Il valore della lettera che il 15 ottobre papa Francesco ha scritto al card. Sarah, prefetto della Congregazione per il culto divino (qui il testo) va al di là della questione specifica su cui interviene (per una sintesi della vicenda rimando al mio post precedente qui): pur con tutta la rilevanza del “caso” – ossia la corretta interpretazione di un testo come Magnum principium (= MP)e il suo impatto sulla prassi delle traduzioni liturgiche – la lettera riguarda il modo di interpretare la svolta conciliare e la apertura di una nuova fase del rapporto della Chiesa con la storia e con la cultura. Ecco alcuni punti essenziali di questo ragionamento:
a) Il Concilio in contumacia
Nell’ermeneutica liturgica prevalente degli ultimi decenni del magistero spesso si è ricorsi a riferimenti ai testi conciliari che ne contraddicevano il significato. Esempi particolarmente lampanti di questa “prassi interpretativa” sono costituiti da documenti liturgici che si collocano agli inizi del nuovo millennio: Liturgiam authenticam (2001) e Redemptionis sacramentum (2004) sono due casi in cui vengono proposte letture della tradizione post-conciliare che approdano a vere e proprie smentite del concilio. Basti pensare che l’esito dei due documenti citati è, rispettivamente, il sospetto verso la lingua parlata e verso la assemblea celebrante! Il “grande principio” appare in questi documenti dimenticato e sfigurato.
b) Il Concilio con diritto di parola
Anche nel caso del “Commentaire” scritto dal card. Sarah, con la pretesa di dare una “interpretazione autentica” di MP, si è proceduto con la medesima tecnica: si incarica un canonista di corte vedute e dalla provata fede autoreferenziale di avanzare spudoratamente una lettura del testo papale nel segno di una assoluta continuità con la prassi e la mentalità acquisita negli ultimi 20 anni e si pretende di accreditare l’idea che questa lettura sia “fedele” al testo di MP. E il prefetto si è prestato a firmare un testo del tutto indifendibile. Normalmente questo si è fatto per testi che non avevano alcuna possibilità di rispondere e che vivevano della fedeltà con cui, nella storia, siamo ancora capaci di intenderne la lettera e lo spirito. In questo caso, però, l’operazione spericolata di ermeneutica tradizionalista non ha tenuto conto del fatto che Francesco è oggi “Concilio con diritto di parola“. Per questo, di fronte alla sfrontatezza con cui si è fatto spregio della lettera e dello spirito di un documento di appena un mese fa, la “intentio auctoris” – ancora ben chiara nella mente di chi lo ha firmato – interviene inequivocabilmente a ristabilire la verità.
c) La questione in causa
Nel merito del MP, la esigenza di ascoltare le ragioni delle diverse culture, da cui scaturiva la intuizione originaria del Concilio, non può essere oscurata da una mera difesa delle competenze centralistiche elaborate negli ultimi 20 anni, sotto la pressione di una certa ossessione verso la “perdita della tradizione”. Attraverso la “netta differenza” tra due forme di “approvazione”, MP salvaguarda finalmente la differenza necessaria delle diverse culture. Pensare l’unità come “omologazione” costituisce una aperta smentita della dinamica che il Concilio Vaticano II ha voluto riconoscere come vitale per la tradizione ecclesiale. Su questo punto, che definirei viscerale, una lettura statica e una lettura dinamica della tradizione si confrontano apertamente e non possono essere giocate l’una contro l’altra. In effetti il testo della lettera parla esplicitamente di “abrogazione” dell’approccio imposto da Liturgiam authenticam. Non sono più possibili quegli ostacoli tra fedeltà e traduzione creati ad arte per 20 anni e che hanno sviluppato solo imbarazzo e paralisi. La “fedeltà”, come dice il testo della lettera,” implica una triplice fedeltà: al testo originale in primis; alla particolare lingua in cui viene tradotto e infine alla comprensibilità del testo da parte dei destinatari”: in altri termini essa viene riconosciuta come un atto complesso, che non può essere controllato solo dal centro, ma che deve onorare diverse istanze, generali e particolari.
d) Una lezione che va al di là del card. Sarah
Tra le prime reazioni che hanno caratterizzato la recezione della lettera una ha rischiato di essere predominante. Forse è quella che anche la stampa è tentata di sottolineare: ossia una sorta di “duello” tra il papa e un suo ufficiale. Non è così. Altro è qui in gioco: si tratta piuttosto di un modo di restituire autorità alla “natura pastorale” del Concilio Vaticano II e agli effetti che questa grande svolta può e deve avere sull’intero corpo ecclesiale, a partire dalle Congregazioni, che non ne restano immuni. La lettera del 15 ottobre è espressione di un Concilio Vaticano II che non si lascia imbavagliare da ermeneutiche negazioniste, che non si fa paralizzare dalla “ossessione della continuità dell’unico soggetto ecclesiale”, che non consente indifferenze o trascuratezze antiche e nuove. Tutti coloro che negli ultimi 40 anni hanno cercato di addomesticare il Vaticano II devono sentirsi i veri destinatari della lettera. Il card. Sarah nella vicenda è stato particolarmente ingenuo. ma la lettera intende parlare soprattutto ai furbi.
Pubblicato il 23 ottobre 2017 nel blog: Come se non.