Il Tempo pasquale, che va dalla Domenica di Risurrezione alla Solennità di Pentecoste, è forse la parte dell’anno liturgico meno valorizzata nelle comunità cristiane. Dopo l’intensità del tempo di Quaresima e del Triduo Santo, con la sovrapposizione spesso anche di elementi della pietà popolare, il tempo di Pasqua finisce per passare un po’ in secondo piano. In realtà invece in questo tempo la Chiesa in qualche modo celebra la sua stessa vita. Infatti il tempo pasquale celebra ciò che sempre la Chiesa vive dalla morte e risurrezione di Gesù fino al suo ritorno alla fine dei tempi. Il Tempo pasquale è per eccellenza il tempo della Chiesa. Un tempo quindi che andrebbe valorizzato proprio per comprendere e sperimentare, attraverso la celebrazione, il mistero della vita della Chiesa e della presenza del Risorto in mezzo ai suoi discepoli.
Per comprendere il significato del Tempo pasquale e per poterlo vivere con maggiore intensità, proviamo a lasciarci suggerire da alcuni testi il mistero che in esso la Chiesa celebra. Proviamo a interrogare alcuni testi che la liturgia utilizza nella Veglia pasquale nelle orazioni che seguono ogni lettura della liturgia della Parola. Scegliamo solo alcune orazioni, per far emergere alcune delle tematiche più significative della celebrazione pasquale. Facciamo riferimento all’attuale traduzione in uso nella Chiesa Italiana, pur sapendo che rispetto al testo latino della EditioTypica ci sono alcune rilevanti differenze.
Ammirabile in tutte le opere del tuo amore
«Dio onnipotente ed eterno, ammirabile in tutte le opere del tuo amore, illumina i figli da te redenti perché comprendano che, se fu grande all’inizio la creazione del mondo, ben più grande, nella pienezza dei tempi, fu l’opera della nostra redenzione, nel sacrificio pasquale di Cristo Signore».
Il primo testo che prendiamo in considerazione è l’orazione dopo la prima lettura della Veglia, il racconto della creazione (Gn 1,1-2,2). L’orazione chiede a Dio l’illuminazione dei suoi figli. È il primo elemento da sottolineare. Nella Chiesa antica i catecumeni che si preparavano al battesimo erano chiamati «illuminandi» e i battezzati «illuminati». Ora nella Veglia pasquale si chiede che tutti i presenti, e in modo particolare chi dovrà celebrare i sacramenti dell’iniziazione cristiana, siano «illuminati», cioè entrino in una conoscenza nuova attraverso un’esperienza.
Questa conoscenza che nasce dall’esperienza deve giungere a sperimentare e incontrare Dio come «ammirabile in tutte le opere del suo amore». Tutta la storia della salvezza, dalla creazione alla passione e morte di Gesù, è contemplata come opera dell’amore di Dio. Si sottolinea l’unità del progetto divino e la coerenza dei suoi interventi nella storia.
In particolare l’orazione crea un collegamento tra creazione e redenzione, fornendo anche una chiave di lettura del racconto della creazione in chiave pasquale. La Pasqua è letta come nuova creazione, vita nuova donata da Cristo ai suoi discepoli. Attraversando il tempo di Pasqua la Chiesa celebra la nuova creazione che si è realizzata in Cristo. Nello stesso tempo il riferimento alla creazione afferma che la Pasqua di Gesù non riguarda unicamente la Chiesa e i suoi membri, ma tutto il creato che è in attesa della rigenerazione (Rm 8,22). Leggendo nella Veglia pasquale il racconto della creazione, i cristiani affermano che c’è una nuova creazione che si è realizzata nella morte e risurrezione di Gesù e che attende di realizzarsi in ogni uomo e donna, nell’intero creato. C’è un sogno di Dio che ancora attende di realizzarsi e che è la meta verso la quale la creazione cammina.
Il dono dell’adozione filiale
«O Dio, Padre dei credenti, che estendendo a tutti gli uomini il dono dell’adozione filiale, moltiplichi in tutta la terra i tuoi figli, e nel sacramento pasquale del Battesimo adempi la promessa fatta ad Abramo di renderlo padre di tutte le nazioni, concedi al tuo popolo di rispondere degnamente alla grazia della tua chiamata».
L’orazione dopo la seconda lettura (Gn 22,1-18) sottolinea che il dono della Pasqua consiste nell’adozione filiale. In Cristo il dono dell’adozione filiale è esteso a tutti gli uomini, a tutte le donne, a tutti i popoli. Nella seconda lettura, alla quale l’orazione di riferisce, viene riportato il racconto della legatura o sacrificio di Isacco. L’orazione collega la promessa fatta ad Abramo di essere benedizione per tutte le famiglie della terra (cf. Gn 12,3) con la Pasqua di Gesù.
In particolare il testo chiede a Dio la fedeltà alla sua chiamata. È interessante che nel testo originale il soggetto per cui si chiede la fedeltà alla vocazione divina non è il popolo al singolare, ma i popoli: «concedi ai tuoi popoli». Per tutti i popoli viene chiesta la fedeltà alla chiamata di Dio, cioè alla Parola che egli rivolge loro. Si tratta di una visione molto bella che vede ogni popolo come destinatario di una vocazione divina alla quale rispondere, a cominciare da Israele, il popolo dell’alleanza mai revocata. Il tema del rapporto con Israele viene ripreso nell’orazione della lettura successiva.
Vediamo risplendere i tuoi antichi prodigi
«O Dio, anche ai nostri tempi vediamo risplendere i tuoi antichi prodigi: ciò che facesti con la tua mano potente per liberare un solo popolo dall’oppressione del faraone, ora lo compi attraverso l’acqua del Battesimo per la salvezza di tutti i popoli; concedi che l’umanità intera sia accolta tra i figli di Abramo e partecipi alla dignità del popolo eletto».
Se nella prima orazione la Pasqua di Gesù veniva collegata con l’evento della creazione, nell’orazione che segue alla terza lettura (Es 14,15-15,1) essa viene riletta alla luce della liberazione dall’Egitto e dal passaggio del Mar Rosso, quindi alla pasqua ebraica.
Innanzitutto l’orazione afferma che la celebrazione della Pasqua di Gesù consiste nel vedere risplendere oggi gli antichi prodigi della storia della salvezza. Celebrando la Pasqua del suo Signore, morto e risorto, la Chiesa afferma che c’è una storia della salvezza che continua e che si rende presente oggi nella sua vita e nell’esistenza di ogni credente. È un messaggio che si trova in continuità con tanti passi delle Scritture che rileggono il presente alla luce degli eventi dell’Esodo.
Nella Veglia pasquale la Chiesa celebra i sacramenti dell’iniziazione – Battesimo, Unzione, Eucaristia – accompagnando i catecumeni al pieno inserimento nella comunità cristiana. A partire da questa orazione, che collega l’acqua del Battesimo al passaggio del Mar Rosso, potremmo rileggere i sacramenti della Chiesa come esperienza personale di quella salvezza che Dio continua ad operare nella storia e che si realizza con l’inserimento nella stessa vita di Cristo. Inserito in Cisto, il cristiano, diviene partecipe della sua stessa chiamata a salvare la propria vita donandola.
In Cristo l’umanità intera può entrare nell’alleanza e partecipare alla dignità del popolo eletto, Israele. Anche in questa orazione, come in quella precedente troviamo un riferimento al rapporto tra la Chiesa e Israele.
E nell’orazione successiva, quella relativa alla quarta lettura (Is 54,5-14), troviamo un riferimento ai patriarchi e alla promessa. I figli nati nel Battesimo vengono chiamati «figli della promessa». Ciò che accade nel Battesimo è frutto della fedeltà di Dio alla sua Parola e si fonda sulla fede dei padri che non dubitarono nella sua forza e nella sua efficacia. All’efficacia della Parola divina si riferisce la lettura successiva.
Progredire nelle vie della giustizia
«Dio onnipotente ed eterno, unica speranza del mondo, tu hai preannunziato con il messaggio dei profeti i misteri che oggi si compiono; ravviva la nostra sete di salvezza, perché soltanto per l’azione del tuo Spirito possiamo progredire nelle vie della tua giustizia».
Nell’orazione relativa alla quinta lettura (Is 55,1-11) il riferimento principale che potremmo sottolineare è la forza della Parola e la sua efficacia. Nel testo di Isaia si parla di una Parola di Dio che non ritorna a lui senza effetto e senza aver operato ciò che egli desidera. Per rafforzare questo messaggio il testo profetico usa le immagini della pioggia e della neve, che non scendono dal cielo senza effetto. Una immagine tanto più forte se la pensiamo contestualizzata nel contesto della terra di Israele e nel deserto.
Nell’orazione si sottolinea questa efficacia della parola in due modi. Innanzitutto con il riferimento alla parola profetica che porta frutto nei misteri che oggi si compiono. L’efficacia dei sacramenti è collegata all’efficacia della Parola di Dio. In secondo luogo, nella traduzione italiana, l’efficacia della Parola è rappresentata dall’azione dello Spirito che agisce nella vita dei credenti, facendoli progredire nella via della giustizia divina. Nel testo originale non c’è un esplicito riferimento allo Spirito Santo, ma si parla unicamente di ciò che Dio ispira nei credenti. Tutto nella vita dei credenti è frutto della Parola divina che feconda la vita e la rinnova.
Nell’orazione successiva, relativa alla sesta lettura (Bar 3,9-15.31-4,4) si chiede a Dio di custodire ciò che genera nella vita dei credenti. I sacramenti non sono quindi eventi puntuali e isolati, ma devono portare frutto nella vita dei credenti. Per questo si chiede che l’azione di Dio nella loro vita continui con la sua protezione. La celebrazione dei sacramenti non è un cammino che termina, ma un itinerario di sequela del Signore che inizia. Ecco un altro significato fondamentale del Tempo pasquale: il tempo in cui la Chiesa, rinata nel Battesimo e sostenuta dall’Eucaristia, cammina nella storia sulla via tracciata dal suo Sposo e Signore.
Tutto ritorna alla sua integrità
«O Dio, potenza immutabile e luce che non tramonta, volgi lo sguardo alla tua Chiesa, ammirabile sacramento di salvezza, e compi l’opera predisposta nella tua misericordia: tutto il mondo veda e riconosca che ciò che è distrutto si ricostruisce, ciò che è invecchiato si rinnova e tutto ritorna alla sua integrità, per mezzo del Cristo, che è principio di tutte le cose».
Nella orazione che si riferisce alla settimana lettura (Ez 36,16-17a.18.28) troviamo un testo molto bello per comprendere il mistero pasquale. Forse è una delle orazioni più ricche proprio per comprendere ciò che la Chiesa celebra nella Veglia e nel Tempo pasquale.
Si fa in primo luogo riferimento al mistero della Chiesa nel suo servizio rispetto a tutti i popoli. La versione italiana usa l’espressione «ammirabile sacramento di salvezza». L’orazione chiede a Dio che la Chiesa possa essere un luogo nel quale tutti i popoli possano vedere i frutti della Pasqua. È una invocazione, dal momento che la Chiesa ben conosce i suoi limiti e le sue infedeltà nel rispondere alla vocazione divina. Tuttavia la sua richiesta si fonda sulla fede in un Dio che è «potenza immutabile e luce che non tramonta.
Il frutto della Pasqua è visto come un ritorno all’integrità, all’armonia della vita in Cristo «principio e fine di tutte le cose». Nella vita della Chiesa tutto il mondo dovrebbe vedere che «ciò che è distrutto si ricostruisce, ciò che è invecchiato si rinnova». In fondo, in questa prospettiva, la vita della Chiesa, dovrebbe essere la continuazione dell’opera di Gesù, che passò facendo del bene, risanando, liberando, risollevando. Nel Tempo pasquale vedremo la realizzazione di questo, nella vita della Chiesa nascente, attraverso la lettura degli Atti degli Apostoli, che ci accompagnerà in ogni domenica.
Conclusione
Un piccolo itinerario in testi liturgici spesso poco valorizzati che invece ci possono aiutare a cogliere alcuni tratti essenziali del senso della celebrazione della Pasqua, come contemplazione della fedeltà di Dio alle sue promesse e della potenza della sua Parola. Nella Colletta che precede la lettura della Lettera ai Romani (Rm 6,3-11) la Chiesa chiede a Dio di risvegliare in lei lo spirito di adozione, quindi il frutto del Battesimo, perché il suo servizio sia puro, grazie al rinnovamento della vita. È la richiesta fondamentale che accompagna il cammino della Chiesa nelle notti della storia dell’umanità, già illuminate dalla luce della risurrezione del Signore.