Prisca, Cloe, Febe, Ninfa sono nomi di donne che compaiono nelle lettere di san Paolo. Con ogni probabilità erano donne che avevano messo a disposizione della Chiesa le loro sostanze. Ma il ruolo di “benefattrici” le appagava o cercavano nella Chiesa uno spazio in cui esprimere più compiutamente i doni di cui si ritenevano dotate? L’insegnamento, ad esempio. I loro desideri si scontrarono con i maschi che dirigevano quelle comunità. Essi si sentivano minacciati da queste pretese femminili che – a loro giudizio – scardinavano il giusto ordinamento civile ed ecclesiastico. Erano viste come minaccia all’ordine stabilito. Per non aderire alle loro richieste, queste donne venivano tacciate di essere altezzose, corruttrici dei costumi, immorali, pettegole, oziose… Insomma, nella comunità i ruoli dirigenziali erano appannaggio dei maschi e le donne rimanevano relegate al loro compito di spose e di madri. Quello che avveniva nella società civile – il tentativo di emanciparsi da parte delle donne – avveniva anche nelle comunità cristiane. Alcune donne, soprattutto se facoltose e istruite, sentivano di poter dare un contributo originale sia alla società che alla Chiesa. Ma la loro istruzione, anziché essere ritenuta un dono per la comunità, era vista come un pericolo, tanto che la “mulier docta” era temuta e controllata. Gli spazi dell’onorabilità sociale della donna rimanevano il matrimonio e la maternità. Tuttavia, questa conflittualità dimostra che esisteva una “resistenza” femminile anche in seno alle comunità cristiane dell’Asia Minore e come – conclude. con un raggio di speranza l’autrice, docente di sacra Scrittura all’università pontificia Camillas – «non tutte le donne, né tutte le comunità, si siano arrese di fronte alle pressioni sociali e agli stereotipi culturali».
Elisa Estévez López, Disobbedienti figlie di Eva. Rivendicazioni femminili nella Chiesa delle origini, Collana «Sguardi», EDB, Bologna 2016, pp. 83, € 9,00. 9788810555507
Descrizione dell’opera
Nell’ambito del cristianesimo primitivo, segnato dall’autorità indiscutibile di Paolo, la leadership femminile catalizza le tensioni interne alle Chiese e svela i meccanismi adottati per fare tacere le voci femminili che reclamano autonomia e possibilità di svolgere funzioni di autorità e di insegnamento.
Due scritti del II secolo provenienti dall’Asia minore – le Lettere pastorali e gli Atti di Paolo e Tecla– riflettono i limiti sociali ed ecclesiali all’interno dei quali devono muoversi uomini e donne per poter essere «puri», a partire da abiti e ornamenti, e consentono di scoprire una resistenza femminile. Nel mondo antico, non tutte le donne, né tutte le comunità, si sono infatti arrese di fronte alle pressioni sociali e agli stereotipi culturali.
Sommario
Introduzione. I. L’emancipazione delle donne nella Roma imperiale. II. In esodo verso una nuova identità. III. La discussione sulla leadership femminile in Asia Minore. IV. Disobbedienti figlie di Eva.
V. L’autonomia femminile: una minaccia alla struttura socio-religiosa. VI. L’ambiguità della visione sociale sugli ornamenti femminili, VII. Il matrimonio e la maternità: espressioni di onorabilità sociale. VIII. Timore e controllo della mulier docta. IX. Le itineranti figlie della Sapienza. Conclusione.
Note sull’autrice
ElisaEstévez López, docente di Sacra Scrittura all’Università Pontificia Comillas, ha presieduto l’Associazione spagnola dei teologi dal 2001 al 2006. Autore di numerose pubblicazioni, fa parte del comitato di redazione della rivista Biblical Studies.
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