Nella struttura della curia romana, la funzione della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti ha assunto, dal 1988, la figura di competenza che troviamo nella Costituzione apostolica «Pastor Bonus» (nn. 62-66). Molto importanti sono i tre punti che qualificano la attività dell’Ufficio, così come espressi dal n. 64. Leggiamoli integralmente:
Articolo 64
§ 1. La Congregazione promuove con mezzi efficaci e adeguati l’azione pastorale liturgica, in particolar modo in ciò che attiene alla celebrazione dell’Eucaristia; assiste i Vescovi diocesani, perché i fedeli partecipino sempre più attivamente alla sacra liturgia.
§ 2. Provvede alla compilazione o alla correzione dei testi liturgici; rivede ed approva i calendari particolari ed i propri delle Messe e degli Uffici delle Chiese particolari, nonché, quelli degli istituti che godono di tale diritto.
§ 3. Rivede la traduzioni dei libri liturgici ed i loro adattamenti, preparati legittimamente dalle conferenze episcopali.
Come è evidente, il dettato normativo non lascia molti dubbi: la funzione centrale della Congregazione consiste nel coordinare, a livello centrale, il cammino di attuazione della riforma liturgica. Questo avviene a tre livelli: sul piano della «azione pastorale liturgica», orientata chiaramente ad una maggiore «partecipazione attiva»; sul piano della stesura dei testi liturgici e dei calendari; sul piano della traduzione e dell’adattamento operati dalle Conferenze episcopali.
Tensioni crescenti
Sono proprio questi tre obiettivi ad aver determinato, negli ultimi decenni, crescenti tensioni tra il compito istituzionale e il suo concreto svolgimento. Non solo nel caso dell’ultimo Prefetto che ha rassegnato le dimissioni, ma in una lunga teoria di predecessori, la evidenza dei tre compiti che abbiamo considerato è apparsa in una luce troppo debole, quasi sopraffatta da “doveri alternativi”, se non contraddittori addirittura.
Come non pensare che, a partire dallo stesso anno in cui nasceva questo assetto costituzionale, sorgeva, parallelamente, una “competenza alternativa” sulla liturgia, da parte della Commissione «Ecclesia Dei», sull’uso del rito romano precedente, che sarebbe enormemente cresciuta a partire dal 2007, fino ad estinguersi nel 2019, ma con il passaggio delle competenze alla CDF, che si trova ad esercitare un compito che di per sé sarebbe di competenza della CCD?
Non è difficile notare, comunque, come su ognuno dei tre punti-chiave della competenza, si è assistito, con gli ultimi Prefetti, a una progressiva trasformazione della competenza:
a) La partecipazione attiva dei fedeli è stata spostata sempre più sullo sfondo, mentre si è sollevato il grave sospetto che la «assemblea o comunità celebrante» fosse espressione di un pericoloso «abuso». E che la rinuncia all’uso fosse un bel modo di evitare gli abusi.
b) La compilazione e correzione dei testi liturgici e dei calendari ha interpretato il ruolo dell’Ufficio più come quella di «conservazione del museo» piuttosto che come quella della “coltivazione di un giardino”.
c) Sulla traduzione si è dovuto attendere il 2017 – col motu proprio «Magnum Principium» − per ritrovare il senso originario sia del valore insuperabile delle «lingue parlate», sia della funzione delle Conferenze episcopali. E l’ombra lunga di «Liturgiam authenticam» fa ancora sentire il peso di una lettura «latina» della tradizione, che guarda con sospetto alle lingue parlate.
Il compito del prossimo prefetto
Uscire da questa triplice impasse, che minaccia i tre compiti fondamentali della Congregazione, sarà il compito che il prossimo Prefetto dovrà assumere e coordinare. Non senza dimenticare che le congregazioni non sono uffici monocratici, ma collegiali. I Prefetti non sono altro che coloro che presiedono al lavoro di un Ufficio articolato.
La speranza è che, per guidare un processo tanto delicato di recezione della riforma liturgica, sia messa in campo la migliore competenza liturgica possibile, senza pensare che per coordinare un tale lavoro sia sufficiente il buon senso di un uomo istituzionale o la sapienza di un uomo spirituale: le logiche della liturgia non si lasciano comprendere solo per la loro forma esteriore o per il loro contenuto di verità. Perciò una competenza specifica, tecnica, testuale e rituale risulta inaggirabile.
Per questo motivo apparirebbe davvero incomprensibile che a custodire un tale lavoro fosse designato chi non ne conosce nel dettaglio la delicata articolazione, come purtroppo è stato normale negli ultimi decenni. Mentre è stato normale che un esperto in dogmatica fosse designato a guidare la Congregazione per la dottrina della fede, un esperto in diplomazia guidasse la Segreteria di Stato, o che un esperto in diritto si occupasse del Pontificio consiglio per i testi legislativi, dovrebbe diventare altrettanto normale che a guidare la Congregazione per il Culto Divino fosse chiamato chi conosce «da dentro» la forma rituale della vita di fede.
Anche questa non irragionevole decisione, una buona volta, sarebbe un modo significativamente nuovo di onorare il Concilio Vaticano II e la sua illuminata recezione.
- Pubblicato il 21 febbraio 2021 nel blog Come se non