Le Edizioni Messaggero hanno preparato tre sussidi di taglio diverso e complementare in vista del Giubileo 2025 sulla speranza. Offriamo unitariamente alcune note di presentazione.
Pellegrini di speranza
Nel suo fascicoletto (Pellegrini di speranza), Giorgio Ronzoni, parroco a Padova e Docente di Teologia Pastorale presso la Facoltà teologica del Triveneto, stende alcune note su tre elementi chiave di ogni giubileo: l’indulgenza, il pellegrinaggio, la porta.
L’indulgenza offre a Dio la possibilità di cancellare le conseguenze disastrose del peccato all’interno della persona e anche nell’ambiente circostante. «Le pratiche legate all’indulgenza si possono considerare come una preghiera perché l’onnipotenza di Dio e tutto il bene che c’è nella Chiesa pongano rimedio alle conseguenze del peccato che abbiamo commesso. Quel che non possiamo fare con le nostre sole forze può essere compiuto per vie misteriose da Dio attraverso l’azione e la preghiera di coloro che agiscono secondo la sua volontà e rendono più visibile la redenzione operata dal Signore Gesù» (p. 8).
L’autore ricorda i “nuovi” pellegrinaggi, che sono segni di speranza, indicati da papa Francesco (Spes non confundit nn. 8-15): la pace per i paesi in guerra, i figli, la vicinanza ai detenuti in carcere, la visita alle persone malate, i giovani, i migranti da accompagnare, l’assistenza agli anziani, l’apertura cordiale ai poveri. I pellegrinaggi tradizionali non sono da eliminare…
Varcare la Porta Santa è accogliere l’esperienza viva dell’amore di Dio, che suscita nel cuore la speranza certa della salvezza in Cristo.
Il giubileo della speranza
Marco Gallo è presbitero della diocesi di Saluzzo, parroco e docente di Liturgia e Sacramenti a Fossano (CN), a Torino e a Parigi. Dopo lo sbandamento esistenziale della pandemia, dal quale non siamo ancora usciti, papa Francesco indice un Giubileo ordinario, ma improntato alla speranza. Di essa hanno bisogno le persone e le nostre società, impaurite e angosciate dai rumori e dalle tragedie umane delle guerre in atto.
Nel suo volume (Adesso, non domani), dopo aver ricuperato alcune linee-guida sul giubileo nella Scrittura, con i suoi elementi di speranza, riposo e giustizia, Gallo traccia una storia dei giubilei, raccordando il tema della speranza a quello della giustizia.
Gallo si sofferma quindi sul tema centrale del Giubileo 2025, interrogandosi sul tema specifico della speranza. «La pratica della speranza è un cambio di sguardo rispetto al pensiero che chiede “da dove” venga il male, o della tattica, che si interroga sul “verso dove” andremo: la speranza è piuttosto stare “di fronte” al male» (p. 50).
L’autore ripercorre il cammino del pensiero sulla speranza a partire da Esiodo, secondo cui elpis, la speranza, è uno dei mali contenuto nel vaso di Pandora. Per il mito greco, essa è un’illusione, che sembra aiutare gli esseri umani, ma che in realtà è un terribile inganno.
San Paolo, invece, mostra in Rm 8,24-26 ed Ef 2,11-13 che essa è di natura diversa, in quanto «essa è generata dalla promessa di Dio, dalla relazione con Lui, e non dalla condizione umana: la speranza si fonda sulla fede di chi si dispone a ricevere tutto» (p. 52). Nel medioevo si annota come la speranza «non si deduce dal presente, ma dalla felicità promessa che l’essere umano non è affatto in grado di dare a se stesso, e riceve per l’iniziativa divina (grazia), verso la quale il credente si dispone speranzoso» (pp. 53-54).
Nel post-moderno, la fede è praticabile come scelta libera di prestare fiducia a ciò che non nega la condizione precaria della vita e del male. La speranza «non si ricerca come attesa di un mondo futuro, piuttosto come praticabilità della vita nel dramma della storia» (p. 55).
Nel vangelo la speranza non appare come attesa di un oltre senza legami con il temporale, ma come il Regno di Dio già presente, di cui si può fare esperienza in alcune azioni che lo offrono nel tempo già ora compiuto.
Il centro di questa esperienza è la Pasqua: la speranza accesa nei discepoli e nella folla fu per loro sottoposta alla grande smentita della croce, della morte violenta del Maestro. È il Risorto a non far dimenticare ai discepoli la croce ma a riuscire ad attraversarla, a rileggerla, a far rinascere in loro la speranza e a fondarla ancor più radicalmente fino al dono totale di sé.
La speranza ha bisogno di luoghi di apprendimento e di esercizio, ricorda però Gallo. Recuperando il magistero di papa Benedetto XVI egli ricorda i luoghi della preghiera, dell’agire-soffrire e il giudizio finale (Spe salvi, nn. 32-48).
L’autore si sofferma a riflettere sulla speranza come cammino, domandandosi: perché andare altrove, se Dio abita in ogni luogo? Ricordando la vicenda di Naaman il Siro, egli riporta gli ingredienti più forti dell’archetipo del pellegrino: l’interruzione dell’ordinario, il distacco e l’estraniamento che permettono una prospettiva diversa, la fatica, il rischio, i compagni di strada, l’arrivo che fa incontrare e il ritorno trasformante.
La Bibbia offre una galleria intera di pellegrini: Adamo ed Eva, Abramo e Sara, il popolo che esce dall’Egitto, Giona, Gesù quale «uomo che cammina». I pellegrini annunciano una forma di fede che è anche per chi non viaggia più. L’essere umano è homo faber ma anche homo viator. Importante è essere pellegrini e non turisti, cercando il Dio pellegrino, e non il Dio dei pellegrinaggi.
- Penitenza e indulgenze
Gallo affronta quindi il tema delicato della penitenza e delle indulgenze: una speranza seria.
- Sesboüé proponeva, nel 2017, di cambiare il nome alla penitenza e alle indulgenze, troppo gravate dal peso dei conflitti storici. Un altro nome potrebbe essere quello di benedizione, misericordia o benevolenza divina gratuita. Gallo crede, invece, nel fatto che, ben spiegate, esse possono mantenere la loro validità, se rilette alla luce del documento sulle Norme sulla concessione delle Indulgenze, pubblicato il 13 maggio 2024.
Gallo riflette sul tema della colpa e della pena. La malizia degli esseri umani è muta, mentre Dio è il Verbo, si è fatto carne e da lui abbiamo ricevuto «grazia su grazia». A partire da questa verità – afferma l’autore – si può immaginare di scrivere per l’oggi una buona teologia delle indulgenze.
Può esser riproposta perché la Chiesa ha riscoperto la natura della liturgia e delle azioni rituali simboliche come fondamentali per la libertà umana singola e collettiva. Narrare la propria colpa è un aiuto al penitente per inserire il male in una trama più complessa, che lo strappa dall’isolamento. La fede si struttura nell’ascolto, grazie alle narrazioni, alla condivisione del tempo con la comunità, e poi a quegli esercizi linguistici che sono l’uso della coscienza illuminata, la fraternità, la preghiera e la liturgia. A partire da questa consapevolezza, la stessa teologia ha riscritto anche la questione della penitenza, della guarigione dal male.
- Esperienze e condizioni
L’autore offre delle piste possibili per recuperare esperienze di indulgenza a partire dal proprio battesimo e presenta alcuni elementi per una teologia delle indulgenze. «Le indulgenze sono dunque un orante e comunitario accompagnamento del cammino penitenziale» (p. 86).
Gallo ne presenta la struttura. Essa parte dal tesoro, cioè la valorizzazione della preghiera e la pastorale della Chiesa per chi è in difficoltà. «Nella preghiera di indulgenza emerge la dignità di ogni persona che non è percepita come un cammino solitario, ma come parte di una comunità invisibile, in cui nulla può sostituire la libertà personale e questa non è privata della prossimità ecclesiale in Cristo» (pp. 86-87). Si esplica come un primo annuncio, risonanza della parola e dell’iniziazione. Essa non viene vissuta come forma giuridica ma come esperienza celebrativa. «Le indulgenze non sono delle scorciatoie giuridiche rispetto alla lunga e seria via esistenziale della ricostruzione dell’integrità: al contrario, sono delle vie eccezionali alternative in cui si cammina nella comunione della Chiesa, accanto a tutti i credenti […]. [Nelle] indulgenze si è inseriti visibilmente in un popolo in cammino» (pp. 87-88).
Le disposizioni per le indulgenze precisano che le condizioni necessarie sono il sacramento della penitenza, la celebrazione eucaristica e la preghiera in comunione con il pontefice. «La confessione è il presupposto delle indulgenze […] La vita eucaristica di comunione è il suo fine. Unirsi in preghiera secondo le intenzioni del romano pontefice, infine, rivela che la forma delle indulgenze è propriamente l’orazione, la vita di profonda relazione con il mistero di Dio» (pp. 88-89).
L’autore si sofferma poi sulla celebrazione della penitenza, ricordando ai presbiteri il colloquio come servizio ecclesiale e la celebrazione come occasione per donare il tempo.
Gallo ricorda gli elemini tipici per “fare il giubileo”: Roma, la porta santa, la professione di fede, l’eucaristia e l’indulgenza.
Chiude il suo sussidio con alcune note sull’elemosina e il ritorno alla vita ordinaria.
Ogni capitoletto è corredato da alcune domande per la verifica personale e comunitaria.
I santi, pellegrini di speranza
Marcello Semeraro è prefetto del Dicastero delle cause dei santi, con una lunga esperienza di docente di ecclesiologia. Il suo volume ha una netta impostazione teologica, accompagnata dal supporto della testimonianza esistenziale di vari santi (I santi, pellegrini di speranza).
Il Giubileo 2025 ha come slogan “Pellegrini di speranza”. L’autore inizia la sua riflessione indagando sul rapporto tra speranza cristiana e santità. Se la speranza può essere un’attesa ambivalente, in un mondo che vede il tramonto delle ideologie, la speranza cristiana è un’attesa certa.
La santità è l’irruzione della grazia di Dio nell’uomo che fa sì che Cristo sia formato in noi. Santità è l’in-esistenza di Cristo nel cristiano. L’essere del santo cristiano è, per Guardini, vivere-in Cristo.
Questo essere di Cristo nell’uomo può così essere chiamata interiorità cristiana. Ciò che rende possibile che un uomo, una donna assumano la “forma” di Cristo è il mistero dell’incarnazione. «Il Verbo di Dio Gesù Cristo Signor nostro per il suo sovrabbondante amore si è fatto ciò che siamo noi, per fare di noi ciò che è Egli stesso» (Ireneo di Lione, cit. a p. 43).
La speranza cristiana si regge sullo stesso principio. Scrive Semeraro: «… il mistero dell’incarnazione rappresenta la base della speranza cristiana, poiché fornisce al cristiano la certezza dell’amicizia, della vicinanza, dell’amore di Do il quale, nel suo Figlio gli ha aperto la strada dell’incontro con lui, della salvezza, della vita eterna: Cristo Gesù è egli stesso questa Via» (pp. 43-44).
La speranza cristiana per la vocazione alla santità dell’essere umano è l’indicazione di una meta, è il segnale di una direzione. Della speranza stessa la santità dice che è vera, non illusoria. «La santità realizzata nella Chiesa dice, in breve, che la speranza è sempre una speranza possibile» (p. 44).
Se il Giubileo 2025 è all’insegna di un pellegrinaggio di speranza, i santi regalano a tutti gli uomini parole di incoraggiamento e mostrano nella loro vite come sono tracciate le vie per questo pellegrinaggio. Essi sono testimoni e compagni di speranza. Invocando i santi, il cristiano avverte di non essere mai solo.
Tutti i modelli della santità che la storia conosce sono, per Semeraro, riconducibili a tre tipi che hanno in sé un immenso valore evangelizzante e testimoniante: 1) l’effusione del sangue, come prova suprema di amicizia; 2) la carità eroica, come vincolo in cui si edifica la Chiesa, e come diaconia che si apre a tutte le necessità dei fratelli; 3) la vita verginale, come prodigio dello Spirito nella debolezza della natura umana.
- I santi, vie di pellegrinaggio della speranza
Le vite dei santi mostrano le vie del pellegrinaggio di speranza offerte a tutti.
Semeraro elenca alcune di queste vie, corredando il tema con l’esempio concreto di alcune figure di santi, di cui descrive la biografia e di cui cita alcuni testi. Nei suoi commenti abbondano le citazioni del magistero pontificio di papa Benedetto XVI e di papa Francesco.
La santità fiorisce nella preghiera: Gesù prega e pregare è sperare. Nella preghiera si attiva un dinamismo per cui sperare porta a pregare e la preghiera suscita e accresce lo sperare. Un progresso nell’amore si converte immediatamente in un nuovo punto di partenza verso un maggior desiderio, verso un maggior amore.
La tradizione teologica conosce il passaggio della fede alla speranza e da questa alla carità. L’epéktasis (continua ascesi, o tensione) di san Gregorio di Nissa porta a riconoscere un passaggio permanente di speranza in speranza (cf. p. 54). Il modello è Paolo: «Dimenticando ciò che mi sta alle spalle e proteso verso ciò che mi sta di fronte…» (Fil 3,13).
Un modello di come la speranza fiorisce nella preghiera è offerto dal venerabile card. François-Xavier Nguyen Van Thuan.
La speranza cristiana è speranza per gli altri (Sperare per tutti, il titolo italiano del libro di H. Urs von Balthasar). Il fondamento consiste nella misericordia che si è manifestata nella predicazione e nella prassi di Gesù. Santa Caterina da Siena prega perché nessuno dei suoi congiunti per natura e per grazia si perda.
Modello di pellegrina di speranza è Teresa di Lisieux. Essa ha mostrato che il cuore di Dio è aperto anche ai poveri e ai deboli e che l’esistenza più banale, quella apparentemente più quotidiana, può essere saturata di presenza divina, dall’amore dei santi. «Non è la santità che fa l’amore, è l’amore che fa la santità. Bisogna cominciare dall’amore…», annota Semeraro (p. 65).
Teresa è stata pellegrina di speranza fin da piccola, animata dal «desiderio», che un’antica etimologia fa derivare dall’osservazione delle stelle: de-sidera. «I vostri nomi sono scritti nei cieli» (Lc 10,20), e Teresa applicava a sé questa parola di Gesù. Essa è la radice della gioia e della fiducia cristiana. Le stelle in cielo significavano per lei: Dio ti ama! Essa scrisse però anche: «Non posso essere felice di godere, non posso riposarmi finché ci saranno anime da salvare» (cit. a p. 69).
Teresa nutre una speranza per tutti. «Mi riposerò, potrò godere, perché il numero degli eletti sarà completo e tutti saranno entrati nella gioia e nel riposo. A questo pensiero il mio cuore esulta» (cit. a p. 70). Gesù le aveva rivelato: «Rugiada feconda, il sangue mio tutti puri renderà gli eletti» (ivi). Teresa avverte una misteriosa solidarietà con i peccatori e nel momento della notte oscura si fa «commensale degli increduli».
Luogo di speranza è la fraternità, una fraternità universale che è luogo di apprendimento e di applicazione della speranza cristiana.
Essa è splendidamente rappresentata dalla figura di Charles de Foucauld.
In Fratelli tutti (2020) la speranza è presente come richiamo «di una sete, di un’aspirazione, di un anelito di pienezza, di vita realizzata, di un misurarsi con ciò che è grande, con ciò che riempie il cuore ed eleva lo spirito verso cose grandi, come la verità, la bontà e la bellezza, la giustizia e l’amore» (n. 55, cit. a p. 80).
A partire dalla sua conversione, Charles de Foucauld si è sempre considerato un pellegrino in vista di una meta finale, la beatitudine eterna. Speranza e fraternità universale sono unite in lui, citato da papa Francesco in Fratelli tutti con san Francesco d’Assisi.
De Foucauld offre una grande forza testimoniale. Il suo è un sogno di fraternità e di amicizia sociale carico di storia, lo stesso che ispirò Francesco d’Assisi. «E un ideale a lungo sognato, un ideale che comporta un cammino di trasformazione anche in noi, fino a farci sentire, come questi santi, fratelli e amici di tutti», annota Semeraro (p. 87).
L’autore conclude la sua opera riflettendo sulla speranza come una gioia prima della gioia.
«Un santo triste è un triste santo» è un’espressione attribuita abitualmente a santa Teresa di Gesù. In queste pagine Semeraro sottolinea come un luogo importante di apprendimento e di esercizio della speranza cristiana sia la gioia.
Coloro che incontrano Gesù o si lasciano incontrare da lui mostrano che la gioia riempie il loro cuore e la loro vita intera. «Non c’è santità senza gioia», affermava papa Francesco al termine dell’Angelus il 1° novembre 2021.
Teresa di Lisieux, “dottore della Chiesa”, è colei che – secondo Semeraro – ha avuto il merito di aver liquidato definitivamente il giansenismo, insegnando agli uomini la semplicità vivente dei rapporti tra la creatura e il suo Dio. Dio non è altro che amore e solo l’amore conduce a Dio.
Per Teresa, la santità è realtà quotidiana, qualcosa di fondamentalmente imitabile, incredibilmente accessibile e semplicemente realistico. «Essa consiste essenzialmente non tanto nel fare la volontà di Dio, quanto, piuttosto nell’essere, nel vivere nella volontà di Dio, nell’essere consapevoli di essere da Dio, benché peccatori, sommamente amati e sempre perdonati» (p. 97).
Per san Paolo la speranza è fonte di gioia e «lieti nella speranza» (Rm 12,12) è stato il tema scelto da papa Francesco per la 38ª Giornata mondiale della gioventù. La speranza permette di scorgere nelle difficoltà e nelle ansietà della vita un più grande disegno di salvezza. In Gaudete et exsultate papa Francesco indica nel Vangelo delle Beatitudini la carta d’identità del cristiano. La santità è il vertice e il culmine della gioia e la gioia, a sua volta, è lo stimolo e la spinta per il cammino di santità.
In Fil 4,4-7 san Paolo invita a essere sempre lieti nel Signore e a mostrare a tutti l’amabilità, pregando in ogni circostanza.
- Santità, giovinezza e speranza
La santità è posta da papa Francesco in rapporto alla giovinezza e alla speranza.
L’esortazione apostolica Christus vivit (25 marzo 2019) inizia con queste affermazioni: «Cristo vive. Egli è la nostra speranza e la più bella giovinezza di questo mondo. Tutto ciò che lui tocca diventa giovane, diventa nuovo, si riempie di vita. Perciò, le prime parole che voglio rivolgere a ciascun giovane cristiano sono: Lui vive e ti vuole vivo» (n. 1).
Semeraro illustra a questo scopo le biografie e alcuni pensieri del beato Pier Giorgio Frassati e di san Carlo Acutis. Il 23 maggio 2024 è stata data l’autorizzazione a promulgare il decreto riguardante il miracolo attribuito all’intercessione del beato Carlo Acutis, approvando così la canonizzazione del primo giovane “millennial”, che avverrà probabilmente durante il giubileo del 2025.
In queste figure si può annotare che la gioia viene prima della gioia…
In Gaudete et exsultate papa Francesco ricorda altri tre santi che coniugarono santità, gioia e speranza: sono san Tommaso Moro, san Vincenzo de’ Paoli e san Filippo Neri.
Semeraro conclude la sua opera citando il Catechismo della Chiesa cattolica. La speranza cristiana è tensione, cammino, desiderio, è la «virtù teologale per la quale desideriamo il regno dei cieli e la vita eterna come nostra felicità, riponendo la nostra fiducia nelle promesse di Cristo e appoggiandoci non sulle nostre forze, ma sull’aiuto della grazia dello Spirito Santo» (n. 1817). Il santo è colui che, nella sequela di Cristo, si rende disponibile all’irruzione del futuro assoluto nella propria storia.
In Spe salvi – conclude l’autore –, papa Benedetto XVI scriveva: «[L]a vita è come un viaggio sul mare della storia, spesso oscura e in burrasca, un viaggio nel quale scrutiamo gli astri che ci indicano la rotta. Le vere stelle della nostra vita sono le persone che hanno saputo vivere rettamente. Esse sono luci di speranza. Certo, Gesù Cristo è la luce per antonomasia, il sole sorto sopra tutte le tenebre della storia. Ma per giungere fino a Lui abbiamo bisogno anche di luci vicine – di persone che donano la luce traendola dalla sua luce e offrono così orientamento per la nostra traversata» (n. 49, cit. a p. 119).
Giorgio Ronzoni, Pellegrini di speranza. L’indulgenza, il pellegrinaggio, la porta, EMP, Padova 2024, pp. 24, € 4,50, ISBN 9788825059267.
Marco Gallo, Adesso, non domani. Il Giubileo della speranza, EMP, Padova 2024, pp. 120, € 15,00, ISBN 9788825057591.
Marcello Semeraro, I santi, pellegrini di speranza, EMP, Padova 2024, pp. 128, € 15,00, ISBN 9788825057805.
Va bene che il cardinale abbia tempo per fare un riassunto delle citazioni papali sulla speranza, ma che due parroci lo trovino al giorno d’oggi per scrivere libri è davvero fenomenale! Davvero fortunati i loro parrocchiani. Complimenti a tutti e tre.