Uomini per gli altri
Il libro di Fabrizio Valletti, Un gesuita a Scampia, è il racconto di una vita missionaria spesa a promuovere «occasioni di crescita della dignità delle persone», dalle prime prove a Firenze e nel Mugello, alla luce della grande esperienza di don Lorenzo Milani, priore di Barbiana, fino all’arrivo a Scampia, nel 2001, e alla realizzazione del “progetto Scampia”, come nuova forma di servizio apostolico in una delle periferie più degradate d’Italia. Una sfida raccolta dai gesuiti in attuazione del magistero illuminato del preposito generale padre Pedro Arrupe e del loro essere «uomini per gli altri». Una precisa e irrevocabile scelta di campo.
Una sfida titanica
La domanda che nasce spontanea dalla lettura di questo racconto, la domanda che spesso pongono a noi magistrati i cittadini onesti è: potremo mai liberarci definitivamente dell’oppressione camorristica? Più in generale, lo Stato potrà mai vincere le mafie e l’illegalità? La mia risposta è si, se lo vuole. Per vincere sul moderno sistema mafioso sarebbe necessaria una scelta che finora è stata proclamata, ma non ancora attuata: il contrasto alla criminalità organizzata deve diventare una priorità dell’azione politica. È una sfida titanica, lo riconosciamo, ma che è necessario raccogliere.
Freno allo sviluppo
L’allentamento della tensione morale nei confronti della malavita provocato dalla crisi, la sfiducia nella capacità delle istituzioni politiche di farvi fronte, la crescente sensazione di insicurezza toccano la vita di tutti i giorni. D’altra parte, è di tutta evidenza il fenomeno – dimostrato da innumerevoli indagini giudiziarie – che dove c’è molta disoccupazione, disuguaglianza sociale e povertà, la criminalità organizzata crea opportunità di lavoro illegale e criminale.
Le mafie generano occupazione illegale e criminale, distribuiscono ricchezza parassitaria (ma pur sempre ricchezza), tendono ad affermarsi come potere sistemico – di controllo dell’economia, delle istituzioni locali e degli uomini – sfruttando le mancate risposte delle istituzioni repubblicane e del mondo imprenditoriale alla domanda di lavoro legale. Conseguentemente, mentre costituiscono un freno allo sviluppo, le mafie creano intorno a sé consenso sociale.
Mafia, disoccupazione, disagio sociale
Sicurezza e giustizia, che sono le condizioni essenziali per un corretto sviluppo socio-economico, dovrebbero costituire la base dell’azione di qualsiasi governo europeo, partendo dalla effettività del principio di uguaglianza, oggi richiesta anche dal Trattato di Lisbona, che impegna l’Unione Europea a «eliminare le ineguaglianze». Perché le mafie sfruttano le disuguaglianze sociali, tra cittadini forti e cittadini deboli, facendo affari con quelli tra i primi che si sentono al di sopra della legge, e reclutando come manovalanza i secondi, che si illudono di poter raggiungere soltanto attraverso l’illegalità e la militanza mafiosa quel progresso economico e sociale che pensano sarebbe altrimenti impossibile conseguire. Esiste un rapporto diretto tra mafie, disoccupazione e disagio sociale. I dati dei rapporti Istat degli ultimi anni raccontano di un’Italia precaria e disuguale.
Morale dell’illegalità
Secondo una recente indagine commissionata dalla Coldiretti (Fondazione Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare), la crisi che sta attraversando l’Italia produce questi risultati: sei disoccupati su dieci (il 60%) sarebbero disposti ad accettare un posto di lavoro in un’attività dove la criminalità organizzata ha investito per riciclare il denaro. A Scampia la disoccupazione sfiora il 70%. La mafia si nutre della crisi, il cui denaro sporco diventa sempre più appetibile. I ricavi annuali dell’economia illegale in questi anni infatti sono aumentati. Secondo lo studio, ben 230.000 persone non avrebbero problemi a commettere consapevolmente azioni illegali pur di avere una occupazione.
È la “morale dell’illegalità” di cui parla Isaia Sales, ovvero, la morale della sopravvivenza che opera una legittimazione dell’illegalità, formatasi con la tolleranza e spesso con l’appoggio di una parte dei pubblici poteri.
La cultura ma non solo
La cultura della legalità è anzitutto cultura dei diritti e dei doveri dei cittadini che stanno scritti nella Costituzione. Sarebbe tuttavia sterile e illusorio fronteggiare la criminalità mafiosa e il malaffare organizzato, sempre più intrecciati tra loro, con il solo richiamo alla cultura e ai valori della legalità, sempre proclamati ma ancora troppo poco praticati. Sarebbe, soprattutto, inutile continuare a parlarne ai giovani se poi lo Stato in tutte le sue componenti non dimostrasse, una volta per tutte, con fatti concludenti – come sollecitava Giovanni Falcone fin dal 1983 – chi è a favore e chi è contro le mafie, dando alla magistratura e alle forze dell’ordine gli strumenti normativi e organizzativi per vincere la sfida, per smantellare le reti di malaffare, assicurando la trasparenza e la legalità dell’azione dei pubblici poteri, garantendo il pieno recupero a fini sociali dei beni confiscati alle mafie.
Una giustizia credibile
Occorre attuare il principio di cui all’articolo 27 della Costituzione per cui le pene devono tendere alla rieducazione del condannato, facendo del carcere una opportunità di riscatto anziché un luogo di emarginazione e disperazione per i detenuti e per le loro famiglie, come dimostra l’Autore in uno dei capitoli più toccanti del libro.
Una giustizia credibile e uguale per tutti, intesa come servizio per i cittadini e non come strumento di potere, e una pubblica amministrazione trasparente ed efficiente sarebbero la miglior affermazione della cultura della legalità. Bisogna scrivere leggi giuste, attuative dei principi della Costituzione e dimostrare ai giovani che rispettare quelle leggi è più conveniente che infrangerle. Che si deve avere fiducia nello Stato e nelle sue istituzioni. Ma la fiducia dei cittadini è affidamento nella lealtà delle istituzioni, nella loro capacità di esprimersi sempre con il linguaggio della verità e di adottare decisioni conseguenti nell’interesse generale: decisioni legali non solo formalmente, ma soprattutto sostanzialmente. Perché oneste e perciò accettabili.
Principi e condizioni
La piena realizzazione dei principi di dignità della persona umana, di libertà, uguaglianza, lavoro e pari opportunità per tutti i cittadini è unanimemente riconosciuta come condizione indefettibile per lo sviluppo economico e la pace sociale. Al contrario, la mancata realizzazione di quei principi è il più grande regalo che lo Stato abbia fatto alle mafie di ogni tipo che, come si è detto, profittano proprio delle disuguaglianze sociali, della mancanza di lavoro e dell’illegalità diffusa.
Il Centro Hurtado
Qui si inserisce, con la forza dell’evidenza che non consente alibi, la grande lezione politica di Fabrizio Valletti e del mondo di volontariato e solidarietà fiorito, pur tra mille difficoltà e nell’indifferenza della borghesia napoletana, intorno a lui e al Centro Hurtado per promuovere iniziative culturali e opportunità di formazione e avviamento dei giovani al lavoro, per combattere la dispersione scolastica, per avvicinare al centro le periferie “esistenziali”, i luoghi dove manca la speranza nel futuro e dominano il senso di marginalità e la rassegnazione.
Soltanto con il lavoro e con la scuola lo Stato riesce a contendere – uno a uno – i giovani alla strada e alle lusinghe della camorra, del guadagno facile con la droga, gli omicidi e il contrabbando.
Se la crisi in atto è anche crisi di disgregazione sociale, è da qui che occorre ripartire, andando alla radice del problema: lo scarto tra legalità e legittimità: tra una legalità formale, strumento per tutte le avventure del potere, e la legittimità costituzionale, garante dei diritti inviolabili e dei doveri inderogabili dei cittadini. Sono scelte che presuppongono la volontà di una risposta corale delle istituzioni all’anelito di riscatto morale e sociale che continua a salire dalla società civile.
Fabrizio Valletti ci indica una strada e un metodo. Contro i veleni della rassegnazione e del disimpegno, ognuno faccia la propria parte per dare risposte concrete alle grandi emergenze e ai disagi quotidiani. È in gioco il futuro di tutti.
Il testo riportato costituisce la Prefazione al volume di Fabrizio Valletti, Un gesuita a Scampia. Come può rinascere una periferia degradata. Prefazione di Franco Roberti. Postfazione di Marco Rossi-Doria, Collana «Lapislazzuli», EDB, Bologna 2017, pp. 232, € 16,00. 9788810559109
Napoli è bellissima e noi napoletani siamo delle belle persone. La cosa che mi dà molto fastidio è il modo in cui la politica gestisce simili situazioni. Ci sono persone che hanno bisogno d’aiuto e come ogni essere umano, di qualsiasi religione, colore o razza, hanno diritto alla propria dignità. Leggendo il libro “Un Gesuita a Spampia” mi sono resa conto… se ci fosse stato Fabrizio nel periodo che giocavo nel Bronks, noi ragazzi di un istituto ribattezzato “Anche oggi bisogno soppravvivere”, tante scelte negative – che comunque ci hanno fatto crescere – forse non l’avremmo fatte. Mi fa molto male sentire dire che Napoli è solo camorra e violenza. Ci sono individui che distinguono gli italiani del Sud con quelli del Nord; cari fratelli non è cosi, siamo figli tutti di un unica grande e bellissima nazione, chiamata Italia a sua volta figlia dell’Europa e generata dalla grande Terra. Napoli è chiamata la terra del sole, dell’amore e della solidarietà.