74ª Settimana liturgica nazionale a Modena. La preghiera liturgica? Vita che scorre, rimedio all’individualismo.
La preghiera è «vita che chiede di non morire». E la vita «scorre lungo le Scritture». Lì leggiamo la vita di «chi è cacciato nella fossa, impaurito, cacciato, minacciato». Soprattutto nei Salmi, per i quali «io divento un solo corpo con tutti i bastonati della terra»: quelli che oggi troviamo a Gaza, Karkiv, Tripoli. Le opzioni non mancano, ma per la vita di chi è cacciato nella fossa, impaurito, cacciato, minacciato servirebbe un altro pezzo per elencarle tutte. Il Salmo «ci invade di carne dolente». È la preghiera di chi «non pensa più le parole, ma le persone».
Sono alcuni frammenti dell’intervento con cui padre Ermes Ronchi ha ricordato il significato della preghiera alla 74ª Settimana liturgica nazionale. Per la prima volta l’evento si è tenuto a Modena, da lunedì 26 a giovedì 29 agosto.
Una preghiera che non è quindi un semplice atto di empatia ma è «sporca di vita», «appassionata», capace di «fare storia». Al punto che lo stesso Ronchi ne richiama l’etimologia che rimanda alla parola latina prex, cioè «domanda per fare qualcosa», ma anche a procus, ossia a colui che «rivolge domanda, preghiera, al Padre famiglia: chiede una figlia in matrimonio». La preghiera somiglia così alla ricerca di chi ama: «l’altro conta più di te».
E il ruolo dei profeti, nell’Antico Testamento, mira a riaccendere questo amore. Di qui – ha commentato – «il conflitto tra la religione dei profeti e quella dei profeti» che ricordano la necessità di «rimanere in ascolto degli ultimi» senza i quali «i luoghi fisici, da soli, possono indurre in errore».
La liturgia non è proprietà privata
Già nel messaggio dedicato all’evento, il pontefice, attraverso il segretario di Stato Pietro Parolin, scrive che la preghiera liturgica «rifugge da ogni forma di individualismo e di divisione». Per papa Francesco, la preghiera «libera il cuore dall’indifferenza, accorcia le distanze fra i fratelli e conforma ai sentimenti di Gesù». Così, l’ars celebrandi è «impegno e atteggiamento che tutti i battezzati sono chiamati a vivere per uscire dalla propria individualità e aprirsi al «noi» della Chiesa in preghiera.[1]
Il santo padre ha chiesto ai partecipanti di riflettere sulla «coralità della preghiera liturgica», sul «canto sacro», sul «silenzio» che è vero presupposto per mettersi in ascolto e sulla ministerialità liturgica.
E i partecipanti ne hanno discusso in tre focus tematici condotti dalla liturgista Valentina Angelucci, dall’architetto Marco Riso e dal compositore don Fabio Massimillo. A loro il compito, per niente facile, di mettere a terra le idee condivise.
Al centro della riflessione, la coerenza tra i gesti e le parole della liturgia con quelli praticati nella vita quotidiana, l’importanza dell’arte nonostante i ritmi di vita frenetici e distratti del nostro tempo e il valore del canto sacro senza cui non c’è liturgia.
Durante la Settimana si è anche affrontato il tema dell’adattamento liturgico, che spesso consiste «nella scelta di alcuni riti o testi, cioè di canti, letture, orazioni, monizioni e gesti che siano più rispondenti alle necessità, alla preparazione e alla capacità di comprensione dei partecipanti» e che «spettano al sacerdote celebrante» come si legge dell’Ordinamento generale del Messale romano. Tuttavia – ha sottolineato Pietro Angelo Muroni, presbitero della diocesi di Sassari, studioso e docente di materie attinenti alla liturgia – occorre «uscire da una considerazione della liturgia come proprietà privata», evitando la «tentazione di una continua ricreazione del linguaggio rituale».
Si tratta di custodire il senso dell’assemblea liturgica, che – come diceva Benedetto XVI – è luogo in cui si prefigura «quella celeste, che Cristo Signore, assumendo la natura umana, ha introdotto su questa terra, associando la comunità degli uomini al canto di lode eternamente innalzato nelle sedi celesti». Ne ha parlato don Angelo Lameri, professore alla Pontificia università Lateranense, ricordando che, «nell’assemblea liturgica, l’incontro con Dio non rimane senza effetto. L’azione liturgica è performante».
Si entra così nell’ars celebrandi che – spiega Giuseppe Midili citando Romano Guardini – «è Parola di Dio (proclamata) che ispira parole, gesti, segni, che la Chiesa compie per celebrare “una liturgia insieme seria, semplice e bella, che sia veicolo del mistero, rimanendo, al tempo stesso, intelligibile, capace di narrare la perenne alleanza di Dio con gli uomini”».
Così, «la vera arte non è tale perché diverte, ricrea, soddisfa», ma perché – citando Massimo Cacciari – “risveglia la sete del sostanziale, l’esigenza che non vi sia separazione, astratta separatezza tra sostanziale e materiale, tra sensibile e sovrasensibile, tra divino e umano e che la rappresentazione di questa unità possa darsi, che si possa dare e possa essere per noi qualcosa che ci soddisfa. Siamo di nuovo veramente all’impegno, all’istanza suprema dell’analitica del sublime”».
Una preghiera aperta al mondo
Nella sua relazione, mons. Rino Fisichella ha sottolineato che «la preghiera non è estranea all’evangelizzazione che permane come la prima e ineliminabile azione della Chiesa; al contrario le appartiene a pieno titolo e ne sostiene l’opera». «Il mondo – ha detto citando l’enciclica Evangelii nuntiandi di san Paolo VI – esige e si aspetta da noi semplicità di vita, spirito di preghiera, carità verso tutti e specialmente verso i piccoli e i poveri, ubbidienza e umiltà, distacco da noi stessi e rinuncia. Senza questo contrassegno di santità, la nostra parola difficilmente si aprirà la strada nel cuore dell’uomo del nostro tempo, ma rischia di essere vana e infeconda».
A conclusione della Settimana, Erio Castellucci, arcivescovo di Modena-Nonantola e vescovo di Carpi, ha ricordato che «si è trattato di un appuntamento sperimentale» nel quale «si è cercato di vivere gli argomenti su cui si rifletteva attraverso le celebrazioni e i momenti di preghiera e condivisione». «È stata anche un’occasione per tenere presenti i problemi del mondo – ha aggiunto –, tra cui guerre, malattie, povertà. Chi vive la fede sa che la preghiera non è chiusa in una campana di vetro, ma porta con sé le situazioni dell’umanità».
Per mons. Claudio Maniago, presidente del Centro di azione liturgica, «si ritorna a casa con entusiasmo, consapevoli che quanto qui sperimentato è la verità della nostra liturgia». L’arcivescovo di Catanzaro-Squillace ha anche ringraziato i modenesi per l’ospitalità dimostrata annunciando che sarà l’arcidiocesi di Napoli a ospitare, nell’anno giubilare, la 75ª edizione.
[1] https://www.vatican.va/content/francesco/it/messages/pont-messages/2024/documents/20240821-messaggio-settimana-liturgica.html
Come aiutare a calare questi cammini tra la gente nei banchi?
Mi dispiace molto che non si cerchi di aiutare i bambini e le persone con disabilità intellettiva a comprendere e a partecipare alla liturgia.
Anche il commento successivo al suo notava, mi è sembrato, non tanto una qualche insufficienza nell’ allestimento, quanto un distacco dalle attese / necessità dei presenti. Nel caso che dice lei,
di sicuro assolutamente pressante,mi pare che la richiesta vada resa esplicita (nel senso di “chiarita”) prima che se ne insceni l’occasione immediata (un po’ prevedibile anche nei dati di fatto)?
nella scelta di alcuni riti o testi, cioè di canti, letture, orazioni, monizioni e gesti che siano più rispondenti alle necessità, alla preparazione e alla capacità di comprensione dei partecipanti» e che «spettano al sacerdote celebrante»
poi, nella realtà, l’unica motivazione dietro gli adattamenti e le scelte fra le varie opzioni è ‘come finiamo la Messa il prima possibile?’
e il sintomo più evidente è l’uso nella grande maggioranza delle celebrazioni della Preghiera Eucaristica II… ma anche nella predica si commenti solo il Vangelo e non le altre letture!
e alla fine la Messa viene vista come un obbligo, come una casella da spuntare