Il 23 maggio scorso davo conto di un problema con la liturgia[1] che si declinava in una tensione e in una dissociazione. Alcune settimane fa, il motu proprio Magnum principium[2] si preoccupava della “forma conciliare” della liturgia e quindi della Chiesa (cf. soprattutto SC 36), e recentemente una correctio paternalis[3] di Francesco al cardinal Sarah ha reso evidente l’inizio di una soluzione.
La convergenza di questi elementi non semplifica la vicenda, ma qui vorrei intervenire nel merito facendo risaltare due aspetti che, a mio avviso, vanno considerati nella loro pertinenza e necessità. Si tratta dell’importanza e del ruolo del diritto, da una parte, insieme al dovere di riconnettere liturgia ed ecclesiologia, dall’altra.
La rilevanza del diritto
A proposito del “posto” del diritto e dei suoi rapporti con la teologia si è discusso parecchio. Molto ancora rimane da dire e soprattutto da raggiungere, ma il tema è stato ripreso negli ultimi giorni dal professor Pierluigi Consorti,[4] che ha provato a rafforzare la riflessione specialmente dopo un deciso intervento del prefetto Sarah riguardo all’interpretazione del motu proprio di papa Francesco.
Tuttavia, tra i numerosi meriti del provvedimento papale non si può dimenticare il ripristino di una certa idea di liturgia attraverso il servizio reso dal diritto. È questo passaggio, assolutamente fondamentale, che colloca rettamente il Codex e lo investe del delicato compito di traduzione “legale” dei principi espressi teologicamente.
Il carattere “pratico” delle norme canoniche è esattamente il punto di contatto più stretto con la teologia, che con la praticità ha (o dovrebbe avere) a che fare perché i suoi argomenti diventino patrimonio comune dei fedeli, educati e formati a vivere la loro fede. La canonistica allora non è materia di cui disfarsi, ma modo “umano” (che dunque potrebbe equivalere a “necessario”) di disciplinare la “convivenza” – anche ecclesiale.
La riconnessione di liturgia ed ecclesiologia
In seconda battuta, la «ridefinizione asimmetrica»[5] dei legami tra rito e comunità ha in qualche modo legittimato, nel tempo, un’arbitrarietà ulteriore e priva di confini definiti, per ciò stesso difficile da inquadrare e da studiare, la quale si è anche riflessa sulla canonistica e ne ha deformato gli usi.
Per queste ragioni è notevole che il motu proprio incastri e disponga bene liturgia e diritto, e che ciò avvenga grazie al supporto di una base teologica fondata e fondante. In altre parole, è l’adeguata articolazione degli elementi della liturgia, del diritto e dell’ecclesiologia ad offrire esperienze realmente ecclesiali, di vera e attiva partecipazione (cf. soprattutto SC 14). Rimettere in circolo tutti gli aspetti prodotti dalle istanze liturgiche, canoniche ed ecclesiologiche comporta un lavoro serio e impegnativo, nonché proficuo e soddisfacente, grazie al quale si può anche pensare sistematicamente ad una nuova sintonia tra lex orandi e lex credendi.
Sia Magnum principium (come apripista), sia la correctio paternalis (come conseguenza) guardano nella medesima direzione. Insieme consegnano un compito dai forti risvolti ecclesiali. Lo si potrebbe comprendere quale “auspicio ermeneutico”: che “l’importante principio” venga compreso anche e soprattutto come “il grande inizio” di una soluzione molto attesa.
[1] Cf. A. Ballarò, Un problema con la liturgia, in: http://www.settimananews.it/liturgia/un-problema-la-liturgia/
[2] Cf. Francesco, Magnum Principium, in: https://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2017/09/09/0574/01279.html#it
[3] Si può leggere il testo in: http://lanuovabq.it/it/la-lettera-del-papa-al-cardinale-sarah
[4] Cf. P. Consorti, Bisogna interpretare il diritto canonico alla luce del Concilio Vaticano II, in: https://people.unipi.it/pierluigi_consorti/bisogna-interpretare-il-diritto-canonico-alla-luce-del-concilio-vaticano-ii/
[5] A. Ballarò, Un problema con la liturgia.