C’è un criterio essenziale per il riconoscimento di un carisma: «la capacità di una comunità, di un istituto di integrarsi nella vita del popolo santo di Dio per il bene di tutti». Incontrando la plenaria del dicastero dei religiosi, papa Francesco (11 dicembre) ha vidimato il lavoro compiuto secondo il tema: sulle nuove comunità o forme di vita consacrata.
Nel compito della Congregazione di discernere e accompagnare istituti tradizionali e nuovi, il papa suggerisce alcune indicazioni. «L’attenzione ai fondatori che, a volte, tendono ad essere autoreferenziali, a sentirsi gli unici depositari o interpreti del carisma, come se fossero al di sopra della Chiesa. L’attenzione alla pastorale vocazionale e alla formazione che si propone ai candidati. L’attenzione a come si esercita il servizio dell’autorità, con particolare riguardo alla separazione tra foro interno e foro esterno – tema che a me preoccupa tanto –, alla durata dei mandati e all’accumulo dei poteri. E l’attenzione agli abusi di autorità e di potere».
Il fenomeno delle nuove fondazioni, particolarmente lussureggiante nel post-concilio, è certamente un fatto positivo, un segno di vitalità spirituale e un dono dello Spirito alla Chiesa, ma la sua ricezione nella Chiesa è un delicato compito che interessa da vicino vescovi e Santa Sede. Vi è una positiva circolarità fra istituti, vescovi e Vaticano che va riconosciuta e alimentata.
Associazioni laiche e fondazioni religiose
La ricerca del dicastero dei religiosi riguarda una nuova figura giuridica di “famiglie religiose” che garantisce la compresenza di preti, religiosi e laici in un unico istituto. Come, ad esempio, le Beatitudini, Das Werke, Schönstatt, Foyers de charité ecc. Appartengono, invece, alla competenza del dicastero dei laici le nuove fondazioni composte in grande prevalenza da laici come i movimenti più noti: Focolari, Comunione e liberazione, Cursillos, Neocatecumenali, Comunità di Sant’Egidio, Rinnovamento nello Spirito ecc.
Ambedue gli ambiti sono oggi confrontati dalla necessità di riflettere sulla governance, sulla successione al fondatore, sull’opportunità di passare da un sistema ereditario (il fondatore designa il successore e così via) ad un sistema collegiale o sinodale in cui i membri, che custodiscono complessivamente il carisma, riconoscono la figura apicale che lo interpreta.
Il dicastero dei laici ha pubblicato l’11 giugno scorso un decreto generale che prevede una disciplina comune in ordine alla scelta del moderatore o presidente e del suo consiglio (che può avere varie denominazioni). Essa prevede:
- la partecipazione di ogni membro, diretta o indiretta, alla elezione delle cariche centrali;
- un mandato di cinque anni (al massimo dieci) per moderatore e consiglieri;
- la permanenza del fondatore nel ruolo di moderatore, sottoposta tuttavia alla conferma del dicastero.
La Congregazione per i religiosi, dove le regole per gli istituti e il sistema di governo sono regolati dal Diritto canonico, ha trovato un completamento nella lettera apostolica Authenticum charismatis che impone ai vescovi, oltre alla libertà di riconoscere nuovi istituti religiosi, anche il compito di discernere il loro carisma, non senza il permesso scritto del dicastero (1° novembre 2020).
La recezione delle indicazioni sia nelle associazioni dei fedeli laici sia nelle fondazioni religiose non è stata priva di resistenza. Accomunate dalla paura di normalizzazione, di centralizzazione e di indebita ingerenza. Timori peraltro legittimi, ma anche superabili.
Comunione e liberazione
In tale contesto si colloca la vicenda del “commissariamento” di Comunione e liberazione e, al suo interno, dell’associazione dei Memores Domini (forma di vita comune con promesse-voti).
Il 24 settembre un comunicato della Santa Sede nominava delegato speciale per loro il vescovo Filippo Santoro e assistente pontificio p. Gianfranco Ghirlanda.
Da tempo giravano voci di crescenti incomprensioni fra i Memores e i vertici di Cielle per intrusioni considerate indebite e penalizzanti l’autonomia dell’associazione. L’impegno a rivedere gli statuti era sostanzialmente rimasto disatteso.
Alcuni giorni prima (il 16 settembre) era stata notata l’assenza del presidente, J. Carrón, e di Antonella Froncillo (Memores) dall’incontro con il papa, che aveva spiegato il senso e il valore del decreto del dicastero. Era però presente il vicepresidente di Cielle, Davide Prosperi.
Il 15 novembre Julián Carrón, presenta le sue dimissioni, motivandole sulla base di due valori: permettere a tutti di assumersi la responsabilità del carisma e favorire la crescita dell’autocoscienza ecclesiale del movimento.
Il 25 novembre il dicastero nomina Davide Prosperi come presidente ad interim di Comunione e liberazione con il compito di arrivare alla stesura di nuovi statuti, di provvedere al rinnovo della diaconia centrale per giungere alla nomina del successore. Si prevede almeno un anno di lavoro.
Nella comunicazione-video alle Fraternità di Comunione e liberazione (29 novembre), Prosperi disegna il lavoro da fare: «quella che ci aspetta è per noi un’esperienza largamente nuova». Dopo il ringraziamento a J. Carrón («Abbiamo attraversato insieme le fasi più critiche della nostra storia recente») per il suo instancabile richiamo all’evento Cristo, formalizza il senso di una chiamata alla responsabilità di tutti. Ciò significa anzitutto la fedeltà al dono ricevuto con il proprio contributo alla vita delle comunità di appartenenza; una rinnovata responsabilità di ciascuno all’unità del movimento nella forma dell’amicizia; un’appropriazione del carisma in «atteggiamento di fiducia verso la Chiesa e la sua autorità», così come predicata a don Luigi Giussani.
Una sfida che accomuna tutti, anche le realtà che si riferiscono al carisma di Giussani: i Memores Domini, la Fraternità di san Giuseppe, le suore di Carità dell’Assunzione, i monaci benedettini di Cascinazza, la fraternità e le missionarie di san Carlo Borromeo, le monache di Vitorchiano, i sacerdoti diocesani e religiosi appartenenti alle fraternità, gli enti no-profit e di servizio, i centri culturali e le associazioni professionali. È il «popolo di Cielle».
Da erede a successore
Attraversa tutta la comunicazione interna la preoccupazione di evitare sbandamenti, di leggere positivamente le sfide, di scongiurare abbandoni frettolosi. «Forse qualcuno vive con timore e un certo smarrimento i cambiamenti che stanno avvenendo. Non dobbiamo scandalizzarci di questi sentimenti. Aiutiamoci a rispondere alla circostanza, cioè a usare bene del tempo che ci è dato, giorno per giorno, a mettere a frutto la grazia con la quale Dio ha salvato la nostra vita, nella letizia e nella gratitudine per tutto ciò che abbiamo ricevuto in questi anni… Non ci capiti di far diventare il carisma che ci ha uniti, un pretesto per dividerci… Non dobbiamo aver paura che nel confronto con l’autorità della Chiesa l’originalità del nostro volto venga sminuita».
La comunicazione pubblica, peraltro rara e disattenta, ha attribuito il tutto a un processo di normalizzazione. Ci si potrebbe riferire alla difficoltà di comporre l’euforia dello statu nascenti con la sistemazione istituzionale, il dibattito interno sull’esperienza politica, il rapporto fra le generazioni, la tensione fra l’anima religiosa e quella più esposta nelle opere.
Mi sembra più appropriata l’ottica del passaggio fondazionale: la successione come trasmissione del carisma. J. Carrón fu scelto da Giussani e accompagnò gli ultimi anni del fondatore. Di fatto, la sua successione fu percepita come una designazione del fondatore.
Difficile immaginare che gli ultimi anni di vita di Giussani non siano stati per gran parte in carico a Carrón. Erede designato nel 2005, è stato confermato sulla stessa onda del ricordo nel 2008, 2014 e 2020. Sua è la firma di una celebre lettera in cui svalutava la pastorale milanese successiva al card. Colombo, quindi il ministero di Martini e Tettamanzi, a favore della candidatura di Scola a vescovo di Milano. Lui ha dovuto gestire la difficile vicenda degli scandali politici di Formigoni e di altri ciellini in posti di responsabilità pubblica. Suo è stato anche il coraggio di favorire e accompagnare il consenso del movimento alla nuova stagione di papa Francesco, dopo la delusione del movimento per la mancata nomina a papa del card. Scola.
Ora gli è stato chiesto di ritirarsi per permettere il passaggio da una nomina ereditaria a una elezione condivisa, da un carisma vissuto come dono a un carisma che è anche un compito condiviso, da una situazione in cui l’autorità pervasiva del fondatore cede all’autorità modellata dalle regole. Un delicato passaggio che è comune a tutte le fondazioni ecclesiali. Se i carismi sono co-essenziali ai ministeri nella Chiesa, una co-essenzialità fra carisma e ministero è attiva anche dentro tutte le esperienze ecclesiali. Un’occasione di maturità per chi la sa accogliere.
Caro p. Lorenzo Prezzi,
apprezzo sempre cosa lei scrive, ma da non membro di CL mi pare di poter dire che non esiste un “caso CL”. Esiste semmai un problema serio e grave, che è l’esercizio dell’autorità nella Chiesa, sia in associazioni sia nei movimenti sia nella persona di coloro che esercitano un ministero (diaconale, presbiteriale, episcopale) sia, infine, tra i consacrati. Pertanto CL, che è nella Chiesa, non è un caso, è semmai la punta di un iceberg. Lo stesso problema si è presentato altrove (Legionari di Cristo e Bose, benché sotto altra forma) e si presenterà ancora. L’autorità va esercitata sempre quando si è a capo di un movimento, di un’associazione, di una comunità ma mai in modo tale da configurarsi come abuso. Dice papa Francesco (lo parafraso): “mai spadroneggiare”.