«Mi vergogno, mi dispiace, non sono stata capace di fare meglio». «Lui è fragile, siamo fragili. Lui solo, siamo soli». «Io so che cosa significa aver dovuto rinunciare agli studi. E so che se avessi studiato avrei avuto una vista migliore…».
Frasi che si leggono nel libro Uno zaino da riempire, che racconta storie di povertà educativa degli adulti, più ancora che dei giovani. Storie nelle quali si incontrano vite piene di stanchezza, di scoraggiamento, della fatica di capire cosa succede o, quando si è consapevoli che i figli stanno andando alla deriva, della frustrazione di non sapere come aiutarli. Di sentirsi sbagliati, alla fin fine.
Il libro è nato all’interno dell’esperienza e delle iniziative della Caritas e ha il merito di segnalare un aspetto del problema della povertà educativa che spesso viene sottovalutato: la povertà educativa non riguarda solo bambini e ragazzi, ma anche gli adulti, che possono essere nello stesso tempo, «protagonisti e vittime dello stesso tipo di fragilità», come scrive nell’introduzione il direttore della Caritas Francesco Soddu.
La formazione continua
Per questo la formazione dovrebbe essere continua ed estendersi a tutto l’arco della vita, «in quanto offre in ogni momento delle propria biografia la possibilità di riqualificarsi, di giungere a livelli superiori, di imparare un nuovo mestiere o migliorare le propria posizione professionale. È quello che in inglese si chiama Long Life Learning, in italiano apprendimento permanente, che in qualche modo è una specie di processo di auto-orientamento o di auto-educazione, che però è difficile innescare.
In questa prospettiva la Caritas affianca, alle azioni rivolte ai bambini e ai ragazzi, quelle rivolte direttamente agli adulti: i corsi di budgeting familiare, che insegnano ad essere consapevoli delle proprie scelte di consumo e a scegliere un modello di spesa, i percorsi professionalizzanti, i tirocini, i corsi di italiano per stranieri…
La comunità educante
La povertà educativa degli adulti «è quasi sempre il risultato di una situazione di difficoltà formativa, vissuta in età infantile e giovanile, che fa pesare i suoi effetti anche a distanza di decenni dall’età dell’obbligo scolastico», scrivono Maria Pia Basilicata e Walter Nanni nella postfazione. Per questo ascoltarne le storie aiuta a capire meglio anche la povertà educativa delle nuove generazione e a prevenirne le conseguenze.
E la prevenzione coinvolge la scuola, ma anche le famiglie e l’intera comunità educante, perché ha a che fare non gli stili di vita dei singoli, ma anche con il contesto sociale più ampio, se è vero che, anche dopo la crisi del 2008, «molti di noi desiderano continuare a vivere secondo parametri di benessere acquisiti negli anni, utilizzando una sorta di protezione nei confronti delle nuove generazioni, ma impedendo loro, di fatto, di assumere compiti e responsabilità, tanto da indurle a considerare il lavoro solo come un’incombenza da affrontare in caso di estrema necessità o di prestigio sociale».
Paolo Beccegato, Renato Marinaro (a cura di), Uno Zaino da riempire. Storie di povertà educativa dei giovani e degli adulti, EDB 2019, pp. 142, € 10,00. Pubblicata su Retisolidali.it il 19 luglio 2019.