La Conferenza episcopale tedesca ha recentemente pubblicato un sussidio per celebrazioni liturgiche, ecumeniche e interreligiose, a seguito di eventi catastrofici per la società. Un testo asciutto e ben fatto, che si struttura intorno alle domande che una comunità si deve porre nell’organizzazione di liturgie legate a eventi che hanno causato un lutto pubblico: luoghi, forme, simboli, musica, gesti, testi e parole che possono accompagnare le persone e una comunità civile davanti al dramma di una catastrofe (naturale o no), per offrire così un aggancio in vista di un’elaborazione condivisa del lutto.
Davanti a catastrofi naturali, atti di terrorismo o di violenza, le Chiese e le religioni sono spesso interpellate dalle autorità civili per farsi carico della parte rituale di ricordo, commemorazione, celebrazione, di ciò che è successo e soprattutto delle persone che ne sono state vittime.
Data la configurazione plurale delle nostre società attuali, ogni celebrazione deve cercare di “rivolgersi effettivamente al più ampio numero possibile di persone” nella loro concreta situazione di vita e con le loro persuasioni fondamentali, religiose o meno, rispetto al senso da dare a essa. Un compito certo non facile, che richiede attenzione e sensibilità – anche nell’organizzazione di dettagli apparentemente formali della celebrazione pubblica (chi presiede? come dare rappresentanza ai famigliari e amici delle vittime? come orchestrare la compartecipazione di diverse religioni? e così via).
Il Sussidio parte dalla consapevolezza del proprio necessario limite, che è quello di rispettare il fatto che ogni “celebrazione del lutto richiede una specifica preparazione ed esecuzione, in modo tale da corrispondere all’evento” che ha segnato il vissuto di una comunità civile e di una società. È questo punto nevralgico che organizza il testo in forma di domande volte a verificare la dovuta sensibilità umana, sociale e religiosa che deve contraddistinguere celebrazioni di questo tipo.
Ogni piccolo dettaglio deve venire preso in debita considerazione: il tempo passato tra l’evento catastrofico e la celebrazione, le condizioni dei sopravvissuti e dei famigliari (lo stato d’animo e fisico dei soccorritori), lo stato di avanzamento nel chiarire le cause dell’evento, il luogo e il modo in cui si celebra il lutto pubblico.
La celebrazione dovrà quindi mettere in scena una drammaturgia adeguata, capace di raccogliere i sentimenti dei singoli direttamente coinvolti e quelli della società che partecipa al lutto causato da quanto successo – ponendo attenzione alle forme mediatiche di partecipazione e coinvolgimento nella celebrazione stessa.
In ogni caso, ogni scelta dovrà essere tale da “proteggere” le persone più direttamente coinvolte: dai sopravvissuti ai famigliari delle vittime e ai primi soccorritori – offrendo loro, al tempo stesso, uno spazio/tempo simbolico in cui sentire di essere portati in questo loro personalissimo lutto da tutta una comunità che si riunisce insieme a loro.
Il senso religioso di queste celebrazioni è quello di “offrire uno spazio rituale al lutto e alla consolazione” delle persone coinvolte e della più ampia comunità civile – che comporta un rigore estremo nel tenere sotto controllo ogni forma di protagonismo confessionale nel corso di esse. Le “comunità religiose e le Chiese, infatti, in casi come questi si devono porre in un atteggiamento di servizio per il sostegno rituale di una comunità pubblica plurale e multi-religiosa resa insicura da quanto accaduto”.
Si tratta, quindi, di celebrazioni che devono proteggere e, al tempo stesso, rendere possibile una reale e sentita condivisione del lutto. Un ruolo particolare, in questo, viene riconosciuto alla musica e ai simboli “che, in ragione della loro immediatezza e profondità emozionale, hanno un efficacia maggiore delle parole e di testi letti”.
Trattandosi di celebrazioni affidate alle comunità religiose, proprio in ragione di questa loro specificità, esse devono avere una forma gestuale e testuale che consenta un apprezzamento degli aspetti legati alle fedi anche da parte di coloro che non le condividono o conoscono; che, d’altro lato, non devono mai essere sentiti come violenza o inadeguati dalle persone che sono state colpite più direttamente dall’evento catastrofico.
Al di là del contesto immediato a cui il Sussidio vuole offrire degli spunti pastorali e liturgici, quello delle catastrofi improvvise appunto, esso tocca un nodo centrale nel sentire diffuso delle nostre società piagate della pandemia da Covid-19: quello della celebrazione condivisa e pubblica del lutto, della perdita, della vita nei suoi tornanti più drammatici e disumani. Luogo di custodia di una dignità ultima dell’umano di cui le religioni e le fedi dovrebbero prendersi particolare cura.