Riprendiamo, per gentile concessione del Centro Ecumenico «P. Salvatore Manna» di Bari, il saggio di Gianluca Lopez OP «Prassi della comunione sulla mano: La Delibera n. 56 della CEI del 19 Luglio 1989 e il Canone 101 del Concilio Trullano», pubblicato sulla rivista del Centro O Odigos, 3/2023, pp. 11-16. Ringraziamo il direttore, p. Emmanuel Albano OP. Gianluca Lopez è un religioso domenicano appartenente alla Provincia San Tommaso d’Aquino in Italia.
A seguito della pandemia, negli ultimi anni, la Chiesa cattolica attraverso le sue istituzioni ha invitato il popolo santo di Dio, in forza di un susseguirsi di provvedimenti e di norme ad hoc, a comunicarsi al Santissimo Sacramento dell’Eucarestia solo per mezzo delle mani. Tuttavia, non è nostro intento riportare tutte le varie disposizioni che sono state fatte in merito, ma comprendere come questa prassi nella Chiesa Latina non è qualcosa che nasce solo esclusivamente a causa dell’evento pandemico; quindi ha fondamento nella Chiesa indivisa tra Oriente ed Occidente.
Con il Concilio Vaticano II, nella Chiesa iniziò un processo di rinnovamento interno su tutti gli ambiti, non escluso quello liturgico. Infatti, dalla Sacra Congregazione per il Culto Divino (oggi Dicastero per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti) venne promulgata il 29 maggio del 1969 l’Istruzione Memoriale Domini, mediante la quale veniva data alle singole Conferenze Episcopali la possibilità di disporre in merito all’introduzione dell’uso delle mani per ricevere l’Eucarestia[1]. Questo invito venne accolto dalla Chiesa Latina e in particolare anche dal territorio italiano, che è una delle sue espressioni.
Importantissimo per il nostro studio sarà come punto di partenza il provvedimento della CEI nella Delibera n. 56 del 19 luglio 1989, espressione del diritto particolare statuito dalla Conferenza Episcopale Italiana, che ha forza obbligante per tutte le diocesi italiane. Questo, sarà preceduto da un piccolo excursus sul diritto, comune e particolare, mettendo in risalto le differenze tra la Chiesa Latina e quella Orientale.
Poi esamineremo il canone 101 del Concilio Trullano (691-692), che dispone in merito all’atteggiamento che deve assumere il fedele per poter ricevere l’Eucarestia. Così come sarà utile vedere qualche autore che scrive su questo tema, nel periodo antecedente al Concilio in Trullo. Attraverso tutto questo, si cercherà di capire se il canone 101 del Trullano dispone per la comunione sulla mano, oppure direttamente in bocca. Nelle ultime battute trarremo le conclusioni.
Il Diritto comune e particolare: brevi cenni
Sappiamo che la Chiesa cattolica è composta da una parte che è di tradizione Latina e da un’altra che è di tradizione Orientale.
Entrambe le tradizioni seguono una normativa canonica che regola entrambe in senso «generale»: per i Latini è detta «universale» ed è contenuta nel CIC del 1983, mentre per gli Orientali è detta comune ed è contenuta nel CCEO del 1990.
Dobbiamo ulteriormente precisare che, universale e comune, in riferimento alle rispettive legislazioni, sono termini che esprimono significati diversi. Il termine diritto universale, adoperato dalla legislazione Latina, è usato per indicare solo ed esclusivamente la stessa contenuta nel CIC.
Mentre il termine diritto comune, adoperato dalla legislazione Orientale ha una estensione maggiore, in quanto non solo fa riferimento alla legge comune a tutte le Chiese Orientali ma anche alle leggi dell’intera Chiesa:
Col nome di «diritto comune» in questo Codice s’intendono, oltre alle legittime consuetudini della Chiesa universale, anche le leggi e le legittime consuetudini comuni a tutte le Chiese Orientali (CCEO, can. 1493 §1).
Ma, oltre ad una legislazione di carattere generale, vi è anche una legislazione di carattere particolare. Anche in questo aspetto, la tradizione Orientale dà molta importanza al «diritto particolare» di ciascuna Chiesa sui iuris, in quanto esso racchiude in sé un patrimonio unico e indispensabile per quella stessa Chiesa sui iuris:
Col nome invece di «diritto particolare» s’intendono tutte le leggi, le legittime consuetudini, gli statuti e le altre norme del diritto che non sono comuni né alla Chiesa universale né a tutte le Chiese orientali (CCEO, can. 1493 §2).
In questa direzione dobbiamo dire che, se esiste un diritto particolare di una Chiesa sui iuris, questo non esclude l’esistenza di un diritto ancora più particolare.[2] Questo emerge in modo chiaro dal canone 1502 §2 del CCEO: «ma una legge di diritto comune, se non è espressamente disposto diversamente nella stessa legge, non deroga alla legge del diritto particolare, né una legge di diritto particolare emanata per una Chiesa sui iuris deroga al diritto più particolare che è in vigore nella stessa Chiesa».
Invece, quando facciamo riferimento alla tradizione Latina, pur essendoci il diritto particolare, questo in un senso figurato non è rivestito della stessa sacralità delle Chiese Orientali. Ovviamente, ogni Diocesi è una Chiesa particolare (cf. CIC, c. 368) affidata alle cure pastorali del proprio Vescovo (cf. CIC, c. 369), il quale nella sua Diocesi può stabilire delle leggi particolari. Tuttavia, ogni nazione ha la propria Conferenza Episcopale (cf. CIC, c. 448) che elabora un diritto particolare che ha forza obbligante in quella stessa nazione; però «la Conferenza Episcopale può emanare decreti generali solamente nelle materie in cui lo abbia disposto il diritto universale, oppure lo stabilisce un mandato speciale della Sede Apostolica […]» (CIC, c. 455 §1).
Provvedimento della CEI
Restringendo il campo della Chiesa Latina alla sola componente italiana, vediamo che la prassi della comunione per mezzo della mano ha radici nella Delibera n. 56, col Decreto dalla CEI del 19 luglio 1989, un documento che permette, accanto alla consueta distribuzione della Eucaristica in bocca, anche la distribuzione della particola consacrata sul palmo delle mani dei fedeli:
La Santa Comunione può essere distribuita anche deponendo la particola sulla mano dei fedeli, in conformità alle norme emanate dalla Santa Sede ed alle istruzioni date dalla CEI.[3]
Quindi, per quanto riguarda le diocesi italiane, la comunione posta sulle mani non è una prassi dettata solo esclusivamente dall’esigenza del contenimento da Covid-19, bensì vi è un documento della CEI che dispone in merito. Questa, è una chiara espressione della disposizione del diritto particolare per la tradizione Latina, in conformità al CIC, c. 455.
Però, affermare che i fedeli cristiani delle diocesi italiane, dal 1989 in poi potevano ricevere la comunione sulla mano è al dir quanto riduttivo. Ed è per questo che dobbiamo precisare, attraverso il nostro piccolo approfondimento, che nei primi secoli della Chiesa era prassi comune, sia in Occidente sia in Oriente, per i fedeli cristiani ricevere il corpo di Cristo sulle mani, così da escludere che essa sia solamente una pratica legata al nostro periodo.
Prima del Concilio Trullano
Prima di giungere al canone emanato dal Concilio in Trullo, è molto importante sottolineare che anche altri autori autorevoli, hanno disposto e scritto in merito alla ricezione del sacramento del corpo di Cristo per mezzo delle mani. Per approfondire la questione, faremo dei piccoli riferimenti ad alcuni di questi autori, per avere una panoramica generale della questione.
Papa Cornelio († 253) in una sua Epistola, pur facendo presente l’uso disordinato ed illegittimo di Novaziano della prassi della comunione sulla mano per fare proselitismo, descrive, appunto, che all’interno delle comunità dei fedeli cristiani vi era tale usanza, e cioè di ricevere il corpo di Cristo con le mani:
In seguito, a queste cose Cornelio ne aggiunge poi un’altra, la peggiore delle stravaganze di Novato, così dicendo: «Dopo le oblazioni, mentre distribuisce a ciascuno la sua parte, nell’atto di consegnargliela, obbliga quegli uomini infelici a giurare, invece di rendere grazie. Dopo aver preso nelle sue mani quelle di colui che riceve il sacramento, non le lascia prima che questi abbia giurato dicendo (mi servirò, infatti, delle sue parole): «Per il sangue e il corpo del Signore nostro Gesù Cristo giurami che non mi abbandonerai mai per seguire Cornelio».[4]
San Cirillo di Gerusalemme († 386) nelle sue Catechesi Mistagogiche fa presente che i fedeli cristiani, al suo tempo, ricevevano la comunione sulle mani. Questo emerge chiaramente anche dal fatto che Cirillo tiene a precisare come il cristiano si deve presentare d’innanzi al ministro: con la massima attenzione, diligenza e purezza, facendo in modo da non perdere nessuna parte di quello che gli viene consegnata sulle mani. Inoltre, precisa che il fedele deve portarsi d’innanzi al ministro con i palmi delle mani chiusi ed incrociati, posti in modo da formare un trono per ricevere il corpo di Cristo Nostro Signore che è il re:
Avvicinandoti non procedere con le palme delle mani aperte, né con le dita separate, ma con la sinistra fai un trono alla destra poiché deve ricevere il re. Con il cavo della mano ricevi il corpo di Cristo e dì: «Amen». Con cura santifica gli occhi al contatto del corpo santo e prendilo cercando di non perdere nulla di esso. Se tu ne perdi è come se fossi amputato di un tuo membro. Dimmi se qualcuno ti regalasse delle pagliuzze d’oro non le prenderesti con molta cura guardandoti dal non perdere nulla di esse e dal non rovinarle? Non salvaguarderai maggiormente ciò che è più prezioso dell’oro e più stimato delle pietre preziose perché non cada neanche una mollichetta?[5]
San Giovanni Crisostomo († 407) nelle sue Omelie sulla lettera agli Efesini, attraverso un discorso sulla purezza, ci permette di capire che la comunione veniva fatta per mezzo delle mani. Precisa, infatti, quanto è importante accostarsi in maniera degna per ricevere la comunione. Dove l’esser degni non è solo la purezza esterna legata alle mani che toccano momentaneamente l’Eucarestia, ma alla purezza interna dell’anima nella quale il corpo di Cristo permane più tempo. Di conseguenza, possiamo dire che se l’anima è pulita lo saranno anche le mani che accoglieranno il re:
Dimmi: oseresti accostarti al sacrificio senza esserti lavato le mani? Io non penso: preferiresti piuttosto non accostarti addirittura anziché farlo con mani sudicie. Quindi, tu che nel piccolo sei così rispettoso, ti accosti avendo un’anima sudicia e osi toccare? Eppure il sacrificio è tenuto nelle mani per un momento e poi si scioglie completamente nell’anima. E che? Non vedi che i recipienti sono tanto puliti e splendenti? Bisogna che le nostre anime siano più pure, più sante e più splendenti di questi.[6]
Molto semplicemente, questi riferimenti agli autori summenzionati, permette di avere, seppur in maniera rapida, una panoramica più chiara sulla questione della prassi della ricezione della Santissima Eucarestia sulle mani, come una pratica comune ed affermata all’interno della Chiesa nella sua interezza: Oriente ed Occidente.
Concilio Trullano: canone 101
Da quanto è emerso nel paragrafo precedente, emerge con più chiarezza che la prassi pastorale-amministrativa della distribuzione dell’Eucarestia sul palmo della mano, non è solo una norma stabilita all’interno della Chiesa negli ultimi anni per il contenimento della pandemia, e ancor prima per Delibera del 19 luglio 1989, ma è una pratica che fonda le sue radici nella Chiesa indivisa, in particolar modo nel modo cristiano legato all’Oriente. Di conseguenza, gli scritti autorevoli precedentemente osservati, trovano attualizzazione nel canone 101 del Concilio Trullano:
Colui che vuole comunicarsi durante la sinassi al corpo immacolato di Cristo e diventare uno con lui, deve mettere le mani l’una sopra l’altra in forma di croce ed accostarsi così a ricevere la comunione della grazia. Poiché alcuni, invece di usare le loro mani per ricevere il dono di Dio, si fanno fabbricare dei vasi d’oro e di altra materia e ricevono in questi vasi la comunione immacolata, noi non approviamo affatto questo, poiché essi preferiscono la materia inanimata e schiava al posto dell’immagine di Dio […].[7]
Se, da un lato, osserviamo che, nel mondo orientale, la prassi della ricezione del sacramento dell’Eucarestia viene disciplinata da un Concilio, d’altro lato, è altrettanto interessante sottolineare come non stiamo semplicemente alla presenza di un canone disciplinare, bensì di un canone che norma la vita liturgica e il culto divino della comunità.
Pertanto, è evidente che il canone 101 del Concilio Trullano manifesta la dimensione spirituale della disciplina ecclesiastica; è espressione autorevole della Chiesa, che i fedeli cristiani devono ricevere l’Eucarestia attraverso le mani e non per mezzo della costruzione di vasi preziosi per ricevere il corpo di Cristo.
In un certo qual modo, possiamo affermare che il canone 101 non solo rimane fedele alla prassi vigente del tempo, ma condensa in se stesso tutto quello che precedentemente era stato detto ed affermato.
Questione di binomi
Il canone 101 del Concilio Trullano in oggetto, come già accennato, è una disposizione non solo disciplinare ma liturgica. Tale canone, implicitamente ha in sé un binomio che agisce e ha forza normante sulla persona, la quale a sua volta si struttura anch’essa come binomio.
Il binomio prassi-spirito del canone in esame è imprescindibile, e non deve mai essere scisso in quanto le disposizioni non vengono mai date dall’autorità competente come un peso da far gravare sulla vita spirituale del fedele cristiano, ma per ordinare la vita dei fedeli cristiani. Se vi è ordine spirituale, cioè la giusta disposizione d’animo ad accogliere la Santissima Eucarestia, conseguenza logica vuole che tale ordine sia manifestato anche esteriormente, cioè negli atti che il fedele deve compiere esteriormente per ricevere l’Eucarestia. Lo stesso discorso è valido all’inverso: gli atti esteriori ordinati, implicano una disposizione d’animo ordinata. Quindi, vi è una perfetta circolarità.
Il suddetto binomio prassi-spirito implicitamente presente nella norma, per poter essere efficace ed avere forza vincolante, deve inerire su un altro binomio che è ciò che costituisce la persona, ed è il binomio corpo-anima.[8] Quest’ultimo binomio è importante perché riguarda l’uomo, il quale è soggetto alle varie disposizioni che vengono ordinate dai vari ordinamenti.
Pertanto, il canone come prassi-spirito riguarda l’uomo come corpo-anima; in questo senso vediamo come i due binomi sono in relazione: il corpo sta all’anima come la prassi allo spirito. Di conseguenza la prassi del canone si manifesta nel corpo attraverso le azioni ab extra, mentre lo spirito del canone agisce nell’anima con un dinamismo ab intra. Giocoforza, allora, che il canone ha effetto esteriormente perché ha effetto interiormente.
Canone 101 del Trullano: funzione positiva e negativa
Il canone manifesta una duplice funzione: positiva e negativa. La prima funzione manifesta ciò che il fedele deve fare. La seconda funzione, invece, quello che il fedele non deve fare.
Se stiamo alla funzione negativa del canone, questa, proibisce al fedele di fabbricarsi degli appositi vasi in materiali preziosi per ricevere la Santissima Eucarestia: «Invece di usare le loro mani per ricevere il dono di Dio, si fanno fabbricare dei vasi d’oro e di altra materia […], noi non approviamo affatto questo» (Concilio Trullano, canone 101).
Il canone 101 del Concilio in Trullo legifera non approvando tale prassi, proibendola, e ritenendola, a quanto pare, un abuso per eccesso di zelo. Preferire la materia del vaso sacro alle mani, le quali fanno parte dell’uomo che rientra nella creazione fatta da Dio a Sua immagine e somiglianza (cf. Gen 1,26), indica da parte dei fedeli un atteggiamento poco rispettoso nei confronti del Signore che si offre nell’Eucarestia.
A tale riguardo i commentatori Balsamone e Zonaras, dicono che tale atteggiamento è da intendersi come manifestazione della pietà popolare nei confronti del sacramento Eucaristico. Perciò, pur giustificando le buone intenzioni di coloro che si comunicano al corpo di Cristo per mezzo di vasi sacri creati per l’occasione, come a voler dare più onore al Signore che si dona al fedele, tale disposizione non viene accettata dal Concilio.
Se Dio si dona all’uomo realmente come anima, corpo, sangue e divinità sotto le specie Eucaristiche, anche il fedele si deve portare davanti all’altare per ricevere dal ministro l’Eucarestia come uomo. Quindi, l’uomo con il suo essere ad immagine e somiglianza di Dio deve ricevere l’Eucarestia per avere il contatto diretto con il Signore stesso che si dona a lui.[9]
Se stiamo nella funzione positiva del canone, sembrerebbe che l’unica modalità prevista con cui il fedele può comunicarsi al sacramento dell’Eucarestia, è per mezzo dell’utilizzo delle mani. Quindi, il canone 101 del Concilio Trullano, non prevede una doppia condizione: o in bocca o per mezzo delle mani, ma solo quest’ultima. Perciò, questo fa pensare che nell’Oriente cristiano la prassi comune prima e dopo il Concilio Trullano, era quella dell’accostarsi al sacramento del corpo di Cristo solo per mezzo delle mani.
Però, se stiamo al testo del canone 101, questa prassi non è specificata in modo esaustivo da fugare ogni dubbio. Infatti, nel testo è detto che il fedele «deve mettere le mani l’una sopra l’altra in forma di croce ed accostarsi così a ricevere la comunione della grazia» (Concilio Trullano, canone 101). In altre parole, possiamo dire che il canone invita il fedele cristiano ad accostarsi all’Eucarestia in un determinato atteggiamento esteriore, ma non è specificato che tale disposizione esteriore implichi che la ricezione dell’Eucarestia avvenga per mezzo delle mani, oppure direttamente con la bocca.
Se, dal testo del canone, possiamo intuire che la prassi avvenga per mezzo delle mani, dall’altro lato, abbiamo buona probabilità di pensare che il testo del canone stabilisca la comunione per mezzo delle mani, perché eredita e norma su ciò che riceve dal passato. A tal proposito basti pensare agli autori sopra menzionati.
Per di più su tre commentatori due asseriscono questo, e siccome due è maggiore di uno allora abbiamo un motivo in più per pensare che il canone 101 stabilisca in merito alla ricezione della comunione per mezzo delle mani. Se Aristenos commenta il canone spiegando che le mani devono formare una croce non per accogliere il sacramento che poi va portato alla bocca, ma come una disposizione meramente esteriore per poter ricevere la comunione in bocca, invece, gli altri e due commentatori, Balsamone e Zonaras, sostengono che la prassi ammessa per comunicarsi era quella per mezzo della mano.[10]
Conclusione
Il nostro percorso, seppur breve, permette di avere una idea più chiara sull’origine della pratica della ricezione della Santissima Eucarestia per mezzo delle mani. Una prassi che oggi più che mai è comune e diffusa all’interno della Chiesa Latina. Anche se, quella che oggi sembra essere una normale amministrazione nella Chiesa Latina, secoli addietro lo era già in particolare per l’Oriente Cristiano e in generale per la Chiesa indivisa tra Oriente ed Occidente.
Anzitutto, possiamo affermare che tale prassi per quanto riguarda il territorio italiano non subentra per le restrizioni generate dalla diffusione della pandemia, ma vi è una vera e propria disposizione di diritto particolare decretata dalla Conferenza Episcopale Italiana con Decreto il 19 luglio 1989.
Ma la nostra ricerca si è spinta oltre. Infatti, come è emerso chiaramente dall’approfondimento, la prassi di ricevere l’Eucarestia sulle mani ha origini più antiche, cioè fonda le proprie radici nella Chiesa indivisa, come si è ribadito più volte lungo il tragitto percorso.
L’unica Chiesa, di Oriente e di Occidente, sin dai primi secoli aveva adottato come prassi comune quella di dare ai fedeli l’Eucarestia direttamente sulle mani. Questo è emerso sia dall’analisi degli autori che hanno preceduto il Concilio Trullano, sia dal canone 101 dello stesso Concilio, che va a confermare ciò che l’ha preceduto.
Quindi, possiamo affermare che il canone 101 del Concilio Trullano conferma e ribadisce come prassi che: i fedeli cristiani che si portano al ministro per ricevere l’Eucarestia, devono presentarsi in maniera degna e composta, non con la mediazione di vasi sacri costruiti per l’occasione, ma con le proprie mani che poste nella maniera corretta formano una croce, trono per poter accogliere l’Eucarestia da accompagnare alla bocca per realizzare la comunione con il proprio Dio che è Padre, Figlio e Spirito Santo.
In questa direzione possiamo concludere, affermando che, se il canone 101 del Concilio è l’espressione di ciò che lo ha preceduto, a sua volta tutto ciò che abbiamo visto diviene la fonte su cui si basa la Delibera n. 56 della CEI.
[1] Cf. Sacra Congregazione per il Culto Divino, Istruzione Memoriale Domini (29 maggio 1969), in AAS 61 (1969), pp. 541-547.
[2] Ad esempio: una Eparchia ha il proprio diritto particolare o eparchiale. Questa Eparchia a sua volta appartiene ad una determinata Chiesa sui iuris che ha il proprio diritto particolare. Di conseguenza, notiamo che il diritto eparchiale è un diritto più particolare rispetto al diritto particolare della Chiesa sui iuris.
[3] Conferenza Episcopale Italiana, Delibera n. 56, Roma, 19 luglio 1989.
[4] Eusebio di Cesarea, Storia Ecclesiastica 6, 43, 18.
[5] San Cirillo di Gerusalemme, Catechesi Mistagogica 5, 21.
[6] San Giovanni Crisostomo, Omelie sulla lettera agli Efesini, 3, 4.
[7] Dimitri Salachas, «La normativa del Concilio Trullano commentata dai canonisti bizantini del XII secolo Zonaras, Balsamone, Arinestenos», in Oriente Cristiano, 31 (1991), 2-3, pp. 80-81.
[8] Direbbe il Doctor Angelicus che l’uomo è un composto di anima e corpo: cf. Tommaso D’Aquino, Somma Teologica, I, q. 75, art. 4, c.
[9] Cf. Dimitri Salachas, Ibidem, p. 81.
[10] Cf. Dimitri Salachas, Ibidem, p. 81.
Quello che desta preoccupazione e dispiacere e vedere come ormai sia difficile/impossibile un sereno confronto su importanti temi senza che arrivi qualcuno che ricorra ai soliti ismi/isti…, appiccicando etichette a chiunque la pensi diversamente. In questo modo diventa inutile tentare un dialogo costruttivo. Vengono poi tirati fuori una serie di argomenti, dati per scontati, che vanno oltre l’articolo oggetto di questi commenti. Saluti.
Alla fine la Comunione sulla lingua e la Comunione in mano diventano delle bandiere ideologiche in una guerra tra fazioni che divide la Chiesa: vediamo così preti che insultano i fedeli che vogliono ricevere la Comunione in bocca e in ginocchio, e di risposta flash-mob di fedeli che si presentano in massa in quei luoghi per riceverla in quella modalità.
Mi desta preoccupazione il fatto che molti tradizionalisti rivendicano le usanze di una volta ed erigono a norma universale ed assoluta la loro tradizione, come se la chiesa fosse nata 500 o 1000 anni fa. Vorrei ricordare a costoro che quella che oggi chiamiamo comunione era un pasto comune nelle prime comunità e non aveva alcuna caratteristica sacra, come del resto ogni attività della chiesa antica, dove il clero non esisteva, ove nessuno si faceva chiamare sacerdote, dove non c’erano suppellettili sacre e dove si viveva quel che si celebrava e si celebrava ciò che si viveva, dove tutti erano fratelli e sorelle senza alcun sistema di potere gerarchico e senza rigorose regole liturgiche. Tutto aveva una dimensione di laicità, memori di Gesù che era un laico che aveva rivoluzionato il concetto di sacerdozio (oltre che quello di re e quello di profeta). Quindi mi chiedo quale colossale errore di prospettiva compiono i tradizionalisti che vogliono riportare indietro la chiesa. Gli indietristi, come li chiama Francesco, si rendono conto che la tradizione autentica non è la loro tradizione nostalgica e devozionalistica, ma è quella dei primi secoli, prima che il clericalismo corrompesse la laicità delle prime comunità ? Quella laicità di cui oggi c’è tanto bisogno per sconfiggere il clericalismo e gli innumerevoli abusi che ha causato.
sinceramente questo commento semplifica e distorce alcune cose.
“quella che oggi chiamiamo comunione era un pasto comune nelle prime comunità e non aveva alcuna caratteristica sacra”
Nella civiltà antica del Mediterraneo e del Medio Oriente molte attività ‘sacrali-religiose’ avevano una fortissima componente conviviale, se non di aperta festa (e viceversa): i sacrifici di animali alla divinità erano seguiti da grandi banchetti dove la comunità partecipava delle carni dell’animale sacrificato; i simposi e altri pasti comuni comprendevano una libazione o un’offerta agli dei e agli eroi; tantissime attività cultuali comprendevano un pasto.
E in questo contesto culturale che emerge il cristianesimo, e per molti aspetti non se ne discosta: pensiamo alle grandi feste (con danti, danze e banchetti) che seguivano le Eucarestia-Agapi sulle tombe dei martiri e dei defunti. Esiste tutto un filone di studi che prova a comprendere quando l’Eucarestia come rito si inserisca nella cultura dei simposi del mondo ellenistico.
alla fine la distinzione tra ‘religione’ e ‘attività conviviale’ è un’invenzione moderna, di un mondo che ha reso la religione come i cimiteri: ritenuta necessaria, rispettata da tutti, separata dalla vita (cit. Schmemann).
fonti:
Ramsay MacMullen, The second Church: popular Christianity AD 200-400
Gerard Rouwhorst, The Roots of the Early Christian Eucharist: Jewish Blessings or Hellenistic Symposia?
“dove il clero non esisteva, ove nessuno si faceva chiamare sacerdote, dove non c’erano suppellettili sacre e dove si viveva quel che si celebrava e si celebrava ciò che si viveva, dove tutti erano fratelli e sorelle senza alcun sistema di potere gerarchico e senza rigorose regole liturgiche”.
Di grazia, quando? già nella Didache (I-II secolo) si vede che non è proprio così: i profeti (un ministero carismatico/vagante) vengono considerati degni di un incredibile rispetto e paragonati ai “sommi sacerdoti” (cap. XIII); ad essi vengono associati i vescovi e i diaconi, di cui viene raccomandata l’elezione e devono essere onorati (cap. XV)
Alla fine fare un set di affermazioni così non è tanto diverso da quei tradizionalisti che pensano che Gesù nell’Ultima Cena abbia comunicato i Dodici in bocca: è una pura e semplice proiezione delle proprie categorie mentali e ideologie sul passato, e i fatti non ci interessano.
In realtà sulla struttura della chiesa iniziale ha largamente ragione il signor Salvo Coco:
– Nel N.T. dov’è che si parla di sacerdoti cristiani come gruppo separato che governa le comunità?
– Sui passi della Didaché: il primo passo accentua la posizione dei profeti che vengono appunto equiparati a sommi sacerdoti giudaici in modo da riconoscere loro il diritto di fruire delle primizie (!); ma la linea generale è di condivisione della dignità sacerdotale (“un popolo di sacerdoti, una nazione santa…”)
– sui vescovi e diaconi in Didaché: AAA. si parla di “episcopi e diaconi”, un’endiade che si trova in Paolo (più episcopi a Filippi); si faccia attenzione al fatto che il termine “episkopos” ha conosciuto un cambiamento di significato tra I e III secololo, finendo per significare più o meno quello che noi intendiamo; ma inizialmente la parola – almeno nelle comunità di Paolo, che non si sogna nemmeno di parlare di singoli sacerdoti – può avere indicato il ruolo di più persone che condividevano il ministero della sollecitudine per la stessa comunità (quindi, più episcopi in una comunità). Ed è sbagliato tradurre l’occorrenza della parola in quel passo con “vescovi”…
– Gesù è stato un laico, non apparteneva al sacerdozio legale; questo fatto ha scandalizzato già gli antichi (a mano a mano si è cercato di “addomesticare” questa novità, adattandola alla visione del mondo dell’epoca, che purtroppo è anche la nostra, e che vuole una classe mediatrice del sacro; Gesù invece ha mostrato l’insussistenza di questa dimensione. Se il Padre e Cristo stesso verranno e prenderanno dimora in chi compie la sua/loro volontà, è chiaro che siamo tutti tempio e tutti sacerdoti.
– persino il nome scelto dai seguaci di Gesù, “ecclesia”, era il termine laico per le assemblee
– invece che discutere delle modalità di ricezione della prima delle due specie eucaristiche, sarebbe bene riflettere sull’abuso moderno di impedire ai laici di accedere al calice
P.s.: l’unica cosa da rivedere del discorso del signor Salvo Coco riguarda la gerarchia: questa tentazione (perché di tentazione si tratta) è constatata già nei vangeli (e contestata da Gesù) e si è comunque fatta presto strada. Vedasi già il picco drammatico nella figura di Ignazio di Antiochia che si considera (parla in terza persona: considera l’episcopos) “figura del Padre”. Affermazioni come questa sono contro il vangelo, ovvero contro quanto Gesù ha prescritto (non padre, né maestro, né guida etc.), ma sono quelle che si sono affermate, perché funzionali al potere ahinoi di alcuni sul resto della comunità.
Pps. Naturalmente il mio discorso riguarda la questione gerarchica, mentre le considerazioni di S. Coco sulla cena eucaristica come pasto meramente comune non sono per me affatto condivisibili.
Anima errante, io non discuto con chi si cela dietro uno pseudonimo senza avere il coraggio di metterci la faccia. Quando avrò innanzi nome e cognome avrò modo di consigliare la lettura di qualche buon libro che attesta l’inesistenza del clero nelle prime comunità cristiane. Ad esempio Romano Penna “Un solo corpo. Laicità e sacerdozio nel cristianesimo delle origini” ed. Carrocci.
Gli antichi dicevano ‘poni mente a quello che è stato detto, e non a chi lo ha detto’
“quella che oggi chiamiamo comunione era un pasto comune nelle prime comunità e non aveva alcuna caratteristica sacra”. Eppure basterebbe anche solo leggere S. Paolo (1 Cor, 23-34): “… il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese il pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: ‘Questo è il mio corpo che è per voi; fate questo in memoria di me… Ogni volta infatti che mangiate questo pane e bevete al calice voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga. Perciò chiunque mangia il pane o beve al calice del Signore in modo indegno, sarà colpevole verso il corpo e il sangue del Signore… perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna”. Non intendo condividere la condanna da parte dei tradizionalismi della ricezione della particola sulla mano, ma tanto meno la riduzione dell’ l’Eucarestia a “un pasto comune” (un’idea che circolava fra i sessantottini e che pensavo fosse tramontata mentre devo prendere atto che c’è ancora chi, magari per apparire progressista continua a sostenerla)
Scusami Marco M., ma dove cogli il sacro in 1 Cor 23-34 ? E cosa c’entra il progressismo con la moderna esegesi storico-critica ? Vogliamo prendere sul serio la gravità del clericalismo oppure continuiamo a fare sterile apologia della cristianità ?
Davvero non riesco a capire come tu abbia potuto vedere, nel mio intervento, una difesa del clericalismo e della cristianità. Avevo solo voluto richiamare il significato profondo dell’Eucarestia che è il memoriale della morte e resurrezione del Signore che si è offerto per la nostra salvezza, offerta alla quale la Chiesa si unisce nel rendimento di grazie e nella intercessione. E nella Comunione eucaristica, unendoci intimamente a Lui ci mettiamo in comunione anche con i fratelli divenendo un solo Corpo. E c’è anche un altro aspetto, che la Chiesa d’Oriente mette molto in evidenza con la sublimità del suo rito, mentre in ambito cattolico è meno avvertito, ed è quello dell’anticipo del banchetto messianico nella Gerusalemme celeste. Nella celebrazione eucaristica l’eterno, il trascendente fa irruzione nella vita terrena o, se vogliamo, il quotidiano si apre ad accogliere l’eterno. Non preghiamo forse, nel prefazio: “uniti agli angeli e ai santi cantiamo Santo, Santo, Santo…”? Credo che nel mistero eucaristico ci sia una tale ricchezza di significati, che noi appena intuiamo, per cui non possa essere ridotto e appiattito ad un pasto comune
Mai prima della possibilità di fare la Comunione in mano l’ avevo visto fare. La prima Comunione che feci fu in bocca. Oggi c’è sciatteria perché la gente volge le spalle al sacerdote e si comunica, non sta attenta ai frammenti. A San Pietro una volta vidi i fedeli passarsi le particole.
Mi permetto di aggiungere che lo stesso s. Ambrogio in una sua omelia raccomandava ai fedeli, che nel portare a casa l’Eucaristia, di deporla in un posto sicuro in cui i topi non la potessero mangiare. Ancora. Il fratello di Ambrogio, Satiro si salvò da un naufragio perchè portava al collo l’Eucaristia, anche se essendo catecumeno, non poteva averla con se. Questi due esempi per dire che non solo si comunicavo prendendo in mano l’Eucaristia, ma potevano portarla anche a casa da consumare prima dei pasti in famiglia. E’ assurdo proibire la comunione sulla mano per paura di abusi! Mi è capitato diverse volte di discutere su questa prassi con dei tradizionalisti, di fronte all’affermazione, da parte mia, che Gesù nell’ultima cena non ha imboccato gli apostoli, mi sono sentito rispondere che loro potevano prenderla in mano perchè erano vescovi (un’altra assurdità!!! …..e altre ancora segno di ignoranza e non conoscenza della storia della chiesa!!!)
Buongiorno don Giuseppe,
Dichiaro in anticipo la mia ignoranza e Le chiedo scusa per questo.
Io sapevo, certamente sbagliando, che i vescovi sono i successori degli apostoli.
È chiaro che, se si dice questo, gli apostoli sono stati i primi vescovi.
Anche il papa fonda la propria autorità sul fatto di essere il successore di Pietro primo vescovo di Roma.
Io avevo capito questo ma, ripeto, certamente sbagliavo o avevo capito male.
Quella sugli abusi più che un ossessione mi pare una giusta preoccupazione che, come si evince dalle citazioni sopra riportate, anche i padri della chiesa avevano. Bisognerebbe poi capire come mai a un certo punto la prassi della comunione sulle mani sia sparita, penso che ci dovrebbero essere approfondimenti a tale proposito. Che non sia proprio per mettere fine al rischio di dispersione dei frammenti, dal quale lo stesso san Cirillo mette in guardia, come riportato in citazione sopra, e di altri possibili abusi che hanno spinto i vescovi di allora a mettere fine a questa prassi?
A me personalmente è capitato di accostarmi per la Comunione e, volendola ricevere in bocca, di essere respinto dal sacerdote.
Tutto questo non è successo durante il Covid.
Bisognerebbe, quindi, chiarire che entrambi i modi sono leciti.
Tanto più che la ricezione sulla mano si presta ad abusi (dispersione di frammenti, consumazione differita, atteggiamento poco rispettoso ecc.) che la ricezione in bocca semplicemente rende impossibili.
E’ evidente che aver scritto questo testo, con estrema precisione, non impedisce a lei di continuare a dire ciò che il testo nega. La ossessione per gli abusi le impedisce di comprendere la tradizione. La tesi che la ricezione in mano permette gli abusi, mentre in bocca no, è falsa. Lo era per il 1 millennio come per il 2 e il 3.
Credo di aver espresso, spero con il doveroso rispetto dovuto a tutti, la mia opinione motivandola con la sinteticità dovuta al mezzo.
Certamente la comprensione della tradizione non è semplice e richiede un lavoro continuo e necessario da parte di tutti.
Quanto ai possibili abusi io dico ciò che vedo quasi tutte le domeniche ma, evidentemente, non frequentiamo le stesse celebrazioni.
Grazie per l’attenzione.
E’ lei scusi che non sa leggere. Tantissimi di noi che (come ci consente la Chiesa) chiediamo la Comunione in bocca (in piedi o in ginocchio) e ne siamo impediti o derisi o vessati dai presbiteri in tutta Italia (potrei scrivere un romanzo) sappiamo che non è un problema di abusi isolato ma una prassi consolidata. Tali prassi si basa proprio da questa idea FALSA che la Comunione in mano è per i fedeli ADULTI mentre l’altra è per gli indietristi. Quindi il vostro TODOS TODOS TODOS vale solo per chi la pensa come voi. Inoltre nella Chiesa primitiva non si prendeva la Comunione nel modo sciatto ed irriverente di oggi ma con un panno di lino a cui il fedele accostava la bocca. Poi la Tradizione (che per voi si è interrotta per 1000 anni) ha compreso che il modo più cristiano fosse la Comunione in ginocchio ed in bocca. Il “recupero archeologista” della comunione in mano è stata un indulto per un abuso per quelle Chiese (vedi quella olandese) che sono naturalmente in coma profondo….chissà perché…
i caldeo-assiri non hanno mai smesso di comunicarsi in mano in posizione eretta
molti orientali si comunicano con il cucchiaino ma non in ginocchio
poi ci si dimentica che per secoli la Comunione era diventata estremamente rara, e persino i fedeli più preparati raramente si comunicano più di una volta al mese. la gran parte della gente si comunicava al massimo una volta all’anno, e questo dappertutto! poi è arrivato Pio X e ha cambiato la Tradizione
comunque il modo di comunicarsi più cristiano è uno solo: con un’adeguata preparazione, cercando di unirsi alla Morte e Risurrezione di Cristo, cercando di unirmi ai miei fratelli per diventare il Corpo di Cristo nella Chiesa, e con un’adeguato ringraziamento dopo aver ricevuto il Signore nel Sacramento.
E su questa onesta e limpida dichiarazione di Anima errante io mi dichiaro, per poco che valga, totalmente e perfettamente concorde.
Lasciamo a tutti la libertà di avvicinarsi al Sacramento come la coscienza detta: in piedi, in ginocchio, in mano o in bocca purché con riverenza, amore e gratitudine.
Grazie