Papa Francesco, partecipando all’apertura delle celebrazioni per i cinquecento anni della Riforma, ha definito Lutero un «riformatore». Il libro di Pani si inserisce nell’orizzonte di tale rilettura e apporta un suo specifico contributo. Si tratta della ripubblicazione di una serie di articoli già comparsi sulla rivista La Civiltà cattolica tra il 2015 e il 2017, la cui natura è doppiamente pregevole: rivela la competenza dell’autore e consente al lettore non specialista di cogliere alcuni snodi fondamentali.
L’opera è strutturata in due parti, che contengono in tutto sette capitoli. Come annunciato dal titolo, si tratta di due prospettive di questionamento con cui si approccia la figura del Riformatore: quella che si interroga sulla sua dimensione «ereticale», e quella che valuta la sua portata «profetica».
Il cap. I («La lettera ai Romani e Lutero») apre la prima parte (Lutero eretico?) e indaga i prodromi della Riforma, che possono essere individuati nel corso universitario che l’allora monaco aveva svolto all’università di Wittenberg dal 1515 al 1517. Il cap. II («Le novità esegetiche del commento a Romani») evidenzia ancora meglio gli elementi di novità che hanno preparato la Riforma. Commentando Rm 4 Lutero giunge alla definizione dell’uomo peccatore come simul peccator et iustus, locuzione di solito invertita nelle opere di teologia (gerecht und sünder zugleich), che non rispecchia in tal modo il significato attribuitovi da Lutero. Nel cap. III («La positività del commento di Lutero») si focalizza il commento a Rm 8, a partire dal quale Lutero fa un particolare ricorso alla dimensione autobiografica quale locus theologicus per interpretare la Scrittura.
Il cap. IV («L’affissione delle 95 Tesi di Lutero: storia o leggenda?») è consacrato allo studio critico della vulgata tradizionale secondo cui la Riforma avrebbe preso inizio il 31 ottobre 1517 con il celebre gesto di sfida. L’autore dimostra che le cose andarono diversamente e che Lutero in quella fase era interessato a porre la questione sul piano del confronto accademico e dei suoi risvolti pastorali. Il cap. V («Il processo e la scomunica di Lutero») entra nel vivo degli eventi che sfociarono, da una parte, nella netta presa di distanza di Lutero nei confronti dell’autorità ecclesiastica, dall’altra invece nella scomunica papale. Per l’autore si trattò di un grave caso di «comunicazione mancata», con errori, incomprensioni e rigidità da entrambe le parti. Il cap. VI («La vocazione di Lutero») apre la seconda parte (Lutero, un profeta?) e si interessa di un tema che di solito non riscuote eccessivo interesse da parte dei biografi. Eppure Lutero rilegge e reinterpreta la sua vocazione alla luce della sua esperienza e della sua riflessione teologica, ponendo per la vita monastica (o consacrata) in particolare e per l’ecclesiologia in generale, questioni cruciali. Il cap. VII («Il Magnificat e Lutero») presenta al lettore italiano un aspetto probabilmente inedito del Riformatore: la sua devozione mariana.
Il lavoro di Pani è senz’altro apprezzabile per la capacità di individuare in modo sintetico i gangli vitali dell’esperienza e della teologia di Lutero. La sensazione di un approccio «antologico» al tema è inevitabile, data la natura del progetto editoriale, ma ciò non impedisce di entrare nel cuore di alcune questioni decisive e farsi un’idea più precisa e personale.
È interessante, ad esempio, la trattazione del tema vocazionale e dell’esperienza monastica di Lutero. È noto che nella sua lettera-prefazione al De votis monasticis, il Riformatore dichiara nulli i suoi voti in quanto dipendenti da un precedente voto fatto a sant’Anna durante un temporale. Questo atto sarebbe stato forzato e non libero, perché generato dal timore e dalla superstizione. Qui l’autore introduce una serie di considerazioni degne di nota, sia perché dipendenti dalla valutazione di altri dati disponibili, sia perché in contrasto con la lectio facilior di molte biografie. Si pensi ad esempio a quella recente di Silvana Nitti (Lutero, Roma 2017). L’autrice interpreta la scelta monastica secondo la categoria implicita dell’incastro psicologico di tipo patologico (cf. p. 32). Tale quadro in realtà non sembra del tutto convincente alla luce di quanto Pani fa notare: Lutero al tempo del voto era già laureato (magister artium) ed era stato avviato dal padre alla facoltà di giurisprudenza. Un giovane così preparato avrebbe dovuto sapere che un voto fatto in quelle condizioni poteva considerarsi invalido e che si sarebbe potuto sciogliere senza difficoltà (cf. Pr 20,25). Oltre a ciò, va pure detto che il convento degli agostiniani non aveva bisogno di nuove entrate, né alcuno dei suoi formatori mise mai in dubbio la sua vocazione. Da rilevare, altresì, che la vita di Lutero in monastero, almeno per i primi anni, trascorse nella serenità.
Un altro approfondimento riguarda la questione dell’affissione delle Tesi sulle indulgenze. Pani non riduce tale «evento» a un fatto aneddotico e mostra che dalla precisazione storica dell’avvenimento dipende la corretta comprensione delle intenzioni di Lutero e del travaglio interiore da lui patito in quel tempo e in quel particolare contesto, dominato da gravi abusi. Si può constatare come la sua preoccupazione teologico-pastorale lo abbia portato prima di tutto a porre alcune importanti questioni su cui desiderava confrontarsi a livello accademico, senza suscitare rivolte né la separazione dalla Chiesa (di Roma). Anche se non mancarono tentativi di conciliazione, alla fine una concezione rigida di «autorità» indusse Roma a quella che sembrava la soluzione più «facile»: la condanna per eresia. Ma la modernità ormai era iniziata e questo atteggiamento autoritario non sufficientemente motivato, unitamente all’ostinazione di Lutero su certe posizioni intransigenti, portò a una spaccatura radicale.
La domanda diventa ancora più intrigante: basta tutto questo per fare di Lutero un «eretico» o, a contrario, è sufficiente per definirlo un «profeta»? L’iniziale sospensione del giudizio trova nelle conclusioni un chiaro pronunciamento: «Lutero non è “un eretico”, è un uomo del suo tempo animato da spirito di modernità nel vivere la sua fede profonda in un rapporto con le istituzioni ecclesiastiche, un rapporto leale ma esigente» (187). Lutero è allora da considerarsi un «profeta»? Nonostante gli aspetti problematici l’autore si esprime in modo affermativo (190).
A nostro parere tuttavia la questione non è del tutto risolta e ripropone in realtà il tema del corretto riferimento al paradigma profetico così come attestato dalla Rivelazione biblica. Se si pensa ad esempio al fenomeno del falso profetismo, ci si può chiedere se basti una condotta moralmente ineccepibile, una sincera preoccupazione per il benessere del popolo di Dio e una dottrina fedele alla tradizione teologica per configurare un «vero profeta» (cf. ad esempio Ger 28). E questo va detto in riferimento a Lutero, certo, ma anche ad ogni troppo facile richiamo all’autorità ecclesiale.
Giancarlo Pani, Lutero tra eresia e profezia, collana «Lapislazzuli», EDB, Bologna 2017, pp. 208, € 17,50. ISBN 978-88-10-55917-8. Recensione pubblicata su Gregorianum 99(2018)3 , 670-671.
Lutero: nè eretico, nè profeta: MALATO MENTALE.