Due delle più famose opere di un grande della pittura italiana e mondiale, come Antonello da Messina, considerate e reinterpretate secondo una lettura teologica, e quindi come aree di documentazione in cui anche il teologo può rintracciare utili spunti di riflessione.
È, questa, un’operazione che trova riscontro nella recente pubblicazione del libro di cui è autore don Massimo Naro, docente di Teologia sistematica nella Facoltà teologica di Sicilia di Palermo e direttore del Centro Studi Cammarata di San Cataldo, dal titolo Le vergini annunciate, che le Edizioni Dehoniane di Bologna hanno inserito nella propria collana «Sguardi» curata da Pier Luigi Cabri e Roberto Alessandrini.
Massimo Naro non è nuovo a queste operazioni tese a ricercare il rapporto tra i linguaggi dell’arte e la teologia, ed ha già al suo attivo alcune pubblicazioni con tali chiavi di lettura. Nella fattispecie, eccolo adesso ricavare una teologia dell’annuncio da due capolavori di Antonello da Messina dedicati alla Vergine, e cioè gli oli, su piccole tavole, delle Annunciate che si trovano custodite quella del 1473 a Monaco di Baviera, e la più nota (sicuramente ai siciliani) del 1476 a Palermo alla Galleria Regionale di Palazzo Abatellis.
«A motivo della progressione temporale che gli storici dell’arte sembrano aver appurato – annota Naro – le due tavole sono intese da alcuni commentatori come una sorta di progressiva interpretazione del racconto lucano: la prima tavola, quella conservata a Monaco, pare esprimere il turbamento registrato dall’evangelista sul volto di Maria nel momento in cui l’angelo la raggiunge e le parla; la seconda tavola, quella custodita a Palermo, raffigura Maria ormai rasserenatasi, con un sorriso delicato nascosto agli angoli della bocca quasi avesse già pronunciato per dirla con San Bernardo il magnanimo “fiat”». E intanto, scorrendo il libro, viene evidenziata, in entrambe le opere, la scomparsa della simbologia classica legata all’Annunciazione, con l’assenza infatti dell’Angelo e dello Spirito Santo sotto forma di colomba, e dei vari altri simboli usati dai pittori del tempo: resiste solo il blu del manto che avvolge le due Annunciate.
Ma Naro, invero, dissente quanto alla presunta progressione cronologica in cui sono stati inquadrati i due dipinti, e scrive a tal proposito: «Il dipinto di Palazzo Abatellis, ipoteticamente più tardivo, mi pare cogliere Maria nel momento del saluto angelico, rispetto al quale la giovane vergine protendendo in avanti la mano destra quasi a stoppare l’altro che irrompe, mentre con la sinistra si chiude sul petto il velo, come a corazzarsi in qualche modo di fronte a chi viene per sedurla sembra opporre il suo interrogativo serio e pensoso: “Come è possibile?”». E riguardo l’altro dipinto, aggiunge: «Mi pare raffiguri Maria che ha ormai accolto l’annuncio, accettandone le conseguenze e assecondandone le esigenze, incrociando perciò le braccia sul proprio grembo, quasi ad abbracciare già in sé il Figlio».
«L’elemento ancor più importante che, comunque, si deve cogliere in entrambi i dipinti prosegue Naro è la valenza del libro aperto sul leggio di foggia gotica o sull’inginocchiatoio: è nelle Scritture che risuona effettivamente l’annuncio».
Riprendiamo la recensione firmata da Walter Guttadauria al volume di Massimo Naro, Le vergine annunciate. La teologia dipinta di Antonello da Messina, EDB, Bologna 2017, pubblicata su La Sicilia – Edizione di Caltanissetta-Gela, 2 luglio 2017, p. 36.