Sulle stigmate di san Francesco

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stimmate

L’anno 2024 è la ricorrenza dell’ottavo centenario delle stimmate di San Francesco. Le antiche biografie raccontano che Francesco d’Assisi, nell’estate del 1224, in un momento di crisi umana e spirituale si ritirò sul Monte della Verna, nel casentino, dove ricevette – «nel crudo sasso intra Tevero e Arno» – l’impressione delle stimmate. In occasione di questo anniversario le Edizioni Biblioteca francescana hanno pubblicato il saggio teologico di frà Dario Chiapetti, San Francesco stigmatizzato (Milano 2024, 528 pp., 42,00 euro). Riprendiamo la postfazione firmata da mons. Piero Coda, Segretario generale della Commissione teologica internazionale.

copertina

Non sono certo le poche righe di questa postfazione che possono dar ragione della tempestività attestata e della promessa contenuta nelle pagine che frà Dario Chiapetti ci offre in occasione dell’ottavo centenario della stigmatizzazione di san Francesco alla Verna. Perché sono pagine ricche e puntuali nella documentazione e assolutamente provocanti nell’interpretazione teologica che propongono.

Si tratterà, dunque, di riprendere tra le mani in seconda e più proficua battuta, con attenta determinazione, le testimonianze storiche e le prospettive ermeneutiche che sono strettamente intrecciate in un saggio che, senza dubbio, si prospetta significativo e, per molti versi, sorprendente: in ordine a una decifrazione pertinente e sempre più generativamente recettiva e creativa di quella parola nella Parola, fatta carne nello Spirito, che Francesco è stato ed è oggi in Gesù per noi e per tutti.

Negli abissi della storia

Mi limito a tre semplici considerazioni. La prima. Quanto traggo anche solo da una prima lettura di queste pagine conferma e, di più, spinge a intensificare lo scavo nel significato ecclesiale e più latamente storico-salvifico – per il suo coinvolgere l’intera vicenda della famiglia umana – che è per sé rivestito e trasmesso dall’avventura umana e cristiana di Francesco.

Tenendo conto del fatto che, come si può arguire con fondata ponderazione dalle pagine di fr. Dario, la portata di questa straordinaria avventura è appunto iconicamente racchiusa e rilanciata nell’evento della stimmatizzazione.

Il che significa che nel corpo e nello spirito di Francesco, per la prima volta nella storia della Chiesa e dell’umanità, viene inscritta a carne e sangue l’exousía stessa, e cioè la luce e la forza della Vita che, scaturendo dal Padre, è trasmessa all’umanità dal Figlio/Verbo che carne s’è fatto ed è venuto ad abitare tra noi, sino a condividere – nell’abbandono vissuto in croce – gli abissi e gli inferni della storia: per trasfigurarli d’amore nella risurrezione, introducendo così l’umanità piagata nel seno del Padre nel soffio vivo dello Spirito Santo effuso «senza misura».

Già qui, già ora. Nel desiderio, che ulteriormente e decisivamente viene in tal modo incentivato, della pace e dell’unità nella fraternità e sororalità universali, propiziate da e nell’altissima povertà in ciò assunta. Pace e unità che più non conosceranno tramonto nell’oggi sempiterno di Dio.

Proprio oggi infatti – forse come non mai – si rendono manifeste e attive la luce e la forza di radicale rinnovamento della vita e dello sguardo (sulla storia e sul cosmo) che sono custoditi e gestati da e nell’evento della stimmatizzazione di Francesco. Ed è proprio qualcosa di questo che, forse, ha intuito san Giovanni Paolo II quando, visitando la Verna, ne ha con spirito di profezia concluso che qui è nato il francescanesimo e qui è rinata la Chiesa.

Mentre papa Francesco – il primo, nella storia, ad assumere rischiosamente certo ma provvidenzialmente questo nome, nel solco della messa in atto del magistero del Concilio Vaticano II – ne sta declinando le virtualità più di sempre attuali e persino decidenti: a partire da la Laudato si’ e la Fratelli tutti.

«Tu sei me e io sono Te»

Ma che cosa significa tutto ciò, nella missione della Chiesa, in questa tappa nuova della storia del Vangelo? Ecco la seconda considerazione che mi sento di poter fare sulla scorta di quanto offerto dalle pagine di questo libro.

Che cos’è, in effetti, che è accaduto alla Verna nell’evento traboccante di mistero – e, con ciò, di luce e vita nuova che piovono dall’alto – della stimmatizzazione di Francesco? È accaduto che, per pura e singolare grazia, non solo il Cristo, vero Figlio di Dio e vero figlio dell’uomo, s’è in amore impresso – oggettivamente – nel corpo e nell’anima del Poverello; ma per ciò stesso è accaduto che Francesco s’è con il Cristo – soggettivamente – identificato, in risposta piena d’amore. «Tu sei me e io sono Te»: questo s’è dato nell’impressione delle stimmate.

Non che, sino a quel momento, ciò non si fosse dato. Ogni risposta battesimale di fede, nella sequela del Signore Gesù che si consuma nella partecipazione al corpo e al sangue eucaristici di Lui, lo realizza, nel già e non ancora del tempo, quest’impareggiabile incontro tra il dono della grazia e l’accoglienza responsoriale della libertà.

Ma in Francesco tale risposta, per dono, ne «satura» il corpo, la psiche, lo spirito. È l’attraversamento d’una soglia che segna un punto di non ritorno nella storia della Chiesa per l’umanità: e cioè nella storia della venuta di Dio, in Cristo e mediante lo Spirito, in essa; e della correlativa entrata dell’umanità nella vita – trinitaria – di Dio stesso, che il Figlio nello Spirito santo ci comunica in sovrabbondanza.

Mai senza la donna

Ciò implica – ecco la terza considerazione verso cui c’accompagna la lettura teologica dell’evento che fr. Dario ci fa disponibile – che Francesco non sia da solo a «entrare», per Cristo che sino a noi è disceso, al seno del Padre della Vita, ove è asceso per prepararci un posto.

Sia perché egli – come noi tutti, nell’apostolo Giovanni ai piedi della croce – è stato confidato dal Figlio crocifisso a Maria, la Donna, la Madre. Così che l’entrare nel seno del Padre con Cristo non può non avvenire se non quando si è stati accolti nel grembo di Lei. Sia perché l’uomo non è mai senza la donna: come Adamo non è senza Eva, come Gesù non è senza Maria, come Francesco non è senza Chiara.

E questo è dirimente. Oggi più di ieri. Anche se il cristianesimo non pare essersene ancora del tutto accorto e fino in fondo appropriato: per spargerne a piene mani il seme di vita eterna nella storia dei desideri e delle ferite dell’umano. Mentre oggi la profezia di questo rapporto tra Francesco e Chiara, nell’attraversare insieme la piaga d’amore del Crocifisso – sacerdote e sacrificio d’amore della nuova ed eterna alleanza – che in loro e tra loro s’imprime, lo pro-pone con luce e forza tutte nuove: a noi, e a tutti. Nel drammatico, anzi per più aspetti persino tragico frangente che c’interpella come famiglia umana, entro il luogo condiviso, ma seriamente messo a repentaglio della casa comune che ci ospita.

Provocandoci – come sfida e come dono – ad accogliere il sempre nuovo e sempre di più di quella «transustanziazione» delle relazioni che ciascuno di noi è: con sé, con l’altro/a, coi fratelli e le sorelle nel mondo creato, che è la grazia di Cristo a noi comunicata nel soffio senza misura dello Spirito.

Con la promessa di cieli nuovi e terra nuova. Relazioni – donate e vissute in Dio Trinità nel grembo di Maria, la Madre del bell’Amore – cui c’invita a partecipare, adoranti e grati, il Cantico di frate Sole: che dell’evento delle stigmate è l’incantevole fiore, sbocciato nelle corolle multicolori dell’arcobaleno in cui si rifrange all’infinito – nel creato – la Luce bianca, la Claritas, dell’Amore Puro.

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