Dal 13 al 16 marzo scorso ha avuto luogo, ad Assisi, il Convegno annuale della Associazione Italiana Santa Cecilia dal titolo “Super flumina Babilonia… cantateci i canti di Sion” – Non appendiamo le nostre cetre ai salici, nel 60° della promulgazione della Sacrosanctum concilium. Abbiamo chiesto a monsignor Cola – presidente di AISC – di tratteggiare, dal suo punto di vista, le risultanze del convegno. L’intervista è a cura di Giordano Cavallari.
- Caro don Tarcisio, nelle nostre chiese e nelle nostre liturgie, stiamo davvero “appendendo le cetre”?
La proposta di un titolo in tensione è emersa in un incontro del nostro consiglio di Associazione, in considerazione della partecipazione dei fedeli alle celebrazioni – ulteriormente intaccata dal sopraggiungere della pandemia – e degli effetti che stanno fiaccando e, persino, paralizzando in qualche caso, non solo le assemblee liturgiche domenicali, ma anche gli stessi cantori e i cori, i direttori e gli organisti.
Ci è apparsa, con amarezza, tutta l’indifferenza o quasi, per la qualità della musica e del canto nella Liturgia. Da più parti si annida l’idea di accontentarsi di quel poco che è rimasto e che si può ancora fare.
Mentre, con questo Convegno, la nostra Associazione ha cercato, ancora una volta, di ridestare l’interesse e l’impegno, senza rassegnazione alcuna. Sensibile è risultata – nei partecipanti e nel clima respirato – la tenacia con cui provare di nuovo a incidere nelle diocesi e nelle comunità parrocchiali di provenienza.
Nelle conclusioni è stata allora ribadita la volontà di “riprendere in mano le nostre cetre” – da molti dei partecipanti mai “appese ai salici” – per non cedere ad una silente, inerte resa. Le relazioni e gli interventi hanno ridestato il senso del vigore nell’attività dei musicisti, che sono e che restano al servizio della Liturgia nelle comunità cristiane cattoliche.
Il messaggio finale è stato, dunque, ben positivo: vogliamo essere attivi, riprendere il cammino con rinnovato impegno. Qualcuno – considerate le attuali difficoltà della diaconia liturgico-musicale come organista, direttore di coro o cantore – ha detto di avvertire il corso di un “vero apostolato”, ovvero di un’autentica “testimonianza”.
Dopo Sacrosanctum concilium
- I 60 anni della SC costituiscono un’opportunità di bilancio: quale, secondo lei?
Già prima del Concilio Vaticano II, era in corso nella Chiesa un cammino di ricerca e di attesa sul senso della musica e sul suo significato nella liturgia. Il motu proprio di s. Pio X Inter sollicitudines (1903) già indicava l’esigenza di riportare il canto all’essenzialità del servizio della preghiera e alla dignità del culto, ripulendo da ogni genere superfluo e non idoneo al carattere liturgico.
Seguita dalla Mediator Dei di Pio XII (1947), la riflessione al riguardo è confluita nella costituzione conciliare Sacrosanctum concilium (1963), il primo documento emanato dai padri conciliari, nell’intento di accompagnare i fedeli a riscoprire, in questi anni, la bellezza della Liturgia: in particolare il cap. VI ha inteso assecondare la comprensione del senso della musica liturgica, il compito ministeriale, il meraviglioso strumento donato dal Signore Dio, perché tutti possiamo rendere lode, nella celebrazione eucaristica innanzi tutto.
Dalla promulgazione, molto lavoro è stato fatto. Ma, evidentemente, molto altro lavoro resta da fare. Dopo 60 anni, permangono difficoltà che rallentano la realizzazione dei principi stessi, fondamentali, della costituzione liturgica.
Alcune celebrazioni – persino trasmesse in televisione – sembrano dirci che esistono situazioni desolanti, e non solo per quanto riguardo la musica e il canto, bensì la comprensione globale della Liturgia. Come, dunque, formarci e formare alla scuola del Mistero di Cristo nell’azione liturgica?
Io penso, innanzi tutto, ad un’assidua partecipazione alle celebrazioni e ad una costante educazione: più conosciamo la specificità della Liturgia, più vi partecipiamo con cuore, maggiormente ne siamo coinvolti, penetrati dal valore intrinseco, trasportati nella lode di Dio.
- La «partecipazione piena, attiva e consapevole» delle assemblee resta ancora la mèta da raggiungere? Oppure si sta rivalutando la bontà del “mero”, attento, ascolto dei fedeli?
La mèta è sempre, per ognuno, la partecipazione in pienezza al Mistero di Cristo: non possiamo che puntare alla partecipazione piena, attiva e consapevole. Ogni celebrazione chiama al coinvolgimento di tutto noi stessi: mente, cuore, labbra, voce, ascolto, silenzio, canto.
Le modalità possono essere diverse, ma la mèta resta sempre la stessa. Per questo la Chiesa – anche a noi musicisti – chiede di lavorare molto, appunto, perché la Liturgia, sia, di conseguenza, ancora la porta luminosa – sia di ingresso che di uscita – per la vita concreta delle comunità cristiane, pur nella loro articolazione e complessità.
Musica e comunicazione
- Qual è la sua posizione rispetto al rapporto tra la musica e la Parola, o le parole spese in abbondanza nelle celebrazioni?
Capire senza difficoltà è essenziale: è rispetto del fedele fare in modo che il testo cantato sia comprensibile, intelligibile. Ma vero è che la musica ha una sua speciale capacità di parlare e di toccare il cuore dell’uomo, anche se non tutte le parole vengono scandite e comprese.
Chi non è stato interiormente segnato dall’ascolto di una musica di Mozart o di Bach, così come di altri grandi autori “sacri”, cattolici e non cattolici? Oppure, chi non resta incantato da brani polifonici o dallo stesso canto gregoriano, ove, peraltro, ogni parola bene si posa sulla musica?
La musica ha questa facoltà immensa di comunicare, anche aldilà della comprensione e della traduzione, perché tocca corde profonde in modo diretto, esprime sentimenti alti, è uno strumento eccezionale atto a commuovere e a smuovere l’animo umano.
- Resta, dunque, un posto, forse privilegiato, per l’organo nelle nostre chiese?
L’organo, tra gli strumenti musicali, rimane in una posizione di rilievo nell’azione liturgica. «… da sempre e con buona ragione, viene qualificato come il re degli strumenti musicali, perché riprende tutti i suoni della creazione e dà risonanza alla pienezza dei sentimenti umani» (Benedetto XVI, Regensburg, 13 settembre 2006).
La Sacrosanctum concilium (n. 120) ne ricorda l’importanza nelle celebrazioni: «Nella Chiesa latina si abbia in grande onore l’organo a canne, strumento musicale tradizionale, il cui suono è in grado di aggiungere un notevole splendore alle cerimonie della Chiesa, e di elevare potentemente gli animi a Dio e alle cose celesti».
Ma, come altri strumenti, anche l’organo può essere suonato bene oppure male, ossia con o senza un senso liturgico. Le comunità che possiedono in chiesa uno strumento storico di questo tipo dispongono, di per sé, di una potenzialità straordinaria per la Liturgia e per la lode: certo, serve l’organista allo scopo!
- È tramontato, secondo Lei, l’entusiasmo per certe forme liturgico musicali del post Concilio? Il pensiero va ai gruppi giovanili e alle chitarre, per intenderci. Quale valutazione farne?
Penso di poter dire che non è solo venuto meno o tramontato l’entusiasmo per certe forme musicali, ma che, purtroppo, è venuto meno l’entusiasmo in genere. Lo vediamo tutti: le chiese, spesso, sono semivuote. Le celebrazioni più partecipate ormai sono quelle delle Esequie dei defunti, insieme alle Solennità annuali.
Le assemblee sono formate da fedeli di età medio-alta, i giovani sono spesso assenti, i ragazzi permangono fino alla celebrazione dei primi sacramenti; anche i ministranti sono pochi. I gruppi giovanili, col loro specifico repertorio, di solito libero e spontaneo, creato localmente e non sempre appropriato al rito, si stanno, di fatto, assottigliando.
Io penso che, dopo il Concilio, non si sia osservato e perciò puntualmente indicato, nella prassi, quanto fosse liturgicamente adatto e quanto no. Anche se tutto è stato scritto e riscritto nei documenti, si è lasciato sperimentare ogni genere di musica, pensando, in buona fede, di raccogliere i buoni frutti della partecipazione. Ma è mancato il supporto della formazione biblica e propriamente liturgica, specie nei gruppi giovanili chiamati ad animare le celebrazioni.
Chiesa, celebrazione, musica
- In quali direzioni andare, allora? Dal Convegno ne è uscita una?
Il patrimonio musicale della Chiesa – diciamolo francamente – è stato per lo più dimenticato, considerato quasi inutile. Eppure, il concilio, i papi, i escovi e altri successivi documenti hanno più volte ripreso e ricordato, quasi a modo di slogan, frasi sentite e risentite sino alla memorizzazione, quali: la Chiesa ha il grande patrimonio della musica sacra; l’organo è il re degli strumenti; il canto gregoriano è universale; abbiamo un’eredità da studiare e alla quale attingere. Questa è la ricchezza utile anche per le nuove composizioni.
Non tutto quel patrimonio ora è direttamente eseguibile nella Liturgia, ma molto è già possibile recuperare nel rispetto della celebrazione riformata. Altro si può comporre, ex novo, come ho detto, da quel patrimonio. Ci sono le competenze per farlo. Possiamo senz’altro fissare melodie vecchie e nuove adatte al rito, per ogni suo momento e della idonea durata.
- La rigenerazione liturgico-musicale richiede preparazione e competenze, non solo teologico-liturgiche, ma anche musicali. Esistono?
Sono molti i giovani che studiano – organo, composizione, direzione di coro, canto gregoriano – nei Pontifici Istituti di Musica di Roma e di Milano, nei Conservatori Statali e negli Istituti musicali diocesani: questi nutrono l’intento e il desiderio – al termine del percorso di studio – di impegnarsi nelle comunità. Purtroppo, pochi, poi, riescono davvero a impiegare quanto hanno ben appreso, perché incontrano disinteresse nelle comunità e nei sacerdoti e scarsa o nulla disponibilità nel verso di una corretta retribuzione, per quanto parziale, in ragione di un servizio reso, senz’altro qualificato.
Così si continua ad affidare il canto e la musica alla buona volontà di volontari – che sono certamente da ringraziare grandemente – ma coi risultati di cui qui ho detto: povertà della musica e del canto e scarsa aderenza alla dinamica propria del rito liturgico.
Ricordo ancora che, nei documenti, è auspicata, in ogni diocesi e chiesa maggiore, la presenza stabile di un organista e di un direttore di coro. Come pensare ad una ripresa, anche dal punto di vista musicale-liturgico, se manca questo? In questo senso, il vescovo – ogni vescovo – è il primo liturgo a cui le assemblee possono guardare.
La Liturgia che celebriamo non è a partire da qualcosa che facciamo noi, ma è entrare nella preghiera di Cristo, il Risorto. E’ un dono suo innanzitutto. Noi entriamo in questo dono.
Questa consapevolezza darebbe alla celebrazione uno spessore diverso.
Manca la passione, l’amore al Mistero, il credere che davvero la Liturgia forma la nostra vita.
Una “bella” Liturgia ti entra nel cuore e ti fa sentire ciò di cui hai bisogno.
Un esempio lo è il gregoriano, nato da uomini in ginocchio, nella preghiera. E si sente. Anche se non si comprendono le parole…si capiscono le parole quando cantano in inglese?
Giustamente non si può fare del gregoriano il tutto, ma almeno riflettiamo e cerchiamo di capire di cosa abbiamo bisogno.
Ho assistito alla Veglia Pasquale; ad un certo punto mi sono chiesta se era un concerto del coro dei ragazzi che hanno cantato di tutto e di più, o la Veglia delle veglie, cioè la Celebrazione della Risurrezione del Signore. Sembrava che il riflettore si fosse spostato sul coro, e la Luce del Risorto?
La bellezza non si trova nelle cose “banali”, fatte così per avere più gente in chiesa o per far partecipare tutti, la partecipazione attiva è un’altra cosa.
Il cristianesimo sta ritornando alle sue origini anche per questo.
Una grazia che purifica.
Sicuramente c’è bisogno di lavorare per celebrazioni che siano in qualche modo equilibrate per la partecipazione attiva, che non significa che tutti devono fare tutto, e soprattutto con il desiderio di entrare dentro ciò che stiamo vivendo.
Credo sinceramente che la verità stia sempre in mezzo a due estremi, ogni realtà è diversa dall’altra per sensibilità, preparazione sia da parte dei religiosi, sia da parte dei laici, sia da chi presa servizio liturgico ,sia da chi fruisce il servizio. Ci vorrebbero precisazioni su una linea da seguire perché non basta citare il Vaticano II, il Santuario ha esigenze diverse da una Cattedrale, che a sua volta ha altre esigenze rispetto ad una parrocchia semplice e così via. Purtroppo tante situazioni diverse creano tante diversità e dopo tanti anni di servizio come organista e guida liturgica non saprei cosa dire sinceramente.
Il senso della musica e canto nella liturgia è sempre aiutare i fedeli ad essere partecipi delle celebrazioni. Se ciò non avviene è solo uno spettacolino dei cori che priva l’assemblea del suo ruolo. Questo dovrebbe far riflettere autori ed esecutori non tanto sulla modalità di esecuzione (chitarra piuttosto che organo, lingua latina piuttosto che lingua parlata), quanto piuttosto sul servizio a comunità che si ritrovano per celebrare in modo comprensibile. Preferisco un canto “banale” cantato da tutti piuttosto che una esecuzione perfetta a cui si assiste con pesantezza.
Caro don Paolo,
La musica dovrebbe aiutare a pregare.
La bellezza e l’armonia avvicinano a Dio.
La banalità e la bruttezza allontanano dalla Verità.
Certo non sempre la bellezza è facile.
Ma neppure la santità lo è.
Infine si può partecipare anche ascoltando.
L’ascolto è sottovalutato.
Tutti vogliono cantare, parlare, predicare, insegnare.
Nessuno vuole ascoltare e imparare.
Questo serve.
Ascoltare.
Meglio ascoltare una bella musica che cantare stonando.
Questo IMHO.
Dissento! Un canto banale non aiuta la preghiera e non educa alla fede. Una musica veramente ispirata e ben eseguita, invece, tocca le corde più profonde del cuore umano, come giustamente è stato affermato da mons. Cola. Immedesimandosi in un canto veramente bello e quindi partecipando interiormente, emotivamente, ci si eleva e si prega molto meglio che dovendo cantare ad ogni costo una canzonetta insignificante musicalmente e sciatta nel testo. La bellezza è l’esca con cui Dio ci attira a sé, affermava S. Weil. Purtroppo sembra che molti l’abbiano dimenticato, finendo per favorire la musica di intrattenimento anche in chiesa.
Resta purtroppo il problema della quasi assoluta mancanza, in Italia, di educazione musicale di base, aggravato dal bombardamento da cui si è ovunque fatti oggetto di musica consumistica per cui il livello delle capacità di gustare la buona musica è molto basso. La Chiesa, comunque, ha sempre esercitato anche un’azione educativa promuovendo l’arte al servizio della fede. Continui a farlo!
Quello che lei preferisce, con tutto il rispetto, conta poco. Conta di più cosa chiede il Magistero. Che non insiste solo ed esclusivamente sulla partecipazione dell’assemblea. Questo sembra più uno slogan trito e ritrito che ha contribuito a distruggere secoli di bellezza in nome della banalizzazione della liturgia per renderla pret-a-porter