Quasi en passant, in un articolo pubblicato su Riforma sull’assemblea annuale del Sinodo delle Chiese metodiste e valdesi (qui), si legge del voto negativo in cui è incorso un ordine del giorno in merito alla questione pastorale di come affrontare la mancanza di pastori nelle comunità locali: “Respinto invece, forse anche per la mancanza di un adeguato dibattito a causa dei tempi molto ristretti, l’atto sui predicatori locali, figure fondamentali di supporto e talvolta di ‘supplenza’ dei pastori in mancanza di questi ultimi, una situazione denunciata in più di un intervento nel corso di questo Sinodo”.
Una situazione urgente, quindi, a cui sembra non si sia riusciti a dedicare il tempo dovuto: appunto, quella di comunità cristiane senza ministero (ordinato) e di come gestire la celebrazione in assenza del ministro preposto al culto. Condizione, come abbiamo accennato già più volte su SettimanaNews, che riguarda tutte le Chiese cristiane – in Europa, ma non solo. E a cui tutte le Chiese sembrano fare fatica a dedicare l’attenzione dovuta. Non solo la Chiesa cattolica, dunque, ma anche quelle nate dalla Riforma.
Un collega dell’università di Flensburg, il prof. Ralf Wüstenberg che è anche pastore a Berlino, in uno dei nostri dialoghi sul ministero nelle Chiese luterana e cattolica, ricordava sovente che la nomina d’ufficio di “predicatori locali” – in ragione di urgenze pastorali – era, dal suo punto di vista, problematica per il senso e l’identità del ministero dei pastori nelle comunità locali e nella Chiesa (luterana) nel suo complesso.
Per quanto il quadro teologico del mandato ecclesiale al ministero di pastore/a sia diverso da quello sacramentale della Chiesa cattolica, nella prassi pastorale e nell’edificazione della comunità locale si pongono questioni che sono molto simili tra loro.
Ora che la cosa emerge con chiarezza anche in Italia, è forse giunto il momento di iniziare a pensare insieme il senso e la destinazione del ministero (ordinato) nelle Chiese – non solo da un punto di vista dogmatico e teologico-sacramentale, ma anche e soprattutto da quello pastorale e di prassi quotidiana nella vita delle comunità cristiane.
Uno degli aspetti che risulta ancora divisivo tra le Chiese cristiane, mostra invece risvolti pratici che le rende di fatto molto più vicine tra di loro di quanto si possa usualmente pensare – soprattutto se si guarda solo alla propria Chiesa. Insieme si potrebbe non solo apprendere gli uni dagli altri, ma anche interrogarsi sull’incidenza che hanno le condizioni reali delle comunità credenti sulla comprensione teologica di un ministero che a esse, nella loro concretezza attuale, dovrebbe essere destinato.
In modo da non essere accomunate solo dalla fatica nel mettere mano alla questione, o nel fare finta che essa non esista (che è la via cattolica percorsa da decenni in merito), ma anche da uno sforzo condiviso nell’elaborare soluzioni all’altezza della situazione concreta della fede oggi – senza per questo dover rinunciare al patrimonio storico della propria tradizione ecclesiale.