In un frammento a commento di 1Cor 2,13: πνευματικοῖς πνευματικὰ συγκρίνειν, accostare cose spirituali a cose spirituali, Origene di Alessandria (prima metà del III secolo) così spiegava l’espressione paolina: «Come si venga istruiti dallo Spirito lo si deve capire dalle parole di Paolo: accostando cose spirituali a cose spirituali. A forza di esaminare una parola con un’altra e di riunire i passi simili, si svela il senso della Scrittura. Così infatti comprendo le cose di Dio e divengo istruito dallo Spirito».
Il passo di Paolo diventava così per lui un principio ermeneutico affine, oltretutto, alla regola giudaica detta gezārah šhawāh, un principio a cui il maestro alessandrino si sarebbe richiamato di continuo al momento di interpretare singole parole o segmenti di testo, al fine di giustificare il ricorso a numerosi altri passi scritturistici mediante la cui orchestrazione diventava possibile ricavare quella inesauribile pluralità di significati che rende così ricco e, al tempo stesso, filologicamente rigoroso il suo lavoro interpretativo.[1]
Tutta la grande tradizione patristica ha fatto propria questa regola, che postula di interpretare la Scrittura con la Scrittura. Applicandola alle parole pronunciate da Gesù per benedire il calice nel contesto dell’ultima cena, non è di poco valore ciò che si può ricavare.
Quando Gesù ha benedetto il vino ha usato un’espressione assai articolata, ovviamente differente da quella usata per benedire il pane, certo consapevole di avere di fronte due realtà diverse, per nulla sovrapponibili.
Penetrando nel significato di ognuno dei termini presenti nella formula divenuta nella chiesa consacratoria del calice, si rileva una loro strettissima connessione con lo Spirito Santo.
Vediamoli singolarmente.
Innanzitutto l’invito a bere: in Mt 26,27 si legge: bevetene (πίετε) tutti… Lo stesso verbo si trova in 1Cor 12,13 dove Paolo afferma: tutti fummo abbeverati (ἐποτίσθημεν) in uno stesso Spirito e in 1Cor 10,4 che recita: tutti mangiarono lo stesso cibo spirituale e tutti bevvero (ἔπιων) la stessa bevanda spirituale, bevevano (ἐπινον) infatti ad una pietra spirituale….
Poi il riferimento alla nuova alleanza. Gesù dice in Lc 22,20: questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue … e in Ger 31,31 compare il medesimo binomio: «nuova alleanza», che in Ez 36,26-27ha come segno specifico il dono dello Spirito: porrò il mio Spirito dentro di voi;
Quindi il testo prosegue: Mc 14,24: sparso… il verbo è ἐkcunnόmenon, che si ritrova in Rm 5,5: la carità di Dio è sparsa (ἐkkεcuτχαι) nei vostri cuori per lo Spirito che vi è stato dato. E anche in Att 2,17 dove Pietro ripropone la profezia di Gioele (Gl 3,1) ritroviamo il medesimo verbo: ecco verranno giorni, io spargerò (ἐκχεῶ) il mio Spirito su tutti e profetizzeranno… E ancora in Tt 3,6: Lo Spirito Santo Dio lo ha sparso (ἐξέχεεν) su di noi a profusione per mezzo di Gesù Cristo. Quindi il verbo del dono dello Spirito, che traduciamo con effondere o spargere, è quello che Gesù usa per indicare che cosa fa del suo sangue: sangue sparso….
Ed aggiunge: Mt 26,28: in remissione dei peccati (εἰϛἄφεσινἁμαρτιῶν). E in Gv 20,23 si dichiara che il dono dello Spirito è collegato alla remissione dei peccati: a chi rimetterete i peccati saranno rimessi a chi li riterrete saranno ritenuti… Anche in Eb 9,14 il sangue è connesso con lo Spirito: quanto più il sangue di Cristo che con uno spirito eterno (cf. nota Bibbia di Gerusalemme: con lo Spirito Santo) offrì se stesso…, espressione che P. Vanhoye spiega: «Cristo ottiene l’unione dello Spirito con il proprio sangue… a causa di questa unione il sangue di Cristo toglie i peccati» (cf. anche Eb 13,12 dove si afferma che senza effusione di sangue non c’è remissione dei peccati).
Ma anche il vino – menzionato nella formula liturgica e implicitamente indicato nel «calice» nominato nei testi evangelici – è connesso allo Spirito. In Gv 2,9 quando si dice che i servi portano a tavola il vino del miracolo, si afferma che il capo del banchetto non sapeva di dove (πόθεν) venisse… e al capitolo seguente, in Gv 3,8, Gesù rivela a Nicodemo che Lo Spirito soffia dove vuole e non si sa da dove (πόθεν) viene né dove va. Quindi nella Scrittura sia il vino sia lo Spirito sono realtà che non si sa «da dove» vengono. In Gv 2,4 poi, Gesù si rifiuta di dare il vino perché, dice: la mia ora non è venuta così come in Gv 7,39 si afferma che non c’era ancora lo Spirito perché non era ancora stato glorificato, ossia non era ancora arrivata la sua ora.
Da questa analisi si può dunque ricavare che tutta la terminologia usata nella formula della consacrazione del vino è connessa allo Spirito santo, quasi a voler mostrare che nell’Eucaristia si ricevono due doni: il Figlio e lo Spirito (le «due mani del Padre», secondo Teofilo d’Antiochia e Ireneo di Lione), rispettivamente nel segno del pane e nel segno del vino: se si deve dare valore ai segni – e la Chiesa invita a farlo – si deve ammettere che, nella celebrazione eucaristica, solo il segno del pane è dato ai fedeli, il segno del vino invece è riservato al celebrante, di solito i fedeli non lo ricevono: un’omissione che, oltre a privare i fedeli del dono dello Spirito, tradisce – e forse ciò è ancora più grave – la volontà espressa dal Signore Gesù.
Tanto più che durante la celebrazione i celebranti continuano a pronunciare espressioni che, a motivo di tale omissione, risultano menzognere:
Preghiera eucaristica I:
«… su tutti noi che partecipiamo di questo altare, comunicando al santo mistero del Corpo e Sangue del tuo Figlio…»
Preghiera eucaristica II:
«… per la comunione al Corpo e al Sangue di Cristo lo Spirito Santo ci riunisca…»
Preghiera eucaristica III:
«… a noi che ci nutriamo del Corpo e Sangue del tuo Figlio dona la pienezza dello Spirito Santo…»
Preghiera eucaristica IV:
«… a tutti coloro che mangeranno di quest’unico Pane e berranno di quest’unico Calice…»
Tra gli autori cristiani antichi che possono confermare l’interpretazione qui esposta, mi limito a riportare un passo di Ambrogio, Sacramentis V,17: «La giocondità del comunicarsi non viene turbata dalle macchie di nessuna colpa. Infatti tutte le volte che bevi di questo vino, i tuoi peccati ti sono perdonati e ti inebri dello Spirito. Per questo anche l’Apostolo dice: Non ubriacatevi di vino, ma siate ricolmi di Spirito (Ef 5,18)».
[1] Cf. anche CMt X,5: «[vanno messe a confronto] non cose che non possono essere confrontate, bensì cose confrontabili e che abbiano una qualche somiglianza di parola, che indichi la stessa cosa e di concetto e di dottrina per stabilire e confermare ogni parola di Dio con la bocca di due o tre o anche più testimoni tratti dalle Scritture». Mi permetto di rinviare al mio Il Paolo di Origene. Contributo alla storia della ricezione delle epistole paoline nel III secolo, in “Verba Seniorum N.S.” 11, Roma 1992, pp. 117-123.
Molto bello, e molto vero: la mancanza della comunione al calice si collega all’oblio teologico dello Spirito.
L’assemblea della CEI dal 12 novembre prossimo sarà l’occasione “per fare il punto sul cammino della riforma liturgica” anche su questo aspetto della comunione dal calice? da questa i laici attualmente, dopo un ritorno di fiamma postconciliare, sono esclusi nella quasi totalità delle celebrazioni, anteponendo problemi pratici che la rendono meno praticabile, così come, malgrado questi problemi, invece resiste la tradizionale e gerarchizzante comunione dell’ostia in bocca, anche nelle celebrazioni televisive.
Le riflessioni bibliche sull’accostamento fra calice e Spirito sono assai interessanti e convincenti, e credo che trovino riscontro nella liturgia eucaristica dell’Oriente.
Mi dispiace invece che alla fine si neghi la comunione al sangue per chi riceve solo il pane consacrato. E’ vero che manca il segno, ma non la sostanza: nel pane c’è tutto Cristo, così come nel calice.
La comunione al Calice : F. Cocchini: Una sintesi eccezionale, documentata (ho gustato i riferimenti ai Padri della Chiesa, alla Scrittura ( la Scrittura si legge con la Scrittura !) La connessione tra il Calice e lo Spirito. Quando non bevo al Calice, mi sento defraudata!