Si dice che David Kertzer – professore di Italian Studies presso la statunitense Brown University e autore di diversi volumi sui pontefici dell’età contemporanea, in particolare sul loro atteggiamento nei confronti degli ebrei – lamenti spesso che i colleghi italiani non prendono in adeguata considerazione i suoi studi. Per la verità non sono mancate negli anni passati diverse presentazioni pubbliche della versione italiana delle sue opere, da Il patto col diavolo: Mussolini e papa Pio XI (2014) a Il papa che voleva essere re (2019).
In ogni caso, non si può certo dire che un suo volume da poco uscito Un papa in guerra. La storia segreta di Mussolini Hitler e Pio XII sia passato inosservato. Basta ricordare l’ampio spazio dedicato da Repubblica al suo confronto polemico con le osservazioni critiche avanzate da Luigi Matteo Napolitano e le interviste di Avvenire a studiosi che contestavano aspetti della sua ricostruzione.
Oggetto del contendere era ancora la questione dei silenzi del papa sulla Shoah. Si tratta di un tema che la storiografia ha da tempo affrontato, chiarendo in modo convincente che la mancata denuncia pubblica del genocidio si è accompagnata con pratiche caritatevoli delle istituzioni cattoliche – con ovvie differenziazioni a seconda delle persone che le reggevano – volte a salvare vite umane con particolare attenzione verso gli ebrei convertiti.
Gettare (finalmente) luce
La ricostruzione di Kertzer non cambia il complessivo giudizio storico. Non vale perciò la pena di entrare in un argomento che viene di nuovo agitato a livello giornalistico in chiave polemica o, per converso, apologetica. Ma la risonanza mediatica del volume suggerisce l’opportunità di una riflessione che aiuti a orientare l’opinione pubblica sul suo valore storiografico. In effetti, in contrasto con le generali tendenze recessive del mercato editoriale, i libri che affrontano i temi del fascismo e del nazismo continuano a registrare buoni tassi di vendita, di cui è ulteriore volano la ricorrenza centenaria dell’avvento di Mussolini al potere.
Del resto, il volume di Kertzer intende chiaramente solleticare l’interesse del grande pubblico. Non solo per l’uso nel titolo del sintagma «storia segreta», che mira a vellicare le attese del non irrilevante gruppo di lettori convinto di doversi liberare dei retaggi di una immagine del passato distorta da una presunta storiografia ufficiale. Ma anche per l’enfasi con cui, fin dalla sovracopertina del libro e poi ancor più nella prefazione e nei ringraziamenti finali, si sottolinea che, attraverso la consultazione di migliaia e migliaia di documenti, in primo luogo quelli resi da poco accessibili dall’apertura degli archivi vaticani sul pontificato di Pio XII, si intende finalmente gettare luce su aspetti finora ignoti – e spesso tenuti nascosti – del governo della Chiesa nel periodo bellico.
Senza dubbio la ricostruzione di Kertzer – che attraverso oltre 700 pagine narra, sullo sfondo del contesto internazionale, i rapporti di Pio XII con fascismo e nazismo dal conclave del marzo 1939 all’esecuzione di Mussolini nell’aprile 1945 – è ricca di particolari inediti. Ne è un esempio l’insistita utilizzazione della corrispondenza tra il Duce e la sua giovane amante, Claretta Petacci, per precisare gli stati d’animo del capo del governo italiano davanti allo svolgersi dei singoli eventi.
Ma qui emerge un primo nodo problematico. Non tanto per il gusto di alternare vicende personali – con qualche inevitabile ammiccamento al pettegolezzo scabroso – all’esposizione delle tendenze complessive e delle decisioni di portata generale. Ma perché la fonte è messa in opera senza quella necessaria cautela critica che, prima di trarre da un documento la sicura attestazione di un dato di fatto, pone in via preliminare ad ogni singolo testo la questione relativa all’intenzionalità dello scrivente.
Le carte vaticane
Comunque, dall’ampia documentazione archivistica consultata – anche se lascia qualche perplessità la candida confessione del ricorso a traduttori per l’approccio alle carte in latino e in tedesco – emergono episodi finora ignoti.
Mi limito a ricordare i diversi colloqui intercorsi tra Pio XII e il principe Philipp von Hessen, marito di Mafalda, una delle quattro figlie di Vittorio Emanuele III. Non erano conosciuti agli studi, dal momento che non ne emergeva traccia dagli Actes et documents du Saint-Siège relatifs à la seconde guerre mondiale, gli undici volumi fatti pubblicare da Paolo VI per rispondere alle polemiche sui silenzi di Pio XII che erano seguite alla rappresentazione del dramma teatrale Il vicario di Rolf Hochhuth.
Kertzer, a ragione, sottolinea la scoperta e la valorizzazione di carte vaticane che restituiscono un’attività ignota agli ufficiali rappresentanti diplomatici di Roma e Berlino. Il principe tedesco – convinto nazista e amico personale di Hitler – ha infatti costituito un canale di interlocuzione diretta tra il Führer e il papa grazie ai contatti stabiliti, mediante un rappresentante dell’Ordine di Malta, con il cardinal camerlengo, Lorenzo Lauri.
L’autore, pur attribuendo ai convenevoli tra i due personaggi il valore di una convergenza politico-ideologica tra le parti che invece appartiene al linguaggio della diplomazia e va decodificata alla luce delle sue regole retoriche, mostra chiaramente che in quegli incontri si discussero le condizioni preliminari per avviare una formale trattativa – poi mai intrapresa – per la revisione del Concordato tra la Chiesa e il Terzo Reich. Si trattava di appianare i contrasti derivanti dalle proteste del pontefice a seguito delle oppressive politiche ecclesiastiche del regime.
Kertzer ne trae la corretta conclusione che Pacelli ha a lungo coltivato durante la guerra l’aspirazione di giungere a un accordo con Hitler. Ma, sorprendentemente, la presenta come una novità destinata a mutare il quadro interpretativo del papato pacelliano. In realtà, chiunque abbia letto il libro di Giovanni Miccoli, I silenzi e i dilemmi di Pio XII (2000), che pure appare nelle note del volume, sa da tempo che il pontefice, mutando la linea del predecessore, si proponeva di giungere a un nuovo compromesso con il nazismo (come con il fascismo).
Più conferme che vere novità
L’episodio, pur specifico, è indicativo dell’impianto complessivo di un volume che propone la presentazione di casi particolari finora ignoti o poco conosciuti come decisivi apporti conoscitivi destinati a mutare il giudizio storico. In realtà, si limitano, al più, a confermarlo. Gli esempi si potrebbero moltiplicare. Informazioni giunte alla Sante Sede – come le lettere di don Pirro Scavizzi – sulla deportazione degli ebrei nei paesi dell’Est sono utilizzate per sostenere quel che è ben noto, cioè che in curia si sapeva che era in atto un atroce massacro. La frase del radiomessaggio natalizio del 1942 in cui Pio XII ricorda che sono in corso pratiche sterminatrici «solo per ragione di nazionalità o di stirpe», viene evocata per magnificare la scoperta di un dato che, da tempo, gli studi avevano già chiarito: il richiamo era diretto ai ristretti circoli politico-diplomatici in grado di comprendere l’implicito riferimento ai nazisti.
Se, poi, da vicende circoscritte passiamo al generale quadro interpretativo, risulta ancora più evidente che la rivendicazione di eclatanti novità storiografiche ha ben poco fondamento. Nelle sue conclusioni Kertzer, infatti, non propone – per gli atteggiamenti tenuti da Pio XII in ordine a nazismo, fascismo, guerra, ebrei – una spiegazione diversa da quella già fornita da Miccoli. Li riconduce infatti a ecclesiocentrismo, paura del comunismo, antisemitismo politico-giuridico. Ma, a differenza del compianto storico triestino, non tiene in alcun conto che le scelte di Pacelli erano in primo luogo guidate da quella tradizionale cultura cattolica intransigente che vedeva nella ricostruzione di un regime di cristianità la soluzione di tutti i mali della società contemporanea. Non si tratta semplicemente dell’omissione di uno dei diversi fattori che illuminano l’orientamento del pontefice.
La mancata considerazione di questo elemento impedisce all’autore di affrontare correttamente l’indagine storica su Pacelli. A questo proposito, si potrebbero ricordare numerosi esempi in cui, anziché esaminare le scelte di Pio XII e cercare spiegarne le ragioni alla luce del contesto in cui operava, Kertzer, sottolineando che la linea del papa differiva da quella degli Alleati, si dilunga a rimproveragli di non essersi schierato al loro fianco. L’assunzione, come criterio di giudizio storico, del punto di vista di quanti sono alla fine risultati vincitori non è propriamente la via per giungere all’intelligenza dell’agire di un attore pubblico quando ancora non sapeva l’esito del conflitto in cui era coinvolto. Tanto più se quel personaggio dichiara esplicitamente e ripetutamente quali sono i principi regolativi dei suoi interventi. Nella fattispecie di Pio XII si tratta, appunto, della visione del rapporto tra Chiesa e società elaborata da una secolare tradizione teologica. La mancata adozione di questa elementare avvertenza critica si traduce talora in clamorose distorsioni.
Mi limito a un solo esempio. Kertzer sostiene, lungo l’intero libro, che la proposta del papa di una pace con giustizia coincide con la rivendicazione di un equo ordine internazionale delle potenze dell’Asse. Non c’è dubbio che larghi settori della Chiesa italiana hanno accolto questa prospettiva; ma la Chiesa italiana non è la Santa Sede. Per quanto nel corso del libro si affermi ripetutamente che, essendo il papa il primate della Chiesa italiana, su di lui ricade la responsabilità ultima delle sue posizioni, anche l’autore avverte che occorre provare l’attribuzione a Pio XII degli stessi orientamenti della gerarchia italiana. Ma, lungi dall’indagare pazientemente e scrupolosamente cosa intendeva per «giustizia» il pontefice, porta a sostegno della sua tesi una prova che sembra ritenere decisiva: il ras di Cremona, Farinacci, asserviva sul suo giornale che la visione di pace con giustizia del papa coincideva con quella dei nazifascisti!
Enfasi commerciale
Secondo Kertzer la sua ricostruzione, basata su un’ampia e inoppugnabile indagine archivistica, dovrebbe finalmente indurre gli italiani a una profonda revisione di un passato in cui il giudizio positivo dell’operato del pontefice, intrecciandosi con il mito del «buon italiano», impedisce una reale comprensione del ruolo giocato dal consenso al fascismo nelle tragedie del secondo conflitto mondiale.
Senza dubbio, in Italia la società civile come la Chiesa hanno fatto malamente e tardivamente i conti con il consenso da entrambe espresso nei confronti del regime. Ma certo non aiutano a superare questo ritardo libri in cui l’enfatica sottolineatura di nuova conoscenza storica risponde all’esigenza di incrementare le vendite piuttosto che a una rigorosa pratica del metodo storico-critico.
Saggia e documentata critica di un libro, il cui autore sembra condizionato, oltre che da concrete esigenze commerciali, da una partigiana pregiudiziale volontà di demolire la figura storica di papa Pacelli.
Come ha recentemente evidenziato lo storico Mario Toscano, i tempi per una valutazione critica congrua su tale delicato tema di grande interesse ricostruttivo non sono ancora maturi. È breve infatti il periodo della recente apertura agli studiosi degli archivi vaticani, in precedenza segretati. Per quanto molti siano stati gli elementi venuti alla luce, come mostra il noto storico della Normale, Daniele Menozzi, autore di questo articolo, l’enfasi eccessiva posta nel libro di David Kertzer su alcuni aspetti appare un chiaro espediente di lancio pubblicitario piuttosto che una misurata considerazione storiografica.