Sono stato nella parrocchia vicina a trovare don Piero. Lo scopo era soltanto quello di fare due chiacchiere e prendere un aperitivo con un vecchio saggio che ha sempre in casa dell’ottimo prosecco. È arrivato nella parrocchia di San Giustino, limitrofa alla mia, da qualche anno, al termine di un ventennio di onorato servizio in una delle parrocchie più prestigiose della diocesi. Rifiutando promozioni o titoli onorifici di cui non sa che cosa farsene, si è messo a disposizione del giovane parroco come vicario. Qualche volta lo chiamo anch’io per le messe o le confessioni, e così gli sono diventato amico.
La prima volta che l’ho incontrato – e che ho cominciato ad apprezzare il suo prosecco – mi ha detto ridendo: «Tanti preti della mia età si sentono “rottamati” dal vescovo o dimenticati dalla diocesi. Io non sono mai stato così bene come da quando ho dato le dimissioni da parroco». In effetti è proprio così: don Piero è tutto fuorché un prete dimissionario. La diminuzione della responsabilità non ha coinciso con un rinsecchimento del suo ministero o un inasprimento del suo carattere; in realtà, l’ha rilanciato, gli ha permesso di scoprire un modo diverso di fare il prete. Anche la sua umanità ne è uscita migliorata.
Devo dire che quel che mi colpisce più di lui è la leggerezza con la quale vive ogni cosa. Don Piero non si prende troppo sul serio. La sua non è la leggerezza dell’uomo superficiale o di chi rimane distante dalle situazioni. Il fatto di non essere troppo preoccupato per se stesso lo rende più attento, ma senza alcun affanno e pretesa nei confronti degli altri. È la freschezza di chi ha imparato a fidarsi della provvidenza. Così riesce ad ascoltare, appassionarsi, compatire ma senza l’affanno o la pretesa di aver una parola o un ruolo decisivo. Fa un po’ invidia il suo modo di vivere: avremmo tutti bisogno di maggior leggerezza. Rende possibile fare molto con la semplicità di chi crede di non fare nulla di straordinario.
Mi chiedo quale sia il suo segreto. Non ho la pretesa di scoprirlo, anche se lui lascia intravedere qualche indizio preciso. Per esempio, ha conservato molte amicizie. In tanti vengono a trovarlo e si capisce che sono rapporti liberi e gratuiti. Di sicuro, con i vecchi amici non “sparla” dei suoi successori e nessuno di loro si rivolge a lui come ad un guru o un santone (i supporter fanatici non li sopporta e non ama circondarsi di pretoriani). Altre volte è lui che si muove e scappa a far visita a parenti, confratelli, conoscenti, senza disdegnare una buona cena. Insomma: ha una vita sociale invidiabile!
Non solo relazioni però. Don Piero è un uomo da molti interessi. Quando vado a trovarlo, gli presto sempre l’ultimo romanzo che ho letto, e lui non manca di suggerirmi articoli di riviste, testi di meditazione, commenti pastorali e teologici. Si è rimesso anche a studiare. I suoi interessi non si fermano certo alle questioni ecclesiali: ama l’arte, visita le mostre e i musei e gira per la città con la macchina fotografica per coglierne qualche scorcio di bellezza.
Ma al di là dei molti amici e tanti interessi io so che il segreto più vero di don Piero è che la sua fede è ancora viva. Lo capisco da come prega, quando lo vedo in chiesa; lo comprendo dai suoi interventi nella lectio settimanale che condividiamo con altri confratelli.
Una presenza come la sua è un toccasana per le nostre parrocchie. Ogni tanto lo prendo in giro e gli dico: «Tu, don Piero, sei meglio di un ansiolitico». Perché è proprio così: riesce a disinnescare molte tensioni, a rasserenare i conflitti e a contenere gli attivismi frenetici che spesso complicano la vita delle nostre comunità. Lo fa anche con me: passare da lui mi fa bene, perdere tempo in sua compagnia mi rasserena, bere un prosecco a casa sua è divenuto terapeutico.
La mia parrocchia sta in piedi grazie alla generosità e all’impegno di molte persone. Dalla catechesi alla manutenzione, dalla liturgia alle attività sportive, grazie a Dio possiamo ancora contare su volontari tenaci, e forse molte persone ci sono grate proprio perché permettiamo loro di sentirsi vivi e utili per qualcuno. Non manca, insomma, una bella generosità e una buona operosità. Quello di cui invece avverto una certa carenza è proprio la leggerezza. Avrei bisogno anche qui di uno come don Piero. O, forse, dovrei aprire gli occhi e accorgermi che persone così ci sono ancora. Uomini e donne che hanno imparato l’arte di non prendersi troppo sul serio; di vivere con serenità, di invecchiare anche in mezzo agli acciacchi e alle fatiche senza perdere il buon umore. Capaci di dedizione senza strafare e di tirarsi da parte quando è il momento.
Mi ricordo che, qualche anno fa, era stata lanciata la campagna di Pubblicità Progresso dal titolo “Adotta un nonno”. Penso che per le nostre parrocchie se ne dovrebbe fare una al contrario: lasciamoci adottare da un nonno. Io ho già scelto don Piero come mio tutor; vorrei che tanti miei parrocchiani trovassero presenze leggere e rasserenanti da cui lasciarsi accompagnare e da cui imparare la confidenza nella provvidenza del Padre. Per vivere anche noi con la leggerezza e la grazia dei gigli del campo e degli uccelli del cielo.
don Giuseppe