“Ti renderò Luce delle nazioni” (Is 49,6)
Se il capitolo 42 di Isaia era la presentazione del Servo, il capitolo 49 è una specie di racconto autobiografico. Il servo racconta la sua esperienza, rilegge il passato: ”Ascoltatemi, o isole, udite attentamente, nazioni lontane”… il Signore dal seno materno mi ha chiamato…..mi ha detto: Mio servo tu sei, Israele,…io ho risposto: ”Invano ho faticato, per nulla e invano ho consumato le mie forze…..ma certo la mia ricompensa è presso il Signore” (vv 1-4).
Il servo è stato scelto, amato e voluto fin dall’inizio del suo concepimento con una missione precisa da parte di Dio.
Ricordate che questa immagine verrà ripresa poi da s. Paolo. Quando parla della sua vocazione, Paolo riconosce che è venuta ad un certo punto della sua vita (sulla via di Damasco), e tuttavia dirà che Dio lo aveva scelto fin dal seno materno. Quindi la vocazione è avvenuta concretamente dopo molto tempo, ma quella vocazione non faceva altro che innestarsi su una realtà profonda che Paolo portava da sempre in sé.
Questo naturalmente vale per ciascuno di noi. La vocazione la scopriamo ad un certo punto della vita, delle volte la costruiamo pian piano, con fatica, con tensione. Però in realtà quello che viene a galla è la parola con cui Dio ci ha chiamato fin dall’origine.
La missione del servo si estende dal popolo di Dio a tutti i popoli in seguito ad un fallimento. La dinamica è illuminante: ”Invano ho faticato, per nulla e invano ho consumato le mie forze … ma certo la mia ricompensa è presso il Signore”(v 4).
Qui entra un tema che diventerà dominante ed è la sofferenza, il fallimento, la delusione.
Vuol dire che questo servo ad un certo punto vede la sua missione fallire. Si è impegnato per annunciare il disegno di Dio alle nazioni, per portare la volontà di Dio in mezzo al mondo, per trasformare il mondo secondo il progetto di Dio. Che cosa ha ottenuto? Poco, tanto da essere ormai avvilito, privo di energia.
Vuol dire che ha perso fiducia? No, la fiducia rimane. Vede che il risultato è quasi nullo, ma “certo, il mio diritto è presso il Signore, la mia ricompensa è presso il mio Dio”.
Non ha quindi paura del fallimento, dell’insuccesso; sa che trattandosi di una missione affidatagli da Dio, può “stare” al sicuro dentro alla sua volontà, al suo progetto. Qualunque sia il risultato constatato, la sua missione non è inutile. Dio lo custodisce; custodisce il significato del suo compito, della sua missione.
Non c’è dubbio che le parole “ma certo la mia ricompensa è presso il Signore” sono parole che esprimono il mistero di Gesù, Colui che non ha restituito male per male, che non ha oltraggiato gli oltraggiatori, ma ha affidato la sua causa a colui che giudica con giustizia.
Quindi si è consegnato nelle mani del Padre perché fosse lui a difenderlo.
Ed è avvenuto che, in questo modo, la missione di Gesù sia passata da Israele a tutte le nazioni, come missione universale. Proprio il rifiuto di Israele ha aperto la strada ai pagani, come dice più volte s. Paolo.
Ed è proprio questo che ha reso l’annuncio del Vangelo un annuncio di salvezza fino alle estremità della terra.
Se ricordate, questo entra nel progetto di Luca come fondamento degli Atti degli Apostoli: il compito della Chiesa è fare si che il Vangelo, partendo da Gerusalemme, arrivi fino agli estremi confini della terra.
In sintesi vi troviamo i due elementi principali della vocazione del servo, che sono complementari:
- da una parte, la sofferenza per un apparente fallimento
- e dall’altra, la dilatazione della missione: la salvezza offerta a tutto il mondo.