«Il diaconato, seguendo la via maestra del Concilio, ci conduce […] al centro del mistero della Chiesa. Come ho parlato di Chiesa costitutivamente missionaria e di Chiesa costitutivamente sinodale, così dico che dovremmo parlare di Chiesa costitutivamente diaconale. Se non si vive questa dimensione del servizio, infatti, ogni ministero si svuota dall’interno, diventa sterile, non produce frutto. E poco a poco si mondanizza. I diaconi ricordano alla Chiesa che è vero quanto scoprì santa Teresina: la Chiesa ha un cuore bruciato dall’amore. Sì, un cuore umile che palpita di servizio. I diaconi ci ricordano questo quando, come il diacono san Francesco, portano agli altri la prossimità di Dio senza imporsi, servendo con umiltà e letizia. La generosità di un diacono che si spende senza cercare le prime file profuma di Vangelo, racconta la grandezza dell’umiltà di Dio che fa il primo passo – sempre, Dio sempre fa il primo passo – per andare incontro anche a chi gli ha voltato le spalle» (Francesco, dal discorso del 19 giugno 2021 ai diaconi permanenti della diocesi di Roma, con le loro famiglie).
«Dal punto di vista del suo significato teologico e del suo ruolo ecclesiale, il ministero del diaconato costituisce una vera sfida per la coscienza e la prassi della Chiesa». Sembra pertanto che sia giunto il tempo di promuoverlo come stato permanente «in modo più generoso, riconoscendo in questo ministero un prezioso fattore di maturazione di un Chiesa serva alla sequela del Signore Gesù che si è fatto servo di tutti».
Lo scrive, citando rispettivamente il documento del 2003 della Commissione teologica internazionale Il diaconato: evoluzione e prospettive e il Documento finale del Sinodo sulla sinodalità del 2021-2024, Serena Noceti in apertura dell’Introduzione (p. 17) e al termine della Conclusione (p. 225) del suo recente pregevole saggio Servire l’umanità, servire la Chiesa. Una proposta teologica e pastorale sul diaconato (Editrice Queriniana, Brescia 2025).
«Un’opera di divulgazione dell’argomento ben calibrata, che – come afferma nella Prefazione Alphonse Borras – si attiene all’essenziale senza impantanarsi in sviluppi certamente necessari, ma che rischiano di scoraggiare un pubblico di lettori non esperti» e il cui obiettivo «è quello di stimolare la riflessione sul ministero diaconale nella sua pratica attuale e nell’eventualità che la Chiesa chiami le donne a questo ufficio» (p. 8).
Domande alle quali il saggio cerca di rispondere
Riprendendo sia le lezioni del corso di Teologia del diaconato tenuto presso l’Istituto superiore di scienze religiose della Toscana, sia i contenuti dei tanti incontri di formazione dei diaconi permanenti e delle loro mogli offerti in numerose diocesi italiane (p. 20), il libro di Serena Noceti cerca di rispondere ad alcune fondamentali domande che conviene qui riprendere.
Chi sono i diaconi? Qual è la loro specifica identità? Quali i tratti peculiari del loro ministero? Ma soprattutto: perché è stato re-istituito il diaconato come grado autonomo e permanente? Che cosa apporta alla Chiesa di tanto essenziale e imprescindibile? (p. 18). Quale figura di diacono permanente emerge dai documenti del concilio Vaticano II che lo hanno ripristinato? (p. 100). In che cosa i diaconi si differenziano dai laici? Perché il loro ministero è costitutivo e insostituibile per la Chiesa? Se tutti i ministri ordinati (vescovi, presbiteri, diaconi) esistono prima di tutto per custodire l’apostolicità dell’annuncio che fa la Chiesa e per servire il Noi ecclesiale istituzionalizzato (ed è questa l’unica ratio teologica per tutti i ministri ordinati), in che modo specifico operano i diaconi (p. 158)?
Cosa comporta per il ministero pastorale del diacono l’essere sposato? Quali sono gli elementi che caratterizzano la figura dello sposato diacono? (p. 187). Come pensare il rapporto che intercorre tra la specifica ministerialità che la coppia di sposi assume con la celebrazione del matrimonio e l’ordinazione diaconale di uno dei due coniugi? (p. 195). Cosa comporta per la Chiesa cattolica latina beneficiare del ministero di sposati diaconi e di diaconi celibi?» (p. 200).
Nella storia della Chiesa le diacone sono esistite? Quali erano nell’antichità i loro compiti e le loro funzioni? Nel caso delle donne, il rito compiuto nella Chiesa antica era un’ordinazione, come quella dei diaconi maschi, o si trattava di una benedizione (come quella per lettori, accoliti ecc.)? Per le diacone ci troviamo davanti ad un ministero ordinato oppure ad un ministero di laiche? (p. 208). Perché chiedere l’ordinazione di diacone dal momento che le donne sono già attive nella comunità? (p. 215).
Struttura del saggio
Dopo la bella Prefazione di Alphonse Borras, «uno dei massimi esperti mondiali del diaconato» (p.117), il volume prende avvio con una ricognizione di quanto è avvenuto in Italia a seguito di quella che Serena Noceti considera una vera e propria re-istituzione o rifondazione, da parte del Concilio Vaticano II, del diaconato permanente: un ministero ordinato che oggi è praticamente presente in tutte le 226 diocesi italiane, ancorché soffra di una sottorappresentazione a livello ecclesiale e sia spesso ridotto a compiti liturgici a scapito degli impegni di carattere sociale e caritativo (cap. 1).
Seguono due capitoli di particolare interesse.
Uno è dedicato alla ricognizione critica dei testi neotestamentari che, nel prospettare la diaconia come il tratto di identità della nascente Chiesa, ci pongono davanti alla ragione teologica di esistenza di diaconi e di diacone (cap. 2).
L’altro, facendo riferimento alle fonti dei primi secoli di storia cristiana (lettere, commenti biblici, riflessioni teologiche dei padri della Chiesa, sinodi e concili, fonti liturgiche, riti di ordinazione, epigrafi funerarie…), indaga l’evoluzione del diaconato nella storia della Chiesa del primo millennio, alla fine del quale rimane solo nella forma transeunte verso il presbiterato, incentrato esclusivamente sul servizio liturgico e con la perdita di ogni riferimento al servizio caritativo esplicitato nelle fonti patristiche e liturgiche dei primi secoli (cap. 3).
Il fondamentale quarto capitolo si sofferma sul magistero del concilio Vaticano II che, dopo secoli dalla sua scomparsa, con una scelta indubbiamente innovativa e significativa per la vita della Chiesa e per l’esercizio del ministero pastorale, ha re-istituito il diaconato permanente, apparendo esso a molti «non solo come risposta alle urgenze pastorali, ma soprattutto come espressione di una Chiesa attenta ai poveri, capace di una diaconia fattiva e di un’opera di evangelizzazione inserita in ambienti di vita lontani dalla pratica ecclesiale» (p. 90).
Il capitolo quinto indaga la difficile e problematica recezione della scelta conciliare di ripristinare il diaconato permanente, prendendo realisticamente atto del fatto che si tratta «di una novità non ancora metabolizzata dopo sessant’anni, che non ha ancora inciso sull’insieme della teologia del ministero e non ha trasformato in profondità la prassi pastorale» (p. 125) anche a motivo della debolezza teologica di quanto affermato nei documenti conciliari (p. 107). «Si continua a oscillare tra diaconia della carità e prossimità all’altare, complice anche il peso di una storia che aveva concentrato il tutto del diaconato nel servizio liturgico e che leggeva il ministero primariamente in ottica sacerdotale-sacramentale» (p. 124).
Il capitolo sesto si sofferma sui riti di ordinazione che offrono preziosi contributi per plasmare e configurare la figura del ministero dei diaconi. Nel corso del rito di ordinazione, chi sta per essere ordinato diacono si impegna a servire quotidianamente, in parole e opere, il popolo di Dio e Cristo nella triplice diaconia della carità, della Parola e della liturgia (p. 132). «La prospettiva portante è quella di un ministero specifico, nella e per una Chiesa diaconale, chiamata tutta a essere segno del Cristo servo e della sua diaconia nel mondo» (p. 143).
È negli ultimi quattro capitoli (7, 8, 9 e 10) che viene esplicitata la proposta teologica dell’autrice. Una proposta di interpretazione teologico-sistematica che si colloca «nell’orizzonte del rinnovamento della teologia del ministero ordinato sviluppato dal concilio Vaticano II, in particolare nel cap. III della costituzione sulla Chiesa, Lumen gentium» (p. 150).
Una proposta quanto mai illuminante dal momento che quello del diaconato permanente risulta essere ancora oggi, a sessant’anni dal suo ripristino, un ministero «non adeguatamente compreso anche in tante proposte teologiche sul ministero ordinato» (p. 222).
Una proposta che si inserisce costruttivamente nell’attuale dibattito relativo alla possibilità e all’opportunità di aprire il ministero del diaconato alle donne dal momento che i testi biblici testimoniano incontrovertibilmente l’attività delle diacone all’interno delle prime comunità e gli atti degli antichi concili documentano l’esistenza di forme di ordinazione di diacone nelle celebrazioni liturgiche (pp. 208-211).
Significativo quanto Serena Noceti scrive nell’Introduzione: «Una Chiesa che voglia assumere l’impegnativa proposta fatta da papa Francesco […] di un rinnovamento pastorale in ottica missionaria non può prescindere dalla promozione del diaconato, un ministero in cui l’annuncio si coniuga costitutivamente con il servizio e con la dimensione kenotica della fede cristiana, nel quadro concreto della vita quotidiana, in forma inculturata» (p. 19).
Nella Conclusione l’autrice auspica l’abolizione del diaconato transitorio, per dare la giusta importanza alla «figura ministeriale del diacono nella sua specifica identità, assunta in modo stabile e permanente» e afferma che «è tempo per tutti – vescovi, presbiteri, laici – di riconoscere il valore» di questa figura (pp. 224-225) in quanto la parola, la presenza, l’agire pastorale di diaconi e (si spera) di diacone possono contribuire in modo determinante a consolidare una Chiesa a servizio del regno di Dio nella storia e a beneficio dell’umanità e soprattutto delle persone povere, emarginate ed escluse (p. 221).
A servizio dell’umanità e della Chiesa
La proposta teologica e pastorale sul diaconato permanente avanzata da Serena Noceti è presente in nuce già nel titolo del suo saggio: «servire l’umanità, servire la Chiesa» con lo stile di Gesù che, venuto non per essere servito ma per servire (Mt 20,28 e Mc 10,45), sta in mezzo a noi come colui che serve (Lc 22,27).
Mi sembra che la proposta della teologa fiorentina sia profondamente in linea con quanto afferma il n. 73 – riportato qui integralmente – del Documento finale del Sinodo sulla sinodalità del 2021-2024 che papa Francesco ha accolto come parte del suo magistero ordinario.
«Servi dei misteri di Dio e della Chiesa (cf. LG 41), i diaconi sono ordinati non per il sacerdozio, ma per il ministero (LG 29). Lo esercitano nel servizio della carità, nell’annuncio e nella liturgia, mostrando in ogni contesto sociale ed ecclesiale in cui sono presenti la relazione tra Vangelo annunciato e vita vissuta nell’amore, e promuovendo nella Chiesa intera una coscienza e uno stile di servizio verso tutti, specialmente i più poveri. Le funzioni dei diaconi sono molteplici, come mostrano la Tradizione, la preghiera liturgica e la prassi pastorale. Esse andranno specificate in risposta ai bisogni di ogni Chiesa locale, in particolare per risvegliare e sostenere l’attenzione di tutti nei confronti dei più poveri, nel quadro di una Chiesa sinodale missionaria e misericordiosa. Il ministero diaconale rimane ancora sconosciuto a molti cristiani, anche perché, pur essendo stato ripristinato dal Vaticano II nella Chiesa latina come grado proprio e permanente (cf. LG 29), non è stato ancora accolto in tutte le aree geografiche. L’insegnamento del Concilio andrà ulteriormente approfondito, anche sulla base di una verifica delle molteplici esperienze in atto, ma offre già solide motivazioni alle Chiese locali per non tardare nel promuovere il diaconato permanente in modo più generoso, riconoscendo in questo ministero un prezioso fattore di maturazione di una Chiesa serva alla sequela del Signore Gesù che si è fatto servo di tutti. Questo approfondimento potrà aiutare anche a comprendere meglio il significato dell’ordinazione diaconale di coloro che diventeranno presbiteri».
Della proposta teologica contenuta nel saggio di Serena Noceti mi limito ad evidenziare sette elementi che a me sembrano di particolare rilievo.
Il diaconato nell’orizzonte della teologia del ministero ordinato del Vaticano II
La riscoperta del diaconato esercitato in modo permanente è da collocare nel contesto dell’innovativa teologia del Vaticano II, che ripensa il ministero ordinato in rapporto alla missione messianica di tutto il popolo di Dio, preferendo alla tradizionale fondazione cristologico-ontologica del ministero sacerdotale la radicazione ecclesiologica del ministero e la fondazione pneumatologica di carismi e ministeri e considerando i ministri ordinati parte del popolo sacerdotale, comunità tutta ministeriale, in cui tutti i battezzati sono visti come soggetti corresponsabili nell’annuncio e nella diaconia ecclesiale (pp. 151-154).
I diaconi ordinati non per il sacerdozio ma per il ministero
Servi dei misteri di Dio e della Chiesa, i diaconi sono ordinati «non per il sacerdozio, ma per il ministero». Lo esercitano nel servizio della carità, nell’annuncio della Parola e nella liturgia: tre tipologie di servizio certamente distinte, ma non separabili, in quanto correlate «nella prassi pastorale e nella comprensione teologica stessa del ministero diaconale» (p. 169).
Le funzioni dei diaconi sono molteplici, come mostrano la tradizione, la preghiera liturgica e la prassi pastorale: tutte però sono finalizzate a mostrare che l’apostolicità della fede della Chiesa si costruisce non solo sul piano della vita sacramentale e liturgica, ma anche correlando vitalmente la Parola del vangelo e l’esistenza quotidiana nell’amore (p. 108), soprattutto per i poveri che «sono carne di Cristo e, come un sacramento, lo rendono visibile ai nostri occhi» (papa Francesco, discorso del 25 ottobre 2024 all’Assemblea della diocesi di Roma).
Una fede che non si fa carità vissuta è inutile e contraddittoria
I diaconi «attestano a tutti che una fede professata che non si faccia carità vissuta, in particolare per coloro che sperimentano il bisogno e vivono situazioni di povertà, è inutile e contraddittoria, perché nega la sua stessa radice cristologica e trinitaria». Il diaconato è quindi un ministero costitutivo ed essenziale per la Chiesa del Vaticano II. Il diacono fa in modo che tutta la comunità cristiana viva secondo uno stile diaconale, incarnando il vangelo nell’amore concreto e fattivo per tutti (p. 161).
«Una Chiesa locale senza diaconi è squilibrata, è mancante di qualcosa di essenziale. Il diacono orienta a essere e a divenire Chiesa serva a immagine di Cristo servo. Aiuta la comunità a non pensare la fede cristiana come una religiosità staccata dalla vita, tutta presa dal sacro e dal culto, ma incapace di vedere Cristo nel povero. Favorisce una reale maturazione dell’unità tra fede e vita, senza separazioni indebite tra sacro e profano. I diaconi dislocano la Chiesa, la rendono estroversa, aperta al mondo […]. Il ministero del diacono correla cura e giustizia: attenzione concreta al bisogno della persona e trasformazione delle condizioni perché ci sia giustizia per tutti […]. I diaconi riconsegnano a una Chiesa sinodale voci scomode, troppo spesso dimenticate: il grido dei poveri, parole non clericali, parole di liberazione» (p. 162).
A servizio di una Chiesa povera e dei poveri
Con l’ordinazione, i diaconi sono resi capaci di servire a nuovo titolo la Chiesa serva, come il Cristo servo di Dio e dell’umanità: fanno in modo che tutta la comunità cristiana viva secondo uno stile diaconale e si preoccupi di incarnare il vangelo, cercando di essere non solo una Chiesa per i poveri, ma una Chiesa povera e dei poveri (Lumen gentium 8), al servizio del regno di Dio e dell’umanità intera (Gaudiun et spes 40).
Il diacono stimola, alimenta e sostiene l’opera dei laici e delle laiche in tutti gli organismi di assistenza, carità e solidarietà, fino anche a richiamare «il vescovo ad essere padre dei poveri e voce di denuncia e sostegno dei diritti di tutti» (p. 174). Del vescovo, anzi, il diacono è orecchio e occhio: orecchio in quanto «il diacono riconsegna la Chiesa a nuove voci e a nuovi linguaggi – il grido dei poveri, le parole non clericali che annunciano liberazione per tutto l’essere umano e per tutta l’umanità –, perché la Chiesa intera si riscopra diaconale e profetica, nel levare alta la voce perché la giustizia autentica sia data secondo il progetto salvifico di Dio»; occhio in quanto «il diacono riconsegna alla Chiesa nuovi sguardi sulla realtà: dalla parte del piccolo, del povero, uno sguardo dal basso e dal limite» (p. 185).
A servizio di una Chiesa samaritana e di una Chiesa della lavanda dei piedi
Il ministero dei diaconi si esprime nella promozione di due tratti caratterizzanti il Noi ecclesiale: riscoprire la vocazione permanente di essere una Chiesa samaritana in presenza di squilibri sociali, di migrazioni di massa, di ingiustizia economica, di civiltà tecnocratica e antropocentrica non rispettosa del creato; riscoprire la vocazione di essere una Chiesa della lavanda dei piedi in presenza di logiche autoreferenziali, autoritarie, clericali e indebitamente gerarchizzanti che segnano anche le relazioni all’interno della Chiesa (p. 168).
I diaconi testimoniano uno stile particolare nell’esercizio del potere: «spingono a prediligere un modello di servant leadership nella Chiesa, una leadership kenotica, che sa guardare dal basso e dalle periferie la realtà e sa guidare, senza imporsi, il cammino comune del popolo di Dio, per il superamento di ogni logica kyriarchica e ogni clericalismo impositivo» (p. 224).
I diaconi a servizio dei ricomincianti e dei dubbiosi
Nella catechesi il diacono avrà un contributo particolare da offrire nell’annuncio di una fede viva a chi da giovane o adulto chiede di diventare cristiano e inizia il catecumenato, o per chi – dopo anni di lontananza dalla Chiesa, segnato magari da esperienze negative di rifiuto – si avvicina come ricominciante e porta tutto il peso di dubbi di fede, di richieste di senso adulte, ragionate, che non si accontentano di risposte ingenue, di superficiali asserzioni, di imperativi morali immediati o di un ritorno automatico ai sacramenti» (p. 171).
Per un annuncio umanizzante
«I diaconi portano nei dibattiti ecclesiali temi spesso dimenticati come, per esempio il lavoro e le implicazioni sociali dell’annuncio cristiano (p. 172). La possibilità data al diacono di svolgere un’attività professionale e di partecipare responsabilmente alla vita sociale e politica è di stimolo e di aiuto perché il suo annuncio del Vangelo sia sempre «vivo, vitale e umanizzante» (p. 170).
Grazie alla presenza e al servizio dei diaconi, si può tornare «a riconoscere le case come luoghi di vita ecclesiale e a valorizzare le dinamiche della Chiesa domestica, con percorsi formativi, azioni diaconali, liturgie animate e dirette» proprio dai diaconi (p. 184). I diaconi «insegnano alla Chiesa intera – dai vescovi ai laici – a farsi toccare dalle persone, dai loro bisogni, dalla loro vita, in modo da vincere la tentazione di un cristianesimo disincarnato, rassicurante, rapsodico» (p. 163).
Dal momento che oggi i diaconi permanenti vengono eletti quasi totalmente tra persone già coniugate, va valorizzato il fatto che «gli sposati diaconi aiutano a superare le derive sacralizzanti nella spiritualità cristiana, per aprirsi a una più autentica unità tra fede e vita, servizio ecclesiale e servizio all’umanità; permettendo di oltrepassare la facile riduzione del ministerio ordinato al sacerdozio» (pp. 201-202). Inoltre, «la testimonianza di unione e amore di coppia rende più vere le parole dell’annuncio evangelico e catechistico del diacono, dando loro spessore e concretezza, evitando ricadute in linguaggi e prospettive clericali» (p. 198).
I compiti del diacono in un antico testo siriaco
A pag. 174 del suo saggio Serena Noceti cita un antico testo siriaco che elenca i compiti del diacono e che risulta essere di straordinaria attualità: «Il diacono compie e distribuisce solo ciò che il vescovo gli affida […]. Si prende cura dei malati, si preoccupa degli stranieri, è di aiuto alle vedove. Si interessa paternamente agli orfani ed esce ed entra nelle case dei poveri, per rendersi conto se non vi sia qualcuno sopraffatto dalla paura, dalla malattia o dal bisogno. Visita i catecumeni nelle loro case, per incoraggiare l’indeciso e insegnare all’ignorante. Riveste e adorna i defunti, seppellisce gli stranieri, si prende cura di quanti hanno lasciato il loro Paese o ne sono stati cacciati. Comunica alla comunità i nomi di coloro che hanno bisogno di aiuto».
Un articolo interessante tanto dal punto di vista teologico che storico. La vexata quaestio però è quale idea si ha del diaconato.
Ossia il diacono esercita il servizio della carità e della misericordia e allora gli si affidino i beni materiali perché attraverso le opere si mostri la fede.
Non si può esercitare uno dei munus limitandosi a offrire un sacchetto di cibo ai poveri che si affacciano in sacrestia quando i fedeli sono munifici.
Molti confratelli si rifiutano di pensare al diacono- salumiere ed è una realtà che si vive in tantissime diocesi.
Se si vuole che il diacono sia un servo della carità è necessario tornare agli albori del diaconato quando i diaconi effettivamente potevano spendersi per i poveri nelle chiese diaconie distribuendo beni attraverso i quali si sollevava le membra doloranti della chiesa.
Ma ciò comportò un potere enorme nelle mani dei diaconi che suscitò gelosie e invidie da parte dei presbiteri avendo assunto, i diaconi, un gradi di dignità pari a quello di un Vicario Generale.
Questa la prima riflessione.
Ancora.
La chiesa deve essere tutta diaconale e, quindi, non si può e non si deve limitare il servizio diaconale come ridotto oggi, a un solo munera ma bisogna riconoscere che con l’imposizione delle mani, la consacrazione conferisce i tria munera e, pertanto, carità, liturgua ed Eucarestia, senza che alcun munera sia a compartimento stagno ma vi sia una sinergia di amore ai battezzati nella carità, nella Parola e nell’ Eucarestia.
Storicamente non è mai esistito un diaconato permanente perché Dio è libero di chiamare quando e come vuole.
Nella prassi diaconale oltre al greco “semnos” in cui san Paolo detta il costume di vescovi e diaconi( i presbiteri sono sorti intorno al terzo secolo) vi è il termine ” batmos” ossia di un grado temporaneo del diaconato che poteva aprirsi, secondo la chiamata di Dio, al grado dell’ episcopato prima e del sacerdozio a partire di questo appunto nel terzo secolo.
La chiesa cattolica di rito bizantino vive ancora secondo questo indirizzo.
Nei primi secoli sono diversi i papi tratti dall’ordine diaconale .
Figuriamoci dunque.
Si potrebbe ancora e ancora dissertare ma, in ultima analisi e de facto, non necessita più stare a discettare sulla teologia sacramentale di questo primo grado dell’ Ordine ma vigilare da parte dei Vescovi ( che all’origine, già dal nome erano gli ispettori, i sorveglianti) il diaconato riassuma le sue triplici funzioni in una chiesa ministeriale serva come la concepì il mio venerabile maestro don Tonino Bello, una “chiesa del grembiule”, una chiesa dove,quando egli ordinava presbiteri i diaconi “osava sognare di non togliere mai quella stola di traverso”.
Allora non si tratta di una fuorviante lettura da parte di alcuni di clericalismo, ove la parola clericale nella sua eziologia sta per ” corona”, ma di capire che non vanno soffocati i cantieri dello Spirito Santo che ha ridonato il diaconato alla chiesa e al mondo senza che questo sua rimesso di volta in volta a paturnie o illuminate vedute di presbiteri che anziché esercitare un ministero della sintesi operano una sintesi di ministeri e, come osava ripetere don Tonino, sono spesso affetti dalla ” sindrome del condottiero”.
Bene. Lo capissero i presbiteri e i vescovi…
Carissimo confratello ti ringrazio della condivisione perché, nella mia umiltà, a volte mi domando se sia io che la vedo sbagliata. Ci benediciamo a vicenda.