La Chiesa si prende tempo per commemorare i defunti, generazioni immemori che non ci sono più e sulle quali noi tutti poggiamo. Senza riuscire più a riconoscerlo, abbandonandoli a una dimenticanza che ci toglie la terra su cui poggiare le nostre frenetiche esistenze.
Eppure, noi tutti veniamo da lì: da questo grumo umano anonimo e senza volto che sono i defunti. Il dovere della nostra solidarietà con loro è pari a quello che dobbiamo alle generazioni che verranno. È su questa doverosa memoria futura che si costruisce una storia degna dell’umano.
Per questo la comunità cristiana si raccoglie in preghiera, celebra l’eucaristia a loro suffragio, visita i cimiteri: solo così può raccontare la storia della sua fede. Ci riuniamo presso di loro per affidarci alla loro benevola protezione, per rammemorarne la fede, per riconoscere la loro umana peccaminosità, accettando la loro luce come le loro ombre.
Mentre facciamo tutto questo, confessiamo noi stessi. E pratichiamo la nostra devozione per l’umano amato da Dio. Riconoscendo che loro, i morti, sono qui, trasversali alle nostre storie che non sarebbero senza di loro.
Nel giorno che la liturgia dedica ai morti, il tempo viene liberato dal giogo della cronologia e si accende come evento della festa che tutti riunisce in un’inaspettata ospitalità. Anche la Chiesa ne esce più libera, sapendo che anche «parti» di lei muoiono nel tempo per generare comunità che possano trovare il loro modo di essere fedeli al vangelo del Regno.