotti audiovisivi oggi. Molti addirittura lo danno per morto. Eppure il cinema vive ancora e – come dimostra questa 91ª edizione degli Oscar – continua a gettare luce sulle fragilità della nostra società, per dirci che, alla fine, sarà la bellezza a vincere.
[1] F. di Chio, American storytelling. Le forme de racconto nel cinema e nelle serie tv, Carrocci, Roma 2016, 19.
[2] Da questo punto di vista va menzionato anche BlacKkKlansman, film di Spike Lee è la storia di un poliziotto nero e di un poliziotto ebreo che negli anni Settanta, in Colorado, si infiltrarono nel Ku Klux Klan. Spike Lee si è aggiudicato l’Oscar per la miglior sceneggiatura non originale.