La liturgia e il desiderio di comunione

di:

francesco

Come deve essere interpretata la lettera apostolica «Desiderio desideravi» che il 29 giugno 2022 papa Francesco ha dedicato alla «formazione liturgica del popolo di Dio»?

La lettera apostolica ci offre un primo livello di intenzione, sul quale mi soffermo, che traspare dalle prime righe e da una ripresa potente, negli ultimi numeri del testo (composto di 65 brevi numeri).

È evidente che DD dichiara di scaturire, come un ampiamento, dalla «lettera ai Vescovi» che aveva accompagnato, l’anno scorso, il MP «Traditionis custodes». Di che cosa si tratta? Del testo con cui, in ragione della Riforma Liturgica, veniva superato un anno fa il regime di «parallelismo» tra due forme dello stesso rito romano. In DD prima Francesco si colloca nel solco del testo dell’anno passato (DD 1) e poi chiarisce meglio la sua intenzione (DD 61):

Siamo chiamati continuamente riscoprire la ricchezza dei principi generali esposti nei primi numeri della Sacrosanctum Concilium comprendendo l’intimo legame tra la prima delle Costituzioni conciliari e tutte le altre. Per questo motivo non possiamo tornare a quella forma rituale che i Padri conciliari, cum Petro e sub Petro, hanno sentito la necessità di riformare, approvando, sotto la guida dello Spirito e secondo la loro coscienza di pastori, i principi da cui è nata la riforma. I santi Pontefici Paolo VI e Giovanni Paolo II approvando i libri liturgici riformati ex decreto Sacrosancti OEcumenici Concilii Vaticani II hanno garantito la fedeltà della riforma al Concilio. Per questo motivo ho scritto Traditionis Custodes, perché la Chiesa possa elevare, nella varietà delle lingue, una sola e identica preghiera capace di esprimere la sua unità. [23] Questa unità, come già ho scritto, intendo che sia ristabilita in tutta la Chiesa di Rito Romano.

Questa frase indica in che modo il testo si colloca esplicitamente nella ripresa del disegno conciliare e supera in modo netto la lunga fase di esitazione, che aveva segnato la Chiesa cattolica lungo la fase finale del pontificato di Giovanni Paolo II e più nettamente durante il pontificato di Benedetto XVI. Che cosa deve essere riportato al centro della attenzione? Il testo lo dice con una espressione «classica»: la «formazione liturgica».

Con questa espressione si vuole ritornare al carattere «comune» dell’atto liturgico, anzitutto eucaristico, di cui i soggetti sono Cristo e la Chiesa. Se si acquisisce la qualità di «celebranti» di tutti i battezzati, come fa DD in modo chiarissimo, allora è evidente che la duplice formazione (alla liturgia e da parte della liturgia) possa avvenire solo grazie ai riti scaturiti dalla riforma, che hanno ristabilito in modo limpido questa antica verità: «Ricordiamoci sempre che è la Chiesa, Corpo di Cristo, il soggetto celebrante, non solo il sacerdote». (36)

Questo principio discende dal valore teologico della liturgia e permette di assumere la celebrazione «comune» come una fonte e un culmine di tutta la azione della Chiesa. Perciò non ha senso fondare una scienza liturgica come «timore degli abusi da evitare», quanto piuttosto come desiderio degli usi da imparare. Questa «svolta ad imparare l’uso» è davvero un grande evento di grazia. Dopo che, a partire da «Redemptionis Sacramentum», ci eravamo abituati ad ascoltare interventi magisteriali sulla liturgia ricchi solo di preoccupazioni, di limitazioni, di esitazioni, di timori, di messe in guardia, un testo orientato a riprendere il cammino della riforma liturgica, che assuma un solo ambito di confronto comune e che elimini, strutturalmente, il tarlo di un «secondo tavolo» su cui poter fare la «vera esperienza liturgica», è un grande evento. Il suo orizzonte è il Concilio Vaticano II e la preziosa sua eredità, che DD 31 sintetizza così:

Se la Liturgia è “il culmine verso cui tende l’azione della Chiesa e, al tempo stesso, la fonte da cui promana tutta la sua energia” (Sacrosanctum Concilium, n. 10), comprendiamo bene che cosa è in gioco nella questione liturgica. Sarebbe banale leggere le tensioni, purtroppo presenti attorno alla celebrazione, come una semplice divergenza tra diverse sensibilità nei confronti di una forma rituale. La problematica è anzitutto ecclesiologica. Non vedo come si possa dire di riconoscere la validità del Concilio – anche se un po’ mi stupisce che un cattolico possa presumere di non farlo – e non accogliere la riforma liturgica nata dalla Sacrosanctum Concilium che esprime la realtà della Liturgia in intima connessione con la visione di Chiesa mirabilmente descritta dalla Lumen gentium.

La liturgia, grazie al Movimento liturgico e al Vaticano II, ha potuto tornare ad essere il linguaggio elementare di una «comunità sacerdotale». Con DD Francesco mostra di non poter uscire da questa linea di riscoperta del valore teologico della liturgia, che implica la accettazione dei riti frutto della riforma come linguaggio comune a tutta la Chiesa. Che così, in tutte le sue componenti, può essere formata dai riti che celebra. Ogni deviazione su Nuovi Movimenti Liturgici e Riforme della Riforma è semplicemente una forma del rifiuto del Concilio Vaticano II e delle sue irrinunciabili evidente teologiche ed ecclesiali.

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Un commento

  1. Anima errante 3 luglio 2022

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