In queste note vorrei offrire alcune riflessioni di natura teologica su due cautele che, a mio parere, si dovrebbero avere nel processo decisionale relativo alla possibile introduzione dell’ordinazione delle donne al diaconato permanente.
Anche se mi trovo tendenzialmente in sintonia con un’opzione del genere, mi pare che vi siano ancora delle questioni aperte di cui occorre essere ben consapevoli in questa fase del cammino ecclesiale, per evitare di fare scelte poco avvedute e molto divisive.
In che modo la Tradizione è normativa?
Una prima questione riguarda il problema teologico della Tradizione.
Com’è noto, la possibilità di ordinare le donne al diaconato permanente è stata propiziata da una serie di studi, anche recenti, nei quali si è mostrato come nell’antichità siano esistite delle diacone ordinate con l’imposizione delle mani.
Non possiamo affermare con certezza che questa prassi sia stata riconosciuta come legittima sempre e da tutte le Chiese locali, dal momento che le fonti molto antiche di cui disponiamo gettano luce solamente su ciò che è avvenuto in alcuni territori e per alcuni periodi. In ogni caso, è indubbio che le diacone siano esistite.
Nello stesso tempo, però, tali studi hanno evidenziato come il loro ministero non fosse analogo a quello maschile, ma fosse relativo esclusivamente al mondo femminile. Dunque, come è naturale che sia, lo studio dei documenti antichi non ci consegna dei dati dal significato inconfutabile, ma una serie di elementi che devono essere interpretati.
A prima vista, tale interpretazione pare un’operazione molto semplice. Oggi sembra evidente che la destinazione dell’antico ministero diaconale femminile alle sole donne sia stata motivata dalla mentalità patriarcale caratteristica dell’età patristica. Ciò non toglie, però, che, ai nostri giorni, il ripristino di quel ministero potrebbe avvenire solo in termini paritari rispetto a quello maschile, e quindi comporterebbe l’attivazione di una forma ministeriale che non è mai esistita nella Chiesa. La cosa è legittima?
Per rispondere a questa domanda, occorre chiarire, dal punto di vista teologico, in che modo la Tradizione sia normativa per la Chiesa. Si può introdurre solo ciò che è già stato presente in passato o ci sono dei margini di cambiamento o, addirittura, di creatività? In effetti, di fatto la Tradizione ha subìto molti sviluppi, talora anche discontinui, anche nella teologia del ministero ordinato.
La domanda, quindi, diventa come discernere la legittimità di un cambiamento della prassi antica. La questione non è banale. Possiamo, ad esempio, rinunciare all’episcopato, o utilizzare altri alimenti rispetto al pane e al vino nella celebrazione dell’eucaristia in nome della volontà dello Spirito? Ovviamente no.
Non serve a molto rimandare il problema al magistero, dal momento che il papa e gli altri vescovi svolgono il loro servizio di discernimento autorevole della volontà divina in modo assolutamente umano, confrontandosi con il senso di fede delle loro comunità e, in particolare, con quanto emerge dalla riflessione teologica che scelgono di frequentare. Anch’essi, insomma, hanno bisogno di capire in che modo la Tradizione è normativa, e fino a che punto si possono introdurre dei cambiamenti rispetto a quanto è avvenuto in passato.
Ora, a mio parere, la teologia cattolica contemporanea non è in grado di dare una risposta condivisa a questa domanda.
A complicare la questione, vi è la crescente incidenza di una visione teologica che definirei antropocentrica – non semplicemente antropologica –, secondo la quale, dal momento che l’umano è destinatario della rivelazione, ciò che emerge di genuino e di umanizzante da un contesto antropologico, ovvero da determinate istanze culturali, deve essere considerato espressione del volto del Dio di Gesù Cristo e del suo volere sulla sua Chiesa e sull’umanità.[1] Nel caso del diaconato femminile, il fatto che la parità tra uomo e donna sia un valore culturale sicuramente autentico e condiviso nelle società occidentali – almeno, in teoria –, fa sì che, secondo la visione in esame, l’ordinazione diaconale delle donne sia certamente legittimata.
In questa prospettiva, la domanda sul modo in cui la Tradizione è normativa per la vita della Chiesa perde di significato. Le idee e le prassi del passato diventano semplicemente un repertorio da cui attingere liberamente per costruire una Chiesa, anzi un cristianesimo, che si fa plasmare dalle istanze culturali. E, siccome le culture sono molteplici e differenti, questo approccio comporta inevitabilmente una frammentazione del tessuto ecclesiale e, alla lunga, una rottura della comunione tra le Chiese locali.
In realtà, se si assume questa fondazione antropocentrica della teologia, cioè determinata primariamente dalle istanze culturali, molti aspetti della dottrina della fede vengono compromessi. Ad esempio, la convinzione che il vescovo di Roma sia il successore di Pietro, e che, in quanto tale, possa esercitare il suo attuale ministero primaziale, non regge più. In fondo, nel Nuovo Testamento non si parla mai di un legame tra l’Apostolo e il papa, e i recenti studi hanno messo in evidenza come esso cominci ad essere formalizzato solo intorno al IV–V secolo.
Più ancora, sul piano culturale, un ruolo così autorevole come quello del pontefice non ha alcuna giustificazione. Nelle società liberali il potere è delegato dal popolo e ha sempre una durata prestabilita. Dunque, assumere le istanze culturali come espressione della rivelazione divina significa anche far cessare il ministero del vescovo di Roma così come si configura oggi, e instaurare nella Chiesa un regime democratico.
Insomma, chi si appropria indebitamente delle istanze di riforma giustamente invocate da papa Francesco per decostruire il valore normativo della Tradizione dovrebbe considerare che questo approccio compromette anche l’autorità dello stesso pontefice, che non ha altro fondamento teologico se non nella Tradizione stessa.
Dunque, la riflessione sul diaconato femminile non può essere determinata primariamente dalle istanze culturali, ma richiede una risposta previa alla domanda sul modo in cui la Tradizione sia normativa, cioè su come l’intera Chiesa, guidata dal papa e dagli altri vescovi, possa capire quali cambiamenti sia legittimo introdurre anche nella sua struttura ministeriale. Solo a quel punto si potrà eventualmente stabilire che la destinazione delle diacone dell’antichità al solo mondo femminile può essere superata, e offrire alle donne cattoliche di oggi un ministero diaconale con le stesse caratteristiche di quello maschile.
Al contrario, se un’opzione del genere fosse maturata semplicemente per corrispondere alle istanze culturali relative alla parità tra uomo e donna in base alla loro presunta normatività teologica, si fonderebbe l’ordinazione femminile in modo aleatorio e si alimenterebbe una mentalità estremamente pericolosa e potenzialmente divisiva per la teologia e la vita della Chiesa.
La riduzione del servizio diaconale a quello battesimale
Una seconda questione riguarda l’identità ministeriale del diaconato.
Da circa trent’anni, da quando ho iniziato ad occuparmi della formazione dei diaconi permanenti, cerco di divulgare la convinzione che il ministero diaconale non sia per il servizio tout court. Questa frase può apparire problematica, anche in considerazione dei recenti interventi magisteriali, ma ovviamente deve essere capita bene.
La teologia del diaconato dovrebbe prendere le mosse dalla premessa che il battesimo, completato dalla cresima e alimentato dall’eucaristia, è un fondamento sacramentale ampiamente sufficiente per il servizio all’interno della Chiesa, e anche per “svegliare” le comunità cristiane, ricordando ad esse la vocazione ad avvicinarsi ai lontani, a stare dalla parte degli ultimi, a promuovere una società più umana e a tutelare l’ambiente.
Al contrario, affermare che soltanto il diaconato abiliti ad un’operosità di questo genere significherebbe mettere in discussione la teologia del battesimo, e pure andare contro all’evidenza. In ogni comunità vi sono uomini e donne non ordinati che, per i loro carismi e il loro stile di vita, richiamano tutti all’attenzione ai poveri e alla cura del creato.
Se la logica ha ancora un valore nella Chiesa, occorre spiegare in che senso i diaconi abbiano il compito di “svegliare” le comunità, se di fatto anche altri credenti lo possono fare semplicemente in virtù del loro essere cristiani, a volte in modo migliore rispetto a chi è ordinato.
Questo problema non può essere risolto ridimensionando le capacità di servizio che derivano dal battesimo per valorizzare quelle diaconali. È molto più importante valorizzare la ministerialità di tutti i battezzati non ordinati che il diaconato permanente.
Si può, invece, ricorrere ad un’ecclesiologia di tipo platonico, affermando che il diacono è conformato al Cristo servo, e quindi richiama la comunità al servizio semplicemente per il fatto di essere ordinato, a prescindere da quello che effettivamente fa. Tuttavia, non viviamo più in un contesto culturale che possa dare un senso a un’ecclesiologia di questo tipo, per cui oggi una visione del genere risulterebbe incomprensibile.
Inoltre, il modo di impiegare i diaconi nelle parrocchie e nelle diocesi dimostra che il servizio della soglia, al di là delle proclamazioni teoriche, non è realmente al centro del loro ministero.
Diversi di loro dedicano la maggior parte del loro tempo a compiti che non hanno nulla a che vedere con la vicinanza al mondo della marginalità o dei lontani dalla fede. Ad esempio, dirigere un ufficio in curia, occuparsi di amministrazione, fare catechesi o lavorare nella pastorale familiare sono attività diverse da quelle caritative o di evangelizzazione di chi non è cristiano.
Infine, i diaconi normalmente hanno un’attività professionale che si svolge all’esterno dei confini ecclesiali, e fino alla loro pensione possono offrire una disponibilità di tempo molto più limitata di quella di altri soggetti ecclesiali, come i presbiteri, i religiosi e i volontari pensionati. Anche dopo la fine della loro attività lavorativa, poi, le difficoltà di salute o gli impegni familiari possono renderli meno disponibili al servizio rispetto ad altre figure ecclesiali, magari dedite a tempo pieno alla loro comunità.
La visione che potrebbe aggirare tutte queste criticità è quella di pensare il diaconato non in funzione del servizio ecclesiale tout court, ma come un ministero di leadership volto a guidare autorevolmente, in virtù del carisma ricevuto con l’ordinazione, dei gruppi di credenti, preferibilmente quelli che nelle comunità cristiane operano sulla soglia, cioè si occupano dei poveri, dei lontani e dell’ambiente.
In questo modo, il diacono diventa icona di Cristo servo non perché sia maggiormente al servizio degli altri, ma in quanto è la guida autorevole e il portavoce di quei battezzati che, per carisma personale, esprimono in modo più evidente l’estroversione della loro comunità ecclesiale.
Un servizio del genere, essendo una forma di leadership, può non richiedere molto tempo, anche se esige comunque una formazione teologica e pastorale ben superiore a quella attualmente richiesta nelle nostre Chiese locali ai candidati al ministero diaconale.
Ora, tutto questo è molto rilevante anche per il diaconato femminile. A mio parere, qualora papa Francesco decidesse di autorizzarlo, le probabili forti resistenze ad una leadership femminile nella Chiesa cattolica potrebbero spingere a livellare ancora di più il servizio diaconale su quello battesimale. Così sia i diaconi sia le diacone non avrebbero alcun ruolo autorevole, ma sarebbero semplicemente uomini e donne che si sono distinti per il loro servizio e che quindi sono stati premiati con l’ordinazione.
Questo pregiudicherebbe alla radice quell’auspicata riqualificazione della soggettualità femminile nella Chiesa cattolica che ci si attende dall’eventuale ordinazione delle diacone.
Questo rischio rende necessario riqualificare il diaconato maschile prima o durante il processo di discernimento sull’eventuale riattivazione del diaconato femminile, perché quest’ultimo non trascini anche il primo verso un ruolo ministeriale ancora più debole dell’attuale, sostanzialmente analogo a quello battesimale.
Questo sarebbe un disastro sul piano pastorale, anche perché renderebbe ancora più consolidata l’idea che il vero servizio ecclesiale suppone il diaconato, e che la ministerialità battesimale è qualcosa di informale e di incompleto.
In realtà, sono proprio i battezzati non ordinati la risorsa più abbondante e strategica di cui la Chiesa di ogni tempo dispone per svolgere la sua missione.
[1] Su questo punto, cf. M. Nardello, La normatività delle Scritture in alcune elaborazioni teologiche contemporanee (qui).
– Cristo ha fondato una comunione.
– I Diaconi furono istituiti per ovviare alle “mormorazioni” sorte in seno alla comunità primitiva. Il “servizio alle mense” era lo strumento per conseguire il fine del ristabilimento dell’armonia e della comunione.
– In questa prospettiva si deve studiare, riflettere, pregare per l’eventuale istituzione del Diaconato femminile.
Da ragazzo di campagna, guardo in che deserto versano le chiese nordeuropee e le nazioni che ormai di cristiano hanno solo la croce nella bandiera e diverse nemmeno quella; rilevo che là sono molto più avanti, hanno da tempo ampiamente metabolizzato le titubanze teologiche nostrane e sono già arrivati alle vescovesse con moglie annessa. Evidentemente sto troppo nell’orto e penso ancora, povero sprovveduto, che l’unica cosa di cui c’è bisogno sia la conversione, quando invece è il diaconato alle donne
Due cautele ??? Siamo circa 400 anni in ritardo rispetto alla modernità e circa 2000 anni in ritardo rispetto alla laicità di Gesù, e dovremmo ancora avere cautela ? Suvvia
Grazie don Massimo per questo articolo. È importante ragionare su questi temi e la tua analisi è assolutamente coerente. Mi trovi poi pienamente d’accordo sul diaconato permanente che è destinato a trovare una sua identità o a scomparire. Spero poi che presto possa scomparire l’avverbio e si possa parlare finalmente solo di diaconato, maschile/femminile che sia.
Purtroppo il richiamo alla tradizione fa molta paura.
I discorsi pacati anche.
È chiaro che prima di ogni istanza di cambiamento si dovrebbe comprendere fin dove possiamo spingerci.
Fin dove possiamo arrivare.
Mi sembrano domande lecite e doverose.
Domande che mettono in crisi coloro che non riconoscono l’esistenza di limiti, che non vogliono rinnovare la Chiesa ma fare una chiesa nuova.
Sono due cose diverse.
La pace del Signore sia con tutti voi anch’io volevo lasciare un commento avendo letto l’argomento, e avendo letto anche qualche commento che è stato rilasciato, nella lettera ai Romani scritta da San Paolo capitolo 16 verso 1 ( ora io vi raccomando febe nostra, che è diaconessa della chiesa che è in cencrea. Questo è un passo biblico riferito alla diaconessa ma se qualcuno vuole leggere la lettura che segue noterà che vengono menzionate tante altre donne che si sono affaticate nell’opera del Signore quando Gesù viene presentato nel tempio oltre a Simeone interviene anche, interviene anche la profetessa Anna che cominciava a parlare a tutti di Gesù, nel vecchio testamento abbiamo diversi esempi di donne che hanno servito il Signore la profetessa Debora la profetessa ulda , è anche Miriam sorella di Mosè anche lei era profetessa . Iddio si è usato prevalentemente sempre della figura maschile anche Gesù chiama al suo seguito gli apostoli che sono uomini ma in qualche passo del vangelo leggiamo che certe donne sostenevano l’opera di Gesù e degli apostoli con i loro averi, tutti siamo chiamati a servire questo grande Iddio Gesù ebbe a dire pregate Il signore della messe affinché spinga degli operai nella sua messe ognuno ha la sua parte che sia uomo o che sia donna tutti possiamo contribuire all’Opera di Dio la pace del Signore sia con tutti voi.
Caro Nardello ci puoi cortesemente dire che e’ la TRDIZIONE ?
E’ il ripertere il gia fatto e fare come si e’ sempre fatto?
O e’ aprire gli occhi perche la RIVELAZIONE CONTUNUA e deve illuminare anche l’oggi e il domani affrontando problemi che la storia NON conosce?
Per la tradizione gli schiavi devo fare gli schivi
La democrazia e’ una male.
Liberta’ di pensiero e di religione una bestemmia.
Le donne facciano la mamme le spose le serve della casa e tacciano …..Almeno su questo Gesu’ ha rotto i tabu ma non ci siamo dimenticati.
Diceva il santo Ortensio da Spoletoli l’ultima parola del Vangelo NON e’ ancora stata scritta , cioe la rivelazione continua e lo Spirito Santo soffia ancora e bene anche se una certa gerarchia NON lo sente perche per loro lo Spirito Santo di fatto NON esiste perche ci sono loro che si credono Alter Christus.
La tradizione ci aiuta a capire come il messaggio e’ stato interpretato adattato vissuto lungo i secoli della storia, NON puo’ legge per l’oggi o per il domani ma solo luce per aiutarci ad interpretare e gestire i problemi e i valori che la storia ci offre
Non condivido l’ articolo di Massimo Nardello. Innanzitutto le perplessità circa i compiti attuali del diacono potrebbero essere riferite anche al presbitero. Anche loro spesso fanno di tutto fuorché i pastori della loro comunità. In secondo luogo la stessa perplessità circa la normatività della tradizione si può avanzare anche per quanto concerne il celibato dei preti. La tradizione parla chiaramente delle modalità per scegliere un vescovo: che sappia governare la propria famiglia e la scelta veniva fatta dal popolo di Dio (Timoteo e Didache’). Bisognerebbe sfrondare veramente tutto quello che è stato aggiunto nei secoli, non tanto per cultura, quanto per interesse politico ed economico dell’istituzione. Dove è scritto che il pontefice deve essere vescovo di Roma? Ma soprattutto dove è scritto che il pontefice deve essere anche capo di uno stato? Dovrebbero cadere veramente tante cose. Nelle chiese nascenti apostoliche non c’era tutta questa separazione tra l’essere maschio o femmina, chi presiedeva l’eucarestia poteva essere anche una donna. Tutte queste differenziazioni sono venute in seguito e non sempre per adeguamento culturale. Nei secoli la chiesa si è appesantita di tante strutture ad imitazione del potere civile. Ora fa fatica ad immaginarsi in altro modo. Chi non vuole la leadership delle donne e dei maschi è la gerarchia che non vuole perdere il suo potere. Si gira e rigira intorno alla teologia o alla tradizione per proteggere un potere che non ha niente a che fare con il messaggio evangelico. Il mio sogno è che questo impero crolli per lasciar spazio alla vera chiesa di Gesù.
Il Papa è vescovo di Roma perché successore di S. Pietro, primo vescovo di Roma dove è sepolto.
Nessuno dice che il Papa DEVE essere anche un capo di stato.
Da dove ha ricavato la notizia secondo cui nella Chiesa nascente poteva presiedere l’Eucarestia anche una donna? Troppa immaginazione!
Nessuna immaginazione, sono convinta che Gesù ha affidato il suo memoriale non ad un gruppo ma alla comunità dei credenti, del resto lui stesso ha detto “dove sono due o più riuniti nel mio nome io sono in mezzo a loro”. Ritengo che l’ordine sacro sia un’ aggiunta successiva. Non penso che fosse nell’intenzione di Gesù istituire un ordine sacerdotale, dal momento che lui stesso non era né scriba, né sacerdote, ma un semplice ebreo. Ma sono mie convinzioni. Che però tutta la teologia presbiterale debba essere rivista penso che questa sia una necessità ormai da tutti sentita.
Le assicuro non solo la sua ma anche la mia opinione e penso anche quella delle Comunità di Base: Gesù non ha istituito nessun ordine sacerdotale, né è pensabile che il Figlio di Dio volesse dividere gli uomini in appartenenti ad una o ad un’altra religione. “Fate il volere del Padre mio che è nei cieli”: questo è il comandamento di Gesù.
Comprendo le valutazioni esposte ma mi pare utilizzino il medesimo approccio che blocca le istanza sinodali. “vabbè lo Spirito , vabbè il popolo di Dio, ma non possiamo mollare sulla tradizione altrimenti qui finiamo come le chiese protestanti” Mi scuso se la frase sembra un pò triviale ma è per esprimere quello che sento.
Capisco che l’apertura faccia far fatica, comporti dei rischi ma dobbiamo tornare a RESPIRARE come cristiani e fidarci dello Spirito.
Chi ci dice che lo Spirito suggerisca ciò che in fondo non è riscontrabile in una tradizione millenaria? L’appello allo Spirito è usato almeno dai tempi del Montanismo ed è stato usato anche dai protestanti ([1]). Ma lo Spirito non è spirito di contraddizione, tutt’altro. Se lo Spirito vuole davvero l’ordinazione femminile al diaconato, sono certo che all’interno della Chiesa e nel segno dell’umiltà ciò accadrà. Non accadrà certo con le “ordinazioni” clandestine, le colonizzazioni ideologiche e le dottrine nebulose.
[1]: https://catholicstand.com/montanus-and-the-problem-of-hearing-the-holy-spirit/
In realtà nelle mie intenzioni, il mio intervento andava nella sua direzione.
Ringrazio per il link lo leggerò volentieri per approfondire.
Alcune affermazioni dell’articolo sono sul piano storico ben difficilmente condivisibi e altre fondate su presupposti erronei.
Vi si legge tra l’altro: “Possiamo, ad esempio, rinunciare all’episcopato…? Ovviamente no.” L’autore poi continua parlando dell’eucarestia, mescolando una prassi legata a una disposizione di Gesù con un fatto (l’episcopato) di cui Gesù non aveva parlato.
E’ bene quindi ricordare: che l’episcopato non è una istituzione voluta/richiesta da Gesù ma una forma di governo affermatasi lentamente (e tra conflitti interni alle comunità) più o meno dalla fine deI I o inizi del II secolo (per es. ad Antiochia) e in altre comunità solo verso la fine del II o inizi del III sec. (Roma e Alessandria); che le comunità di Paolo non avevano nemmeno presbiteri, ma ciascuna “diaconi ed episcopi” (n.b.: ciascuna comunità aveva più episcopi, il che significa che il loro ministero era diverso); che proprio l’episcopato, per avere almeno un fondamento/indirizzo evangelico, dovrebbe in realtà essere rivisto nell’ottica del servizio alla comunità e non della gestione del potere (scandalosamente ancora oggi si dice di un vescovo ordinato che prende “possesso” (sic!) della diocesi cui è destinato).
Altrettanto problematica è l’affermazione contenuta nell’articolo “Oggi sembra evidente che la destinazione dell’antico ministero diaconale femminile alle sole donne sia stata motivata dalla mentalità patriarcale caratteristica dell’età patristica”. Oggi sembra evidente? Ma a chi e per quale motivo?
Totalmente fuoristrada è l’articolo dove presenta il diaconato “come un ministero di leadership volto a guidare autorevolmente, in virtù del carisma ricevuto con l’ordinazione, dei gruppi di credenti, preferibilmente quelli che nelle comunità cristiane operano sulla soglia, cioè si occupano dei poveri, dei lontani e dell’ambiente” e dove dice che “il diacono diventa icona di Cristo servo non perché sia maggiormente al servizio degli altri, ma in quanto è la guida autorevole…”
Alle origini, in particolare secondo il comandamento di Gesù, non ci sono guide per suo espresso comandamento di non chiamare (e non farsi) guide, maestri, e altro… Naturalmente i suoi stessi discepoli hanno ragionato (non tutti e non sempre) diversamente. E strada facendo, nel corso di un processo plurisecolare, si è prodotta la piramide che abbiamo, la quale al suo vertice è così attaccata al potere (piuttosto che al servizio) che teme una riforma, invece di desiderarla.
Per una sana immersione nella storia del cristianesimo antico, consiglio di M. Simonetti, “Il vangelo e la storia” (più volte riedito).
Dalle donne ho solo da imparare. A quelle da cui ho imparato di più (come vita evangelica) non gliene frega nulla di accedere al sacerdozio; sanno qual è il primato e hanno scelto la parte migliore. Altrimenti, chi ci salverà dal clericalismo? (Sono infatti convinto che le donne saprebbero essere clericali come i maschi). Luigino Bruni lo ha espresso bene qualche settimana fa:
https://www.osservatoreromano.va/it/news/2024-03/dcm-003/ma-il-sacerdozio-non-e-la-soluzione.html
Quante chiacchiere.
Si parla di uguaglianza e di parità e la Chiesa è la prima che discrimina.
Non solo diacone, ma donne sacerdote l, vescovo, cardinali, Pape.
Questo è ciò che vorrei.
Ma.. guardi, più cauti di così (soggetto : la Chiesa).. Si muore..!! Fate voi
Fra un “caveat” e l’altro andiamo avanti così .. vedremo come aumenteranno le “battezzate” che non contano niente a nessun livello . Rispondere ad “istanze culturali” sarebbe lesivo della Tradizione con la T maiuscola ? Ma la tradizione cambia e si evolve col tempo , se non c’è evoluzione si vive imbalsamati , già morti dentro . Pensaci , non è forse cambiato il mondo , e la chiesa stessa , nel corso dei secoli ? Non c’è stato un uomo che ha detto “non è il Vangelo che cambia , siamo noi che cominciamo a comprenderlo meglio” ? Se questo sforzo lo ha proposto per un papa per la comprensione del Vangelo , non possiamo farlo anche noi con la Tradizione ?
In questi giorni sta uscendo il mio volume sui talenti della donna dal Creatore a Gesù
Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò. Così cita la Scrittura.
Dinanzi a Dio quindi l’essere maschio o donna non fa’ alcuna differenza. Il tratto somatico distingue il maschio dalla femmina nella sua struttura, ma non nella sua essenza. Lo stesso Adamo chiamando la donna a lui presentata: carne della mia carne e osso delleie ossa sancisse questa verità s lui chiara senza bisogno di chiarimento alcuno. Questo dovrebbe servire a considerare il diaconato femminile alla pari dinanzi a Dio.
Sono il diacono Mario D’ELIA della diocesi di Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi.
Negli ultimi tempi ho trattato il tema della diaconia della donna nella storia della salvezza e precisamente di 7 donne scelte tra antica e nuova alleanza.
Il libro è: Il volto femminile della diaconia.
7 espressioni diverse di una medesima diaconia che il tempo ha sempre più evidenziato presente nella donna.
Il diaconato permanente, per mia esperienza, non risponde alle esigenze che la chiesa chiede. Nella maggior parte riveste il ruolo di un vice parroco. È troppo legato alle mode del tempo e non alla tradizione cristiana. Nemmeno la scelta del diacono mi convince, perché il diaconato è una carica elettiva di una comunità avvallata dal parroco. Invece è il parroco che sceglie e in alcuni casi c’è l’ auto candidatura. Non parliamo del discernimento, segue lo stesso iter formale di un concorso pubblico. Secondo una mia visione del problema donna diaconessa, una strada da percorrere non è l’ eguaglianza dei sessi, argomento tanto giustamente caro ai movimenti femministe, ma i ruoli da rivestire e qui ritorniamo al ruolo del diacono nella chiesa.
Che io ricordi le diaconessa in cui parla la bibbia è molto vago e quando entra in merito parla di donne pie, non sposate e/o vedove, a cui sono assegnate la presenza costante nel tempio, la preghiera e le opere di carità. È da qui che dovrebbe partire il diaconato donne e non dalla moda del mondo. Ad ognuno i propri carismi.
Buona giornata
Attento… Il diaconato,con il Sacramento e la Grazia dell’Ordine non è una scelta individuale o della comunità o dell’invito di qualche parroco … È la CHIAMATA, e ben precisa ed a volte anche molto difficile e non così immediata nella risposta….L’altro braccio del Signore sulla Croce,vordinato per il servizio, sì,ma ORDINATO…Spesso però non ci rendiamo conto del valore,del peso,della gioia ovviamente che ci dà la Grazia Sacramentale del nostro ministero ove e come comunque lo svolgiamo… È la forza che mi ha sempre dato la VOCAZIONE…
Devo dire che trovo stuzzicanti queste osservazioni teologiche sul diaconato femminile. Mi stupisce molto che ad oggi la Commissione sul diaconato femminile, voluta da papa Francesco, non abbia ancora prodotto alcun documento sul quale riflettere. Temo un altro caso simile a “Fiducia supplicans’.