Maria “madre della Chiesa”

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Con l’iscrizione della memoria della Beata Vergine Maria Madre della Chiesa nel Calendario romano generale, la Congregazione del culto ha recepito un movimento di approfondimento del ruolo di Maria nell’economia della salvezza, che trova nel Concilio Vaticano II il suo snodo fondamentale.

Concilio Vaticano II e lex orandi

È infatti il Concilio Vaticano II, al cap. VII, proprio all’inizio, ad indicare che Maria è «“veramente madre delle membra (di Cristo)… perché cooperò con la carità alla nascita dei fedeli della Chiesa, i quali di quel capo sono le membra” (S. Agostino) …e la Chiesa cattolica, istruita dallo Spirito Santo, con affetto di pietà filiale la venera come madre amatissima» (LG 53).

In un percorso che aveva prima introdotto una “messa votiva” dedicata a Maria madre della Chiesa, con Paolo VI, e che poi aveva visto Giovanni Paolo II consentire l’inserzione del titolo di “madre della Chiesa” nelle Litanie lauretane e concedere di inserire questa festa in calendari particolari, si giunge ora a questa recezione nel Calendario generale.

Nel ritmo pasquale ed ecclesiale

La data scelta è legata al ciclo pasquale e identifica nel “primo lunedì dopo Pentecoste” il giorno di iscrizione della memoria liturgica. È però utile sapere che, al di là del fondamento cronologico e teologico, che giustifica la data proprio in relazione alla dinamica “ecclesiogenetica” del dono dello Spirito Santo nella Pasqua-Pentecoste, tale decisione recepisce una lex orandi già presente in diverse conferenze episcopali nazionali, che avevano già introdotto in tale data questa festa nel calendario liturgico, ad esempio nelle Chiese in Polonia e in Argentina. Non è quindi sorprendente che papa Francesco, il cui calendario liturgico aveva conosciuto questo ritmo nell’esperienza ecclesiale argentina, abbia voluto estendere al calendario generale questa pratica di culto.

Come ha giustamente precisato Corrado Maggioni, sottosegretario della Congregazione per il culto divino, in una intervista ad Avvenire, la nuova festa è testimonianza «della rinnovata comprensione che la Chiesa stessa ha avuto di Maria nell’economia della salvezza, alla luce del capitolo VIII della Lumen gentium del Vaticano II. È una maturazione, anche in ambito liturgico, del legame che unisce ogni battezzato e l’intera Chiesa alla Madre del Signore».

Liturgia e traduzione della tradizione

Un aspetto che si dovrebbe attentamente valutare è il fatto che, sul piano della liturgia, appare evidente come la fedeltà alla tradizione comporti anche la necessità di innovare, di ampliare, di approfondire il mistero. Che Maria sia ora riconosciuta, pregata e venerata, sul piano universale, come “madre della Chiesa” indica, sulla base di un’istanza non assente nella Chiesa antica e medievale, un’esigenza che prende figura e forma soprattutto nell’ultimo secolo. Con questa “nuova festa” iscritta nel calendario generale assistiamo a un passo importante della coscienza ecclesiale. Che non nega a se stessa, neppure sul piano liturgico, la possibilità di riformarsi, di approfondire il mistero, di crescere nella relazione di fede. Il titolo “madre della Chiesa” orienta alla riscoperta di quelle forme della relazione ecclesiale che richiedono non solo coraggio e applicazione, ma anche preghiera e disponibilità. Con la stessa libertà con cui possiamo approfondire l’esperienza liturgica, dobbiamo elaborare le relazioni ecumeniche, la sollecitudine sociale, la visione dei legami familiari e la vocazione al servizio nella Chiesa. Anche qui l’approfondimento e la novità è servizio alla tradizione.

A fine commento, una grave “stonatura”

Come avviene in questi casi, è stato pubblicato un Decreto della Congregazione del culto, in data 11 febbraio, accompagnato da un Commento. In questo Commento si procede quasi parallelamente rispetto al testo del Decreto, con considerazioni fondate sulla tradizione biblica, liturgica e magisteriale. Tuttavia, proprio alla fine –in cauda venenum – si conclude con un paragrafo che non può non balzare agli occhi per stranezza e irritualità. Esso dice testualmente:

«L’auspicio è che questa celebrazione, estesa a tutta la Chiesa, ricordi a tutti i discepoli di Cristo che, se vogliamo crescere e riempirci dell’amore di Dio, bisogna radicare la nostra vita su tre realtà: la croce, l’ostia e la Vergine – Crux, Hostia et Virgo. Questi sono i tre misteri che Dio ha donato al mondo per strutturare, fecondare, santificare la nostra vita interiore e per condurci verso Gesù Cristo. Sono tre misteri da contemplare in silenzio» (R. Sarah, La forza del silenzio, n. 57).

Questo testo – che pretenderebbe di indicare l’auspicio ultimo del provvedimento – appare già alla prima lettura del tutto slegato da ciò che precede e in particolare si segnala per questi aspetti:

a) introduce, proprio in conclusione, una “triade” di cui mai si fa cenno, né nel Decreto né nel resto del Commento, ossia la triade “croce, ostia, vergine”, che sarebbero i doni di Dio che strutturano, fecondano e santificano la vita interiore;

b) dimentica in tal modo la rilevanza di ogni “lex orandi”, ogni logica celebrativa, e sembra confidare soltanto in una “silenziosa contemplazione” dei misteri, uscendo totalmente dalla prospettiva sia del Decreto sia del Commento;

c) utilizza infine come “fonte” – citandola esplicitamente e del tutto irritualmente – un libro-intervista di cui è co-autore lo stesso prefetto della Congregazione, le cui teorie appaiono, a dir poco, liturgicamente discutibili. Se il Concilio di Trento evitava di citare apertamente Tommaso o Bonaventura, può la Congregazione permettersi di citare letteralmente R. Sarah?

La pretesa del prefetto, quasi a voler imporre un’ermeneutica riduttiva allo stesso Decreto di cui è firmatario, ricorda molto da vicino l’incidente con cui lo stesso prefetto pretese di offrire una “interpretazione autentica” del MP Magnum principium, sul tema delle traduzioni liturgiche, e che papa Francesco, con una lettera di replica, fu costretto a dichiarare assolutamente “non autentica” e a ricondurre al suo vero significato. Allora mi chiedo: come è possibile arrivare a citare un proprio “libro-intervista” per rendere fuorviante il senso di un documento ufficiale della propria Congregazione? Può un prefetto-Penelope disfare di notte la tela che il suo ufficio faticosamente tesse di giorno? E se lo fa, in attesa di quale Ulisse e per paura di quali “proci”?

L’istituzione di una nuova festa di “Maria madre della Chiesa” nel calendario universale avrebbe meritato un commento finale meno antiliturgico e fondato su autorità più salde e condivise.

Pubblicato il 27 marzo 2018 nel blog: Come se non.

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