Certo a macchia di leopardo, senza uniformità costante, iniziano ad alzarsi le voci (con toni preoccupati) che registrano una riduzione dei partecipanti alle celebrazioni domenicali – di pochi giorni fa quella del vescovo di Osnabrück F.-J. Bode. Siamo alle soglie del primo anno della pandemia da Covid-19, che ha fermato i ritmi abituali delle nostre vite, anche quelli delle liturgie religiose.
Indotti dallo stato di necessità, ci si è “accorti – annota Bode – che si può celebrare anche al di fuori dell’edificio della chiesa e senza preti”; cosa che non dovrebbe suonare poi così estranea alla fede cristiana, sulla scorta della memoria evangelica che ci ricorda che “dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro”. Improvvisamente, la vita ci ha ricondotto tutti a una parola del Signore che ci assicura della sua ferma presenza nelle trame quotidiane dei nostri vissuti.
Sarebbe questo lo spirito giusto da cui partire per mettere mano, in maniera costruttiva e propositiva, alla ridislocazione del celebrare cristiano, senza per questo nulla togliere al convenire domenicale della comunità per ascoltare la Parola e condividere il pane della dedizione del Signore. Senza rimpianti e nostalgie, perché nonostante tutto quello che è successo siamo ancora nel Vangelo – proprio come desidera il Signore dalla sua comunità.
Il tempo in cui viviamo ha messo in condizione di esodo la stessa celebrazione domenicale, in molte forme: da quella domestica a quella teletrasmessa, passando per le molte opportunità che offre la rete. Dovremmo fare tesoro di questo inaspettato allargamento dello spazio liturgico della celebrazione cristiana, almeno smetteremmo di citare in maniera puramente retorica la parola di Gesù che ci è consegnata dal suo Vangelo.
Improvvisamente, la liturgia comunitaria è entrata nelle case, trasformandole in luoghi di celebrazione della fede e mostrando che la nostra quotidianità può ospitare la sospensione del tempo che la liturgia cristiana vuole produrre nelle nostre giornate frenetiche.
L’impegno deve essere quello di costruire insieme il profilo comunitario delle molte forme di celebrazione domestica che abbiamo sperimentato in questo primo anno. Non per vivere nell’attesa di poterla revocare definitivamente, ricatturando il tempo quotidiano della liturgia unicamente nelle mura sicure della chiesa, ma per creare legami effettivi di una celebrazione che si dissemina in molti luoghi dei territori abitati dalla fede.
Guardando ai posti vuoti nelle nostre chiese, alla mancanza di volti familiari, non dovremmo sentire la lacerazione di una perdita irrimediabile, ma immaginare il nascere di qualcosa di nuovo nelle case, nei cortili, nelle stanze, di quel territorio che chiamiamo parrocchia. Se lo sapremo accompagnare a dovere, non mancherà certo di riversare la sua benedizione sulla comunità tutta intera. Trasformando la stessa celebrazione di coloro che escono dalle proprie case per recarsi in parrocchia la domenica a celebrare l’eucaristia – perché è questo il vero inizio di quella celebrazione a cui rischiavamo di abituarci pedissequamente.
A mio avviso siamo in un momento molto particolare per la Chiesa, alla messa domenicale rimangono spesso gli over… per vari motivi, ma se non c’è comunità (i discepoli furono mandata 2 a 2, la famiglia che attende un figlio è costituita da marito e moglie quindi 2 figure che formano una minima comunità) diventa difficile fare chiesa!