“A messa, figlioli: direttorio liturgico per la partecipazione attiva dei fedeli alla santa messa letta”, si intitolava il testo del card. Lercaro del 1956. Ma perché andare a messa? Perché è festa! E che vuol dire? Io faccio festa lo stesso, perché non lavoro e vivo il mio tempo libero… E come faccio a fare festa se la domenica io lavoro sempre?
Lo studio del cinquantasettenne docente di teologia dei sacramenti e di filosofia della religione presso l’Ateneo S. Anselmo di Roma ricerca il rapporto corretto col tempo e con la festa proponibile all’uomo post-moderno. Si tratta di passare da una concezione binaria del tempo – tempo del lavoro e tempo libero – a una ternaria: tempo del lavoro, tempo libero, tempo della festa.
Solo l’uomo ha percezione del tempo, perché può uscire da se stesso verso il passato e il futuro. Occorre però una seria riflessione sul concetto di libertà, a cui è connesso l’“uso” del proprio tempo. Quello del lavoro non è quello della schiavitù, così come il tempo libero può diventare angoscia del tempo “vuoto”.
Il tempo va messo in relazione alla concezione della libertà. «Nel mondo moderno si danno, infatti, tre grandi accezioni del termine libertà: una politica, una etica e una religiosa; sul piano politico libertà indica essenzialmente l’intangibilità di un possesso originario, sul piano etico designa il divenire e l’ascesi di un compito; sul piano religioso il mistero di un comandamento e di un dono» (p. 86).
La valutazione del senso teologico del tempo e della festa deve accettare le acquisizioni antropologiche moderne, ma può ben apportarvi la ricchezza propria del “tempo festivo” e un concetto corposo di “libertà”.
Per vivere nella verità il tempo del lavoro come autorealizzazione e non come schiavitù, così come il tempo libero come vero riposo e non tempo vuoto da riempire con angoscia mascherata e con vacuo autointrattenimento, occorre relazionarlo (senza opposizione) col tempo della festa.
Il tempo della festa è quello in cui prendo coscienza che il tempo lo percepisco solo come relazione d’amore con l’altro e con l’Altro, in dimensione comunitaria e in dipendenza da un’autorità d’amore autorevole che si prende cura di me. Nella festa io recupero il senso originario di me stesso.
«La festa ci offre un tempo diverso, un tempo che ammette un’autorità superiore alle molte marginali autorità che dominano il lavoro: ammette e pretende che la libertà del nostro tempo – il tempo libero come tempo liberato – riconosca di dipendere dall’amore che ha sperimentato nel prossimo e in Dio, e lo annunci attraverso la serietà del gratuito, l’impegno per il giocoso, il divertimento rigenerante; essa riconnette negozio e ozio in un’unità senza la quale la vita appare un enigma senza soluzione. Ciò che astrattamente chiamiamo il senso della vita, per essere forte ed efficace concretamente deve esteriorizzarsi, deve farsi temporale, deve stare nel tempo mostrando il senso del tempo. La festa è proprio l’esteriorizzazione, la formalizzazione di questa coscienza antica, cui l’uomo ha sempre tentato di voltare le spalle, non solo oggi, ma da sempre, pensando così di essere più libero e cadendo, invece, in una più raffinata forma di schiavitù» (pp. 21-22).
Se il tempo del lavoro e il tempo libero sono chronos, il tempo della festa è kairos, tempo pregno che ricupera la consapevolezza che il tempo non è mio possesso ma un dono ricevuto nella relazioni e nella tradizione.
La festa è relazione all’originario e al definitivo. «Nella festa è portata alla luce, quasi è messa in mostra, la dimensione più radicale e profonda del tempo. Quel tempo che viviamo ordinariamente nella ciclicità di una successione tra lavoro e riposo, tra veglia e sonno, tra allegria e tristezza, tra compagnia e solitudine, tra forza e debolezza, tra salute e malattia, viene scoperto grazie alle feste nella sua dimensione più originaria, come attestazione di una relazione fondamentale che ci lega agli altri e a Dio, prima ancora di ogni nostra solitudine, di ogni nostra malattia, di ogni nostra delusione o incomprensione. La festa ci mostra il grande “sì” dentro a cui stanno tutti i piccoli “no” e “sì” che la vita può e deve riservarci» (pp. 21-22).
Nella festa si fa memoria, si celebra, si ringrazia, ci si prende un impegno. La sistematizzazione cristiana del tempo liturgico aiuta a far memoria delle radici dell’uomo immagine di Dio che tutto ha ricevuto in dono e della profondità del giorno, celebrata nella Liturgia delle Ore.
È intrigante ricuperare oggi la natura festiva e festosa della liturgia e dei sacramenti, per saper condire di benedizione ogni momento della vita, di lavoro e di tempo libero.
Lo spazio della festa è recupero delle radici dell’umanità, in rapporto agli altri e all’Altro, fonte di ogni dono. Se il tempo è dono e non possesso, la festa mi aiuta a restare umano, figlio, fratello, custodito da un’autorità d’amore credibile e affidabile.
È possibile vivere la festa e la liturgia anche nel mondo postmoderno, in modo non intimistico e individualistico, illuminando la relazione che il tempo ha con la vera libertà responsabile e non astratta e concettuale, vivendo il tempo come dono e trama di relazioni buone.
Le riflessioni filosofiche e teologiche sul tempo (che deve avere il primato sullo spazio) e sulla festa fatte da Grillo convincono e attraggono chi vuol rapportarsi alla vita nella sua verità e articolazione dei “tempi”, per poterla vivere umanamente con una libertà responsabile.
Andrea Grillo, Il tempo graziato. La liturgia come festa (Percorsi nella liturgia), Edizioni Messaggero, Padova 2018, pp. 124, € 10,54.