Don Ubaldo è timido, odia tutte le pomposità, lascia le grandi cerimonie al vescovo. Esce timidamente dalla sacrestia e velocemente appare sull’altare come la Madonna di Lourdes. Questa della processione d’ingresso è una pratica da risolvere rapidamente. Giusto per la Prima comunione dei bambini, su pressione dei genitori, accetta di percorrere tutta la navata della chiesa: è convinto così di essere semplice.
L’ingresso del Cristo
Il problema sta nel fatto che l’ingresso non è quello di don Ubaldo, e nemmeno la sfilata dei bambini per la gioia dei loro genitori, ma è l’ingresso di Cristo, morto e risorto. Le vesti liturgiche che avvolgono don Ubaldo, trasfigurano la sua persona e durante la celebrazione egli agisce in persona Christi.
Così, la processione di ingresso è il rito che visivamente permette ad un gruppo di persone convocate da varie realtà, di diventare il corpo stesso del Capo, l’assemblea che è resa “uno” da Cristo stesso che l’attraversa.
La costruzione delle sacrestie a lato del presbiterio è diventata la scusa per entrare subito sull’altare e privare i fedeli di questo primo gesto così evocativo e confortante: essere attraversati e raccolti da Lui; resi in comunione fra noi non perché ci conosciamo, ci vogliamo bene, andiamo d’accordo, ma solo perché Lui è in mezzo a noi.
Essere assemblea non è un dato sociologico: la domenica non è la festa della comunità, ma il giorno del Risorto nel cui nome i cristiani sono generati e si ritrovano.
Il simbolo disatteso
Tra l’altro, ormai, il segno della porta è totalmente disatteso: ne rimane qualche vestigia nella Veglia pasquale, nel Rito di ammissione al catecumenato, nei Riti di accoglienza per il Battesimo degli infanti, nei Riti di introduzione del Matrimonio, nel rito delle Esequie.
La porta è uno dei simboli di Gesù Cristo che ha detto: «Io sono la porta delle pecore… se uno entra attraverso di me, sarà salvo» (Gv 10,9ss). Questo varcare la soglia, dietro la Croce e il libro dei Vangeli, ci introduce in una realtà in cui siamo assemblea liturgica non per virtù nostra, ma perché generati dall’alto: seguiamo Cristo e siamo protesi verso il centro spaziale dell’aula liturgica che è l’altare, simbolo di Cristo, e da lì attendiamo ogni grazia per essere generati dal Risorto.
Come sarebbe bello che almeno in quelle occasioni, e non solo nella Veglia pasquale, tutti passassero attraverso la porta che è segno di Lui: gli sposi, i genitori, i catecumeni dietro al Sacerdote/Cristo, attraverso la porta/Cristo, per arrivare all’altare/Cristo.
Nella Liturgia, i riti di Introduzione possono essere definiti proprio i “riti della soglia”, perché ci trasportano da una situazione ad un’altra, ci fanno entrare nella celebrazione, ne sono una sorta di inaugurazione e questa è la loro funzione: portarci dentro il Mistero che dobbiamo celebrare.
Lo scopo dei “riti della soglia”
La storia di questi riti è molto complessa e ha causato nei secoli un affastellamento di elementi che provengono da molte tradizioni liturgiche diverse.
Il Messale precisa che: «Scopo di questi riti è che i fedeli, riuniti insieme, formino una comunità, e si dispongano ad ascoltare con fede la parola di Dio e a celebrare degnamente l’Eucaristia».
E aggiunge, presentando l’introito: «Quando il popolo è riunito, mentre il sacerdote fa il suo ingresso con i ministri, si inizia il canto d’ingresso. La funzione propria di questo canto è quella di dare inizio alla celebrazione, favorire l’unione dei fedeli riuniti, introdurre il loro spirito nel mistero del tempo liturgico o della festività, e accompagnare la processione del sacerdote e dei ministri».
Quale meraviglia è questo passaggio
Da questo vediamo che la Messa inizia quando il popolo è radunato, è lì, non disperso ma raccolto nell’anima, nel cuore, nella fede, proteso verso Gesù Cristo. Siccome siamo esseri umani non possiamo passare improvvisamente da una situazione all’altra senza l’aiuto di segni sensibili.
I Riti di Introito sono proprio come una camera iperbarica di decompressione. Ci aiutano a raccoglierci attorno al Risorto, e questi segni devono essere molteplici, visibili, udibili, respirabili, percepibili: canto, movimento, profumo di incenso, colori, Evangeliario, croce astile, sacerdote, ministri, assemblea, ecc.
Il significato del saluto e del segno di croce consiste nel prendere atto che siamo in Cristo e da lui generati come Chiesa. La prima consapevolezza è proprio questa: essere stati generati dal Risorto come Chiesa, attraversati da Lui. Noi siamo nell’aula liturgica non per sentir la predica del parroco o una buona parola o per dire le preghiere della domenica, ma perché Cristo è risorto. Non c’è altro motivo. E se siamo lì, è perché Lui è vivo sulla morte e sul peccato ed è Lui che ci rende Chiesa. “Dominus vobiscum”, cioè “Il Signore (sia) con voi” vuol dire: il Signore è vivo! Il Risorto che abita in voi, è presente in voi e voi siete il segno del Risorto.
Quale meraviglia in questo semplice passaggio da una situazione all’altra, in questo inizio della Liturgia, caro don Ubaldo!
Elide Siviero collabora con il Servizio diocesano per il catecumenato della diocesi di Padova. È autrice di Ore di vetro. Il mistero della fragilità (San Paolo, 2016) e Donne di Dio. Scorci biblici con Antonella Anghinoni (San Paolo, 2016).
Bella l’immagine della camera di decompressione per i Riti d’inizio! L’ossigeno è rappresentato anche e molto dal canto d’ingresso: bello, solenne e al contempo spigliato nell’andamento, gioioso, sostenuto dal robusto suono dell’organo ( possibilmente ) e soprattutto tale da coinvolgere tutta l’assemblea che quando canta all’unisono e sostenuta dal coro, è la più bella e solenne Schola Cantorum-
Renato Borrelli
Grazie ad Elide Siviero! Davvero bella questa riflessione-spiegazione sul valore dei segni nella liturgia, e in particolare sui “riti della soglia”. Quanto poco sappiamo… e il non capire il significato dei vari momenti della Messa forse ci impedisce di viverla in pienezza, o almeno di gustarla fino in fondo…