Il superamento di Summorum Pontificum (il motu proprio che ha liberalizzato la celebrazione col vecchio rito nel 2007) con la lettera apostolica Traditionis custodes (16 luglio 2021) contraddice la benevolenza con cui papa Francesco ha gestito i suoi rapporti con il mondo dei lefebvriani, di quanti cioè hanno rifiutato la riforma liturgica conciliare?
La denuncia del paradosso di una apertura all’antico ordinamento che non produce comunione ma contrapposizione è anche un cambiamento nell’orientamento di Francesco dalla benevolenza alla chiusura nei confronti degli eredi di mons. Lefebvre?
In realtà l’indurimento non è relativo alla Fraternità sacerdotale di san Pio X, quanto a quella parte del mondo cattolico che ha fatto del rito antico l’arma per resistere al magistero papale e alle sue riforme. Non è cambiato il papa, ma i suoi interlocutori. Per semplificare: non si guarda tanto alla Francia, il paese che ha una presenza lefebvriana significativa (250 gruppi, 60.000 fedeli, 199 luoghi), ma agli Stati Uniti dove i fedeli che frequentano la messa in latino sono 150.000 e 657 luoghi in cui si celebra il rito antico.
Non si tratta solo di una contrapposizione liturgica e teologica, ma soprattutto di un posizionamento ecclesiale in cui il rito è un mezzo per rifiutare il magistero e per coprire una ideologia politica autoritaria (trumpiana o altra).
Interlocutori diversi
Il coraggio e l’azzardo di una decisione pastorale i cui riferimento teologici sono già stati indicati (Intento pastorale disatteso; Liturgia: superare lo stato di eccezione; TC: il rito e i vescovi) suggeriscono la distinzione degli interlocutori, assai diversi fra loro, al di là della protesta fra loro comune.
I capisaldi di Traditionis custodes sono due: l’affermazione dell’unicità del rito rito romano rispetto alla pretesa di un dualismo che minaccia l’unità di lex orandi e lex credendi e l’affidamento al vescovo e alla sua responsabilità di liturgo di gestire l’esperienza rituale del suo popolo.
All’interno di tali indicazioni vi sono le concrete disposizione, fra cui ricordo: l’accettazione della riforma liturgica, l’esclusione del rito antico dalle chiese parrocchiali, la negazione alla costituzione di nuovi gruppi, la necessaria autorizzazione del vescovo ai sacerdoti celebranti, il passaggio della ventina di famiglie religiose di rito antico alla responsabilità del dicastero dei religiosi (e non più alla Congregazione per dottrina della fede).
Oltre all’ambito lefebvriano, vi sono le fondazioni tradizionaliste che hanno il riconoscimento vaticano, vi è un’area di tipo estetizzante, curiosa e nostalgica e, infine, una più ampia corrente di risentiti che nascondono nel rito di Pio V (non certo di quello malabarese o ambrosiano) il loro rifiuto alle riforme ecclesiali e alla predicazione della radicalità evangelica.
La loro presenza è riscontrabile ben oltre gli Stati Uniti. Non casualmente il testo del motu proprio è prima uscito in italiano e inglese e successivamente nelle altre lingue.
Benevola attenzione
La posizione benevola di Francesco è bene espressa in una risposto a La Croix (9 maggio 2016): «A Buenos Aires ho sempre parlato con loro. Mi salutavano, mi chiedevano una benedizione in ginocchio. Si dicono cattolici. Amano la Chiesa. Mons. Fellay (ex-superiore generale della Fraternità sacerdotale san Pio X, ndr.) è un uomo con cui si può dialogare. Non è così per altri elementi un po’ strani, come mons. Williamson (espulso dalla Fraternità nel 2012, ndr.) o altri che si sono radicalizzati. Penso, come avevo detto in Argentina, che siano cattolici in cammino verso la piena comunione».
Nel 2015 aveva incontrato mons. Fellay. Poi, nell’anno della misericordia, ha autorizzato i loro preti ad assolvere l’aborto (di solito riservato ad alcuni sacerdoti scelti dai vescovi), ha permesso la celebrazione del matrimonio. Nel 2020 ha implementato il rito antico della memoria dei santi recenti e di sette nuovi prefazi.
La soppressione della Commissione (2019) è stata accettata dai lefebvriani senza grandi patemi. Per contro ha rigidamente disciplinato le celebrazioni nel vecchio rito in San Pietro, ha bandito le celebrazioni in latino fra i Cavalieri di Malta e ha condiviso col dicastero dei religiosi una esigente verifica fra le famiglie religiose commissariate sul tema liturgico.
Il nuovo pericolo
Il papa giustifica così la decisione presa e il testo pubblicato: «A distanza di tredici anni ho incaricato la Congregazione per la dottrina della fede di inviare (ai vescovi) un questionario sull’applicazione del motu proprio Summorum Pontificum.
Le risposte pervenute hanno rivelato una situazione che mi addolora e mi preoccupa, confermandomi nella necessità di intervenire. Purtroppo l’intento pastorale dei miei predecessori, i quali avevano inteso “fare tutti gli sforzi, affinché a tutti quelli che hanno veramente il desiderio dell’unità, sia reso possibile di restare in quest’unità o di ritrovarla nuovamente”, è stato spesso gravemente disatteso».
La possibilità offerta «è stata usata per aumentare le distanze, indurire le differenze, costruire contrapposizioni che feriscono la Chiesa e ne frenano il cammino, esponendola al rischio di divisioni». «È per difendere l’unità del corpo di Cristo che mi vedo costretto a revocare la facoltà concessa dai miei predecessori. L’uso distorto che ne è stato fatto è contrario ai motivi che li hanno indotti a concedere la libertà di celebrare la messa con il missale romanum del 1962. Poiché “le celebrazioni liturgiche non sono azioni private, ma celebrazioni della Chiesa” che è sacramento di unità, devono essere fatte in comunione con la Chiesa ».
In un commento di Felix Neumann (Katholisch.de) si allude al metodo di Francesco: anzitutto produrre dei segnali occasionali e di prova, aspettare gli sviluppi e analizzarli con attenzione. Avvicinarsi ai problemi «con indifferenza» e sottoporli a una attenta distinzione, ascoltando voci diverse. Poi decidere con parola autorevole esercitando appieno il ruolo primaziale.
Francia e USA
I vescovi hanno recepito il messaggio e, in generale, si sono preoccupati di non allarmare quanti in buona fede e in obbedienza ecclesiale ricorrono al vecchio rito, senza rinunciare all’esecuzione del motu proprio e all’esercizio della responsabilità che era loro stata tolta dal Summorum Pontificum.
Nella sintesi della conferenza episcopale francese (apparso sul sito della Fraternità san Pio X e poi tolta) cito alcuni passaggi delle conclusioni alle singole nove domande. «Nella maggioranza delle diocesi la situazione sembra appianata. Rimane qualche incrispazione, spesso dovuta alla storia e a conflitti del passato».
«Ci si può chiedere se la calma (registrata) sia davvero una buona notizia: si sarebbe dovuto sperare in un dialogo sull’adesione di fondo all’insegnamento conciliare. “Se il motu proprio (SP) ha indiscutibilmente favorito la tranquillità, non ha tuttavia alimentato la comunione” ha constatato un vescovo. La calma sembra aver fissato lo stato delle relazioni e il dialogo ne ha risentito… La comunione diocesana, l’uso di un calendario e di un lezionario differenti, il rifiuto della concelebrazione sono le principali difficoltà registrate dai vescovi».
«Se le norme del motu proprio (SP) sembrano generalmente rispettate, restano tuttavia questioni relativamente alla recezione del suo spirito». «La constatazione condivisa è quella di due mondi che non si incontrano. Non si è avvertito alcun arricchimento reciproco… Spesso (il rito) straordinario vuol dire esclusività». «Sono un mondo a parte, si delinea una Chiesa parallela».
«La pubblicazione del motu proprio (SP) esprime una lodevole intenzione ma senza i frutti attesi. Se ha onorato un principio di realtà, appare necessario un incessante lavoro per l’unità. Le promesse di un reciproco arricchimento delle due forme dell’unico rito romano restano largamente iniziali. Diffidenze reciproche sterilizzano il tutto. La cura dell’unità della Chiesa non è pienamente onorato nella pratica del motu proprio».
I vescovi americani si sono preoccupati di confermare l’attuale situazione per calmare gli animi più indisposti, rimandando a uno studio più accurato delle disposizioni. Così il vescovo di Minneapolis, di Baltimora, di Los Angeles, di Oklaoma city, di Little Rock. Più supponente il vescovo conservatore di san Francisco, S. Codileone: «la messa in latino della tradizione continuerà ad essere disponibile nell’arcidiocesi, a disposizione dei legittimi bisogni e desideri dei fedeli».
Critiche: da decifrare
A questo punto le reazioni critiche, spesso molto simili, si possono collocare nei loro contesti propri. A parte le prevedibili critiche dei cardd. Zen, Sarah, Müller, il giornale on-line Bussola quotidiana ammonisce: «Non ci si dovrà sorprendere se ci sarà una reazione molto forte, che rischia di lacerare ulteriormente un tessuto ecclesiale ormai a brandelli… Facciano attenzione, con Dio non si scherza: sarà la loro Waterloo».
Per G. de Tanouärn dell’istituto Buon pastore: «il papa appare come un divisore: inquietante per il futuro». Per i tradizionalisti di Rorate caeli il testo di Francesco è scioccante e terrificante. Per p. Benoit Paul Joseph della Fraternità san Pio X: «Non ci sarà più stabilità. Passiamo dalla “benevolenza” a un regime di semplice “tolleranza”, reso evidente dal fatto che le messe della tradizione non possono più essere celebrate nelle chiese parrocchiali, che non verranno più erette parrocchie personali e che si impone ai vescovi di a non accettare domande di nuovi gruppi».
In Corrispondenza romana si dice: «Il motu proprio e la lettera accompagnatoria ci sprofondano inevitabilmente nello sconforto, ci tentano alla disperazione, forse potrebbero addirittura indurci alla risposta rabbiosa e alla ribellione fine a se stessa».
Per Joseph Shaw, presidente per la società per la messa in latino del Regno Unito il documento è «sbalorditivo. Supera le nostre peggiori aspettative». Per la Fraternità san Pio X: «Finora gli spazi riservati al rito antico avevano una certa ampiezza di movimento, un po’ come delle riserve naturali. Oggi siamo passati allo stato di zoo: gabbie strettamente limitate e confinate».
«Mentre la messa della tradizione è in estinzione e le promesse fatte alla commissione Ecclesia Dei sono così neglette essa (la Fraternità) trova nella libertà lasciatale dal vescovo di ferro (Lefebvre), la possibilità di continuare a lottare per la fede e per il Regno di Cristo Re».
“l’affermazione dell’unicità del rito rito romano rispetto alla pretesa di un dualismo che minaccia l’unità di lex orandi e lex credendi ”
Un approccio piuttosto fondamentalista e autoritario. Tra il rito romano moderno e il rito antico la differenza non è certo maggiore della differenza tra il rito romano moderno e gli altri riti cattolici- maronita, siriaco, melchita, copto…..
Se pure è vero che l’attaccamento al rito antico va di pari passo in certi gruppi con un certo disprezzo del Concilio e del magistero corrente, Il Papa avrebbe fatto meglio a lasciar correre e a far celebrare la messa in latino, oppure fare delle limitazioni, ma senza prenderla così di petto. La realtà è che ha agito in modo estremamente autoritario, era una questione delicata dove poteva anche essere utile una discussione sinodale, ma la sinodalità a quanto pare è usata solo quando torna comodo. Io non sento nessun bisogno della messa in latino, ma andrebbe lasciata per coloro per i quali è importante. Ugualmente discutibile è lo zelo con cui sono state cambiate 15 parole della Messa corrente in Italiano con l’obbligo per tutti di ricomprare i messali e il risultato che quando si dice il Padre Nostro- non solo la traduzione è sbagliata- ma non ci sono più due persone che dicono la stessa cosa. Sarebbe stato meglio lasciare il messale vecchio e pensare a un nuovo rito (un pò di sana creatività) da affiancare a quello in latino e a quello postconciliare… filtrate il moscerino e ingoiate il cammello…disse Qualcuno…duole constatare che poco è cambiato
Secondo il Papa la Messa è una sola ed esprime la fede della Chiesa. Se la Chiesa ha ritenuto necessario ridare forma alla Messa è perché Il rito precedente è stato ritenuto carente e non adeguato alle esigenze dei discepoli di Gesù.
Mettere in contrapposizione la concezione di Dio e della Chiesa è solo un esercizio di voler “trarre dalla bisaccia cose vecchie e cose nuove” … e questa non è una concezione del Papa.
Francesco ha riguardo verso tutti: atei, agnostici, movimenti popolari, dittature, musulmani, luterani, ecc. Una sola cosa ritiene sovversiva, divisiva, pericolosa: una comunità che vuole celebrare in latino…ci facciamo qualche domanda?
Padre Lorenzo, le tue parole sono molto chiare. Quanto hai scritto è molto opportuno. Le divisioni nella chiesa e le tante critiche al Papa non hanno nulla a vedere con la dottrinna e una pastorale buona. Come ha detto il card.Cantalamessa nella predica del venerdi santo, “Non è il dogma, non sono i sacramenti e i ministeri: tutte cose che per singolare grazia di Dio custodiamo integri e unanimi. È l’opzione politica, quando essa prende il sopravvento su quella religiosa ed ecclesiale e sposa una ideologia, dimenticando completamente il valore e il dovere dell’obbedienza nella Chiesa. È questo, in certe parti del mondo, il vero fattore di divisione, anche se taciuto o sdegnosamente negato”. Grazie, Padre Lorenzo, Tommaso
Mi pare difficile esecrare un uso politico dell’opposizione ad un Papa che ha fatto della politica un mantra, predicato in tutte le occasioni, messe comprese. E pure mi pare difficile invocare obbedienza a questo Papa, dopo averla negata ai suoi predecessori. Dovrebbero almeno evitarlo i suoi sostenitori, tra i più animosi in tale opposizione.
Quando si è vittime di preconcetti e non c’è nessuna voglia di voler capire, tutto diventa difficile. Per chi, invece, è semplice come quelli di cui parla Gesù nel Vangelo, le parole e i comportamenti di papa Francesco, come anche di Benedetto XVI, sono chiarissimi. Si legga la Dottrina sociale della Chiesa (ne esiste anche una Sintesi e un Dizionario), e si potrà capire qual è la politica che anche il Papa può e deve fare. E non è per nulla divisiva. Tommaso
La questione è semplice.
Il rito esprime una concezione di Dio e della Chiesa.
Secondo il Papa la messa tridentina esprime un concetto di Dio e della Chiesa incompatibile col suo, del Papa, magistero.
Quindi il magistero del Papa è incompatibile con la concezione di Dio e della Chiesa che fino al 1970 avevano i cattolici.
Trasparente.